giovedì 26 febbraio 2009

Davvero bisogna dire sì all’energia nucleare?


di Angelo Baracca, Professore di fisica all'Università di Firenze.


L’articolo di Giovanni Ciccotti e Claude Guet a favore di un rilancio dei programmi elettronucleari è seguito dalle considerazioni critiche molto efficaci di Giorgio Parisi, ma credo meriti qualche ulteriore risposta nel merito.
Mi sembra sbrigativo e parziale chiedersi i motivi «che hanno spinto un certo numero di paesi, fra cui l’Italia, ad abbandonare la via nucleare, mentre altri, come la Francia, proseguivano per questa via». In primo luogo, anche negli USA gli imprenditori elettrici (che sono, ricordiamolo, privati) da 30 anni non hanno più ordinato una centrale nucleare. In Francia – dove la produzione di energia elettrica era (e in larga parte rimane) nazionalizzata – questa scelta si è affiancata alla Force de Frappe: se lo si dimentica si rischia di distorcere completamente il problema: quanti costi effettivi del programma civile potrebbero essere celati dietro quello militare? É che l’utente francese paghi costi elettrici aggiuntivi celati tra le imposte, per le spese militari? Nonostante questa scelta i consumi totali di energia in Francia sono coperti per il 70 % dai combustibili fossili! Parisi ricorda opportunamente che l’energia elettrica copre meno di un quinto dei consumi finali di energia: la Francia produce il 78 % dell’energia elettrica dal nucleare, ed importa più petrolio di noi (92.000 contro 83.000 milioni di tonnellate equivalenti, con un consumo pro capite superiore del 10 %, anche rispetto a Germania e Regno Unito!); importa meno gas, è vero, ma perché, proprio per “sostenere” il “tutto nucleare”, ha promosso il riscaldamento elettrico delle abitazioni, che è lo spreco energetico più assurdo.

Non sarei così categorico nell’affermare che «l’energia nucleare è sicura e partecipe di uno sviluppo durevole». Bisognerebbe intendersi sul termine “sicurezza” e sulla natura del rischio. Credo che spesso si confrontino tra loro cose che confrontabili non sono. Un incidente nucleare è talmente più grave di qualunque incidente possa accadere a qualsiasi impianto convenzionale che il confronto non ha senso. Ci scordiamo i tempi in cui ci garantivano che un incidente grave a una centrale nucleare aveva una probabilità ridicolmente bassa? É semplicistico ridurre l’insicurezza alla negligenza russa: gli imprenditori statunitensi non ordinarono nuove centrali nucleari dopo l’incidente di Harrisburg del 1979 (non meno grave, tutti si aspettavano da un momento all’altro che il contenitore scoppiasse); nel 2002 in un reattore dell’Ohio «l’industria nucleare statunitense ha sfiorato più da vicino un disastro dall’incidente di Three Mile Island del 1979» [Victor Gilinsky, Washington Post, 28 aprile 2002]. E mostrarono meno incuria le autorità francesi che nascosero all’opinione pubblica la nube di Chernobyl? Il 2008 ha registrato un numero di incidenti nucleari incredibile! Incidenti non gravi, si dice. E chi ce lo garantisce, quando le autorità competenti fanno a gara per sdrammatizzare, non di rado nascondere, gli incidenti (si veda il caso della Spagna, con ben sei mesi di silenzio; del Giappone).
Ma a parte l’eventualità di incidenti, non possiamo ignorare i rilasci radioattivi di una centrale nucleare durante il normale funzionamento: le recise negazioni degli esperti sono contraddette dall’accumularsi dell’evidenza dell’aumento dell’incidenza di leucemie e tumori nei pressi delle centrali [Ian Fairlie, “Childhood Leukemias Near Nuclear Power Stations“, con referenze specifiche]. Non ha senso, poi, drammatizzare i pericoli di attentati terroristici ed ignorare la vulnerabilità delle centrali e dei depositi nucleari. La stessa NRC statunitense, che sperimenta periodicamente falsi attacchi con il preavviso di mesi, registra l’inadeguatezza dei sistemi di sicurezza. Ma anche «il desiderio della NRC di evitare di imporre all’industria nucleare alti costi per la sicurezza incide sui requisiti di sicurezza» [L. Gronlund, D. Lochbaum e E. Lyman, Nuclear Power in a Warming World: Assessing the Risks, Addressing the Challenges, Union of Concerned Scientists, Dicembre 2007, p. 5]. Un problema particolare è rappresentato dalle piscine per la custodia del combustibile esaurito, che non sono protette da edifici di contenimento e sono quindi vulnerabili ad attacchi terroristici, che provocherebbero il rilascio nell’ambiente di grandi quantità di materiali radioattivi.
L’approvvigionamento di uranio secondo gli autori «non rischia di generare conflitti di natura geopolitica». Veramente in Nigeria si è sviluppata una vera e propria guerriglia. Il governo nigeriano ha imposto un aumento dei prezzi del 50 %, e nel futuro si prospettano aumenti maggiori. Areva è accusata di avere creato una grave contaminazione ambientale da uranio in Nigeria e Gabon. Il mercato dell’uranio è accentrato nelle mani di “sette cugine”, che ricordano un po’ le “sette sorelle” di infausta memoria del petrolio.

Gratuite e infondate mi sembrano le affermazioni che «la maggior parte degli esperti sono d’accordo nello stimare il costo del Megawattora elettrico a circa 40 €, includendoci i costi legati allo smantellamento e alla gestione completa delle scorie», e che «ci sono risposte tecnologiche affidabili, a costo accettabile, alla sorte delle scorie». Nessun paese ha realizzato soluzioni concrete: il progetto che è andato più avanti è il deposito di Yucca Mountain negli USA, ma dopo quasi 20 anni e fior di miliardi spesi non è realizzato, ed è anzi fermo per i grossi problemi che ha posto. Non appare credibile che nel Megawattora elettrico siano conteggiati costi incerti e ignoti! Lo stesso dicasi per il decommissioning delle centrali, per il quale non vi sono stati esperimenti significativi ed i costi effettivi rimangono estremamente incerti. Il rapporto "Decommissioning Nuclear Power Plants. Policies, Strategies and Costs" [NEA/OECD, 2003] indica in 500$/KWe la soglia minima per i reattori ad acqua leggera, mentre per i reattori a gas il costo medio si collocherebbe intorno ai 2500$/kWe anche se il dato è poco significativo in quanto riferito ai vecchi GCR e non ai più recenti HTGR (High Temperature Gas Reactor): ma i costi finali non hanno una composizione omogenea anche per i criteri seguiti, perché alcuni intendono il decommissioning come risanamento totale del sito, mentre altri come sua gestione controllata a lungo termine. Questo vale a maggior ragione per le centrali che saranno costruite in futuro, la cui vita operativa è programmata per 60 anni: chi può essere in grado di proporre una valutazione seria di quali potranno essere i costi (di tutti i componenti, dal lavoro vivo alle tecnologie), e i problemi in un arco di tempo di un secolo, nelle condizioni di crescente instabilità dell’economia e degli equilibri mondiali e di aggravamento delle condizioni ambientali? Nessuno poi cita il problema del decommissioning delle miniere di uranio: negli anni ’80 il governo USA ha finanziato un programma di risanamento delle miniere americane esaurite (UMTRA = Uranium Mills Tailing Remediation Action) i cui risultati parziali sono stati pubblicati dal DOE nel 2001 quando, esauriti i fondi a disposizione, restavano ancora da bonificare 9 siti minerari per un budget di spesa all’incirca uguale a quello inizialmente stanziato.

Confesso poi che mi delude vedere ripetere il refrain secondo cui «il nucleare non emette gas a effetto serra». La reazione a catena nel nocciolo non ne produce, ma tutti i processi a monte e a valle ne producono: estrazione, trasporto e lavorazione del combustibile, arricchimento dell’uranio, costruzione della centrale, trattamento e sistemazione dei rifiuti, decommissioning. Per la valutazione complessiva delle emissioni risulta cruciale la considerazione della concentrazione di uranio nel minerale dei giacimenti che vengono sfruttati; che si lega anche alla valutazione delle riserve di uranio. È evidente che se per ottenere 1 kg di uranio da un giacimento con concentrazione dello 0,1% occorre estrarre e lavorare una tonnellata di materiale, ne occorreranno 10 volte di più per ottenere lo stesso quantitativo di uranio se la concentrazione del giacimento è pari allo 0,01%; ed aumenta anche il costo energetico. Secondo uno studio quantitativo [Jan Willem Storm Van Leeuwen e Philip Smith, “Facts and data: Is nuclear power sustainable; would its use reduce CO2 emissions?”, 2003, 2005, http://www.elstatconsultant.nl/] vi è un limite fisico (grado di concentrazione compreso tra 0,03 – 0,04% di uranio) oltre il quale l’energia necessaria ai processi di estrazione e lavorazione dell’uranio supera quella ottenibile dal suo impiego nei reattori; inoltre le emissioni del ciclo nucleare si aggirano attualmente sul 35 % (non zero!) rispetto a quelle di una centrale in ciclo combinato a gas, ma per concentrazioni inferiori allo 0,1% aumentano vertiginosamente, fino a raggiungere e superare quelle dell’impianto a gas. Naturalmente si può non essere d’accordo con questo studio, ma vista la sua impostazione rigorosa lo si dovrebbe contestare nel merito.
Anche Parisi critica la proposta di fondo di arrivare ad una «produzione mondiale di elettricità coperta al 50% dal nucleare, decuplicando la potenza nucleare mondiale attuale per portarla a circa 4000 GWa». In primo luogo, è realistico? Poiché si parla di centrali la cui costruzione deve ancora essere iniziata, e tenendo conto dei tempi medi di costruzione, questo vorrebbe dire dal 2020 inaugurare nel mondo più di 30 nuove centrali nucleari ogni anno, ad un ritmo medio costante di 2-3 al mese! (Il costo annuale supererebbe i 150 miliardi di dollari, ma su questo ritornerò). Personalmente non ci credo! Senza contare l’aspetto già citato, che l’energia elettrica è meno di un quinto dei consumi finali: che facciamo per gli altri quattro quinti? Non è il caso di partire proprio da quelli?
Ma un tale obiettivo sarebbe davvero auspicabile? Il sistema elettrico “tutto nucleare” della Francia genera non pochi problemi ed inefficienze, per la sua rigidità. Poiché le centrali nucleari non sono modulabili per seguire le variazioni giornaliere della curva di carico, devono coprire i picchi normali: ne segue che durante i minimi la Francia deve vendere energia elettrica a prezzi stracciati; ma quando si verificano condizioni eccezionali, ondate di freddo o di calore, deve comprare dall’estero energia di picco, quindi molto cara. Per far fronte all’onda di freddo di questo inverno la Francia ha dovuto importare energia elettrica, soprattutto dalla Germania (da 5 anni la Germania è diventata esportatrice netta di energia verso la Francia, e non il contrario). Tali rigidità e vulnerabilità sarebbero ingigantite per paesi con piccole potenze installate: la costruzione di una centrale da 1.600 MW in paesi come la Giordania, che ha poco più di 2000 MW installati, o gli Emirati Arabi Uniti, che ne hanno 14.000, renderebbe il loro sistema energetico estremamente vulnerabile, perché la difficoltà di sopperire ad un guasto, anche temporaneo.

Ma vi è ancora un aspetto cruciale. Gli investimenti complessivi richiesti sarebbero dell’ordine del trilione di dollari: tali costi saranno compatibili con la crisi mondiale, con gli scenari geopolitici futuri così incerti, con i conflitti che si delineano? Già oggi le banche statunitensi e Wall Street sono tutt’altro che inclini a prestare i fondi necessari, a meno che i prestiti non siano garantiti dal Governo Federale: «secondo l’industria nucleare il Governo dovrebbe proteggere gli investitori nel caso i progetti iniziali andassero male», riportava il Washington Post del 5 settembre 2007 con il significativo sottotitolo: «Il finanziamento, più che la sicurezza, sembra il fattore chiave che determinerà se i progetti procederanno». Il Wall Street Journal del 12 maggio 2008 denunciava che l’aumento dei costi previsti per le centrali nucleari progettate «sta causando qualche shock imbarazzante: da 5 miliardi di dollari a 12 miliardi per un impianto, fra il doppio e il quadruplo delle prime stime»! [Keith Johnson, “It’s economics, stupid: nuclear power’s bogeyman”, 12/05/2008]. Recentemente Amory Lovins, direttore scientifico del Rocky Mountain Institute, ha commentato: «Sostanzialmente, possiamo avere tante centrali nucleari quante il Congresso sarà capace di far pagare ai contribuenti. Ma non ne avremo nessuna in un’economia di mercato».
Di fatto è quello che si sta verificando nella costruzione del reattore EPR di III generazione a Olkiluoto, in Finlandia, che ha accumulato un ritardo di più di due anni nella costruzione, con un aumento dei costi di più di 2 miliardi di euro. È significativo che i motivi principali sono di ordine tecnico (e si sono verificati anche nella costruzione del reattore a Flamanville, che per questo era stata interrotta), e cioè la difficoltà per le aziende costruttrici di soddisfare le caratteristiche tecniche eccezionali richieste da una centrale nucleare: qualità delle saldature, del cemento, dell’acciaio, ecc. Che cosa accadrebbe in Italia? Basta ricordare che Italcementi ha fornito cemento fasullo per le Grandi Opere (per fare un paragone, i costi chilometrici dell’Alta Velocità ferroviaria in Italia risultano in media cinque volte superiori a quelli delle analoghe tratte in altri paesi). Il governo si era impegnato ad indicare le localizzazioni per la fine del 2008, ma ha evidentemente incontrato qualche difficoltà (et pour cause!). La Regione Emilia Romagna si è dichiarata contraria alla riattivazione del sito della Centrale di Caorso.

Non posso concludere questa disamina senza accennare a quello che in fondo io ritengo l’argomento dirimente: l’intrinseco, ineliminabile dual-use della tecnologia nucleare, che sembra preoccupare solo quando si tratta della Corea del Nord o dell’Iran (perché il Brasile ha realizzato la tecnologia dell’arricchimento senza che nessuno fiatasse; e il padre della bomba pachistana, Kahn, ha avuto aiuti da cani e porci, come è emerso anche dallo scandalo delle spie svizzere Urs e Marco Tinners, al soldo della CIA). Sarà davvero il caso di diffondere in questo pazzo mondo la tecnologia nucleare? La Corea del Nord, che non è un gigante tecnologico, nel 2005 è uscita dal TNP (legittimamente, con tre mesi di preavviso), ha riattivato un piccolo reattore, ha ritrattato il combustibile, e nel 2007 ha eseguito un test nucleare. La IAEA valuta che siano più di 30 i paesi che hanno la capacità di costruire la bomba. Abbiamo prodotto nel mondo circa 3,000 tonnellate di plutonio, uranio altamente arricchito, attinidi: sarebbe il caso di fermarsi.

(25 febbraio 2009)

sabato 21 febbraio 2009

Federazione cure palliative: il ddl Calabrò aggraverebbe inutilmente le sofferenze dei malati

Pubblichiamo il documento della Federazione Cure Palliative, che sarà letto domani durante la manifestazione a Piazza Farnese.

"La Federazione cure palliative (62 organizzazioni non profit operanti su tutto il territorio nazionale, che sostengono gli oltre 2000 operatori di questo settore) vuole evidenziare il grave pericolo contenuto nel disegno di legge sulle dichiarazioni anticipate di volontà che ieri ha ottenuto il via libera in Commissione Sanità al Senato.
Da 30 anni, ogni anno questo grande movimento risponde ai bisogni quotidiani di 200 mila persone e delle loro famiglie, dando sollievo al dolore e a tutti gli altri sintomi fisici, psicologici, sociali e spirituali che provocano sofferenza, aiutando il paziente a vivere quanto più attivamente possibile fino alla fine, sostenendo quindi la vita e la sua qualità, non affrettando né posponendo la morte, ma guardando a essa come a un processo naturale.
Alla luce di questi principi irrinunciabili sentiamo il dovere di evidenziare che, se dovesse essere approvata una legge che esplicitamente ed indiscriminatamente impone l'idratazione e la nutrizione artificiale per tutti i malati (art. 5 comma 6), ci troveremmo di fronte a tale obbligo anche per le persone che vivono una fase di inevitabile e prossima terminalità. Per loro non si tratta di non iniziare o sospendere una terapia, ma di accompagnarli a una fine dignitosa con tutti gli strumenti che la medicina oggi offre. Nell'accompagnamento del processo di morte naturale, per evidenti cause cliniche, il malato non è più in grado di ricevere acqua e cibo, è il corpo stesso della persona che sta vivendo l’ultimo periodo della sua vita che non sente più il bisogno di mangiare e bere, come sa bene chiunque abbia assistito alla fine di una persona cara.
Imporre per legge nutrizione e idratazione artificiale ai malati terminali rischia di peggiorare la loro qualità di vita che noi siamo chiamati a migliorare, accompagnandoli fino alla fine.
Ci appelliamo dunque al Parlamento perché sappia ricondurre al necessario equilibrio la legge in discussione, consentendo agli operatori le cure necessarie e adeguate a tutti i cittadini."

Milano, 20 febbraio 2009

martedì 17 febbraio 2009

Sempre piu’ a fondo

[Süddeutsche Zeitung]

La situazione della nazione e’ disastrosa, la politica e’ corrotta, l’economia e’ agli sgoccioli. E l’unico che avrebbe il potere di fare qualcosa al riguardo è il capo del governo. Ma a lui interessa solo la sua ricchezza. Italia, che cosa sei diventata?

Alcuni politici sono segnati per tutta la loro vita per un’unica stupida battuta. Con Silvio Berlusconi e’ invece difficile anche tenersi a mente i suoi più recenti deragliamenti linguistici. A proposito del centro di prima accoglienza per profughi sull’isola di Lampedusa e sulle indegne condizioni di vita in esso, ha detto recentemente che “non e’ un campo di concentramento” e che gli immigrati presenti “possono sempre andarsi a bere una birra”. In materia di stupro, ha detto che in linea di principio non e’ possibile evitarli in Italia “perché le nostre donne sono troppo belle”. E dopo le elezioni presidenziali americane, definì Barack Obama “abbronzato”.

Queste sono le parole di un magnate dell’industria abituato ad essere circondato da subalterni e lecchini che automaticamente ridono per ogni stupido scherzo. Un uomo che ha un tale potere da non far più distinzione tra comportamento pubblico e privato, che si comporta in tutto il mondo come se fosse a casa sua dove anche una barzelletta priva di tatto causerebbe
sicuramente delle risate. E Berlusconi è anche abituato al poco critico panorama mediale italiano che lo sorprende quando la stampa internazionale non gli riserva lo stesso approccio di sottomissione.

Si tratta di uno dei più strani e insoliti fenomeni politici dei nostri giorni: da 14 anni, l’Italia è stata quasi ininterrottamente governata da un capriccioso miliardario con 17 procedimenti penali sulle spalle e che nonostante cio’ ha ancora il supporto di una grande maggioranza degli italiani. Berlusconi all’estero può apparire come un pagliaccio, tuttavia la sua popolarità nel suo paese e’ superata solo dal suo narcisismo.

Pertanto, Berlusconi ha potuto vincere svariate elezioni sin dalla sua prima apparizione sulla scena politica nel 1993, nonostante nello stesso periodo l’Italia sia stata protagonista di un drammatico declino: Da una delle più grandi storie di successo europeo è diventata una delle economie più deboli nel continente.

Il fatto che l’Italia non solo accetti Berlusconi e le sue sciocchezze, ma le condivida pure, è un sintomo di un paese in profonda crisi con una travagliata economia stagnante. Un paese paralizzato e profondamente frustrato, nelle mani di pochi gruppi di interesse, e in una situazione per cui non e’ né in grado né disposto a cambiare qualcosa. Un paese dove la popolazione e’ fondamentalmente disgustata dalla classe politica e per questo vota un uomo che per lo meno non nasconde di voler fare innanzitutto i propri interessi.

Nel 2006 Berlusconi era ancora visto anche in Italia come il problema più grande dell’Italia. I suoi innumerevoli affari e il conflitto di interessi come uomo più ricco d’Italia, primo grande proprietario di un impero mediatico, famoso indagato contemporaneamente Primo Ministro, hanno ridotto il paese allo stallo e causato una crescita economica quasi pari a zero.

Molti elettori pensavano che, una volta liberatisi di Berlusconi, il paese si sarebbe di nuovo ripreso. Ma il governo di Romano Prodi, supportato da una fragile coalizione di nove partiti con una piccola maggioranza di un solo voto al Senato italiano, non ha saputo fare molto meglio. Quando ha cercato di introdurre alcune riforme del mercato, gli stessi comunisti al governo si opposero. Per quanto riguarda altre proposte di legge, come ad esempio il riconoscimento delle unioni omosessuali, l’ammutinamento venne da un’altra parte della coalizione: dal gruppo dei cattolici nel governo.

Una delle poche leggi che passarono fu un’amnistia generale per i criminali per la quale Berlusconi insistette molto e che fu articolata in modo da salvare il suo avvocato Cesare Previti da una pena detentiva per corruzione di un giudice. Un po’ più tardi la popolazione italiana si adiro’ per i 26.000 criminali rilasciati, molti dei quali tornarono rapidamente a compiere furti, stupri e omicidi. Ma tra questi c’erano anche una folla di criminali per reati economici, tra cui Previti, che poterono cosi’ ritornare ai loro domicili e godersi le comodita’ illegalmente acquisite.

Sotto Prodi, l’economia ha proseguito la sua discesa e nel 2006 e nel 2007 sono da segnalare altri due anni di crescita zero. Nello stesso periodo, vanno accumulandosi mucchi di spazzatura e rifiuti tossici a Napoli e dintorni. E nonostante questi problemi i partiti della coalizione di centro-sinistra continuarono a litigare in pubblico. Gli elettori non hanno quindi riscontrato praticamente alcuna differenza tra destra e sinistra e hanno cominciato a considerare la politica nella sua interezza come una casta che si occupa soprattutto della sua auto-conservazione e si distribuisce privilegi straordinari e eccessive prebende.

E Berlusconi era uno di loro, agli elettori cio’ ando’ bene e non diedero molta importanza ad un altro scandalo di Berlusconi alla vigilia delle elezioni del 2008: verso la fine del 2007, Berlusconi fu accusato dal procuratore della Repubblica di Napoli di aver corrotto Agostino Saccà, un funzionario a capo del dipartimento del cinema della Rai.

Nelle registrazioni delle intercettazioni, che la rivista “L’Espresso” ha messo in Internet, si può ascoltare come Berlusconi cerchi di convertire l’emittente televisiva statale in una sorta di “divano di casa”. Infatti chiese a Saccà di trovare dei ruoli per alcune giovani attrici, che Berlusconi nelle intercettazioni chiama “le fanciulle mie”. In alcuni casi, questo servirebbe solo per “rallegrare il capo” (cioè Berlusconi). In un caso specifico, Berlusconi ha detto a Saccà di aver bisogno di un ruolo per un’attrice che ha una relazione con un senatore del governo Prodi. Berlusconi voleva, come ha ribadito lui stesso, dare a quel senatore delle motivazioni per passare di campo e causare la caduta del governo Prodi.

Ma mentre l’opinione pubblica italiana registrava quasi apaticamente i gravi reati attribuiti a Berlusconi per questo caso, quali la corruzione di funzionari pubblici ai fini della caduta di un governo, improvvisamente scoppio’ un grande interesse in merito ad un possibile scandalo sessuale. Questo fu dovuto alle voci circolanti a riguardo di altre registrazioni riguardanti Berlusconi e tre donne eccezionalmente attraenti del suo gabinetto.

A seconda del campo politico le voci erano diverse. Gli oppositori di Berlusconi favorivano l’immagine di una cariatide settantenne con un debole per le pompette da pene e per il Viagra. I suoi sostenitori lo festeggiavano invece come un instancabile Don Giovanni che si trova in grado di soddisfare due o tre donne allo stesso tempo.

In queste voci circolava anche il nome del Ministro per le Pari Opportunita’ Mara Carfagna, una trentatreenne ex candidata per l’elezione di Miss Italia che ha fatto carriera in qualità di co-presentatrice nel gruppo di Berlusconi e che per un lungo periodo era visibile soprattutto in mini gonne mozzafiato e camicie scollate. Durante una grande riunione di protesta a Roma nel mese di luglio, l’artista comica Sabina Guzzanti ha fatto notare in relazione a Mara Carfagna che: “Non si può nominare un Ministro per le Pari Opportunita’ solo perché ha succhiato l’uccello di qualcuno!”. La Carfagna ha negato qualsiasi relazione personale con Berlusconi e ha denunciato la Guzzati per calunnia.

Con la visione delle cose semi-monarchica del primo ministro non stupisce che nel 2006 sia entrata in vigore una nuova legge elettorale che affida ai capi dei partiti una discrezionalita’ di scelta dei candidati pressoche’ illimitata. In precedenza, l’elettore poteva ancora scegliere i singoli candidati, con il nuovo sistema gli elettori possono votare solo per una parte politica e i leader dei partiti fanno le liste elettorali. Di conseguenza, Berlusconi puo’ portare in Parlamento chi vuole, sia amici personali, dipendenti o qualcuno che sia anche solo di bell’aspetto. Cosi’ Berlusconi ha portato sia in Parlamento che nel suo gabinetto tutta una serie di vallette e attricette diventate famose nel suo impero televisivo. Ed è anche orgoglioso di questo: “Sono come una buona fatina: erano topine e io le ho trasformate in parlamentari”.

Il vero scopo dell’occupazione del Parlamento da parte di Berlusconi è che Berlusconi sta cercando solo di ridurre il ruolo del Parlamento italiano ad una funzione cerimoniale. Recentemente, ha chiesto che solo i presidenti delle rispettive parti dovrebbero fare lo sforzo di votare nel Parlamento. In questo modo, il valore politico degli altri 500 membri parlamentari sarebbe solo da interpretare come un rituale. “Ci stiamo muovendo verso una sorta di modello sudamericano della democrazia”, spiega Bruno Tabacci, un ex democristiano.

Come questo poi potrebbe sembrare si sta già intravedendo. All’inizio della legislatura del 2008 un fotografo e’ riuscito a fotografare con un teleobiettivo un pezzo di carta scritto da Berlusconi con delle note destinate a due belle, giovani, donne parlamentari, Gabriella Giammanco e Nunzia de Girolamo: “Gabri, Nunzia, siete una grande coppia! Grazie di rimanere in Parlamanto, ma non è necessario. Se avete un invito per un pranzo romantico, sarò lieto di darvi il permesso per andarvene! Baci ad entrambe! Il ‘vostro’ Presidente”. Il fotografo riusci’ anche a catturare con la sua macchina fotografica la risposta: “Caro Presidente, gli inviti romantici li accettiamo solo da lei..”.

Il fatto che cio’ non provochi reazioni negative nell’opinione pubblica italiana, la dice lunga circa l’interpretazione della politica degli italiani in relazione al potere mediatico di Berlusconi, ma anche a riguardo della frammentata e quasi scomparsa opposizione di centro-sinistra con la quale ha a che fare Berlusconi. Anche a causa della mancanza di alternative la maggioranza del popolo italiano consente a Berlusconi il potere che ha perche’ visto come uomo forte e deciso. E Berlusconi sfrutta questo che a sua volta promuove la sua immagine di uomo del fare: Così, nel 2008 Berlusconi ha abolito l’ICI ovvero la tassa sulla proprietà della prima casa. E nonostante queste mancate entrate dovranno essere coperte da altre tasse, l’abolizione dell’ICI e’ stata molto popolare. Con il rapido intervento dell’esercito ha anche eliminato la spazzatura dalle strade di Napoli e alla conclusione di questa operazione ha affermato di aver riportato la città nel mondo occidentale in soli 58 giorni. In questo modo gli italiani erano dalla sua parte.

Resta il fatto tuttavia che l’Italia, nel corso degli ultimi 14 anni in cui Berlusconi ha caratterizzato la politica italiana, e’ sprofondata drammaticamente. Per più di 40 anni, dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1990 circa, l’economia italiana era una delle più floride al mondo - in un soffio assieme al Giappone e alla Germania occidentale. Negli anni Cinquanta e Sessanta, l’economia cresceva in media di circa il cinque per cento l’anno, negli anni settanta e ottanta di altri solidi tre per cento l’anno. In un paese che ha per molti anni è stata caratterizzato dalla fatica e dall’emergenza questo porto’ prosperità, istruzione e un generoso stato sociale.

Per gli studenti della politica contemporanea l’Italia ha rappresentato un affascinante paradosso: da un lato, il paese sembrava avere uno spaventoso sistema politico. I governi si susseguivano uno dietro l’altro, gli scandali e le crisi di governo erano diffusi assieme ad un alto livello di corruzione, sprechi, e una burocrazia inefficiente. Dall’altro l’economia cresceva di anno in anno. Fino a circa 1989, l’Italia aveva un prodotto interno lordo pari a quello della Gran Bretagna.

Ma negli ultimi 15 anni l’insolita equazione italiana, corruzione e sabbia nel motore più elevata crescita economica, non ha piu’ funzionato. Il prodotto interno lordo italiano è aumentato dal 1996 al 2006 in media dell’1,1 per cento l’anno, rispetto al 2,3 per cento in Gran Bretagna, il 2,8 per cento in Spagna e l’1,7 per cento in tutta la zona Euro. Con il risultato che la crescita italiana e’ del venti per cento inferiore a quella del Regno Unito ed è stata superata anche dalla Spagna.

Il sistema italiano, che funzionava ragionevolmente in un periodo di mercati protetti, nell’era della UE, della moneta unica e dell’intensa concorrenza con paesi a basso salario in Asia ne ha molto risentito. Aprire una società in Italia costa in media 5012 Euro e occorrono 62 giorni con fino a 16 diverse pratiche burocratiche. Per confronto, in Gran Bretagna la stessa operazione costa 381 euro, quattro giorni e cinque operazioni amministrative, negli Stati Uniti 167 euro, quattro giorni e quattro passaggi amministrativi.

La sabbia nel motore ormai stride in quasi tutti i settori della vita italiana, in un modo da dare origine ad un incomprensibile effetto sinergico negativo. Ad esempio, la minaccia di una paralisi del sistema giudiziario rischia di bloccare lo Stato di diritto, una pietra angolare di un sistema economico funzionante. La durata media dei procedimenti per violazione di contratto è in Italia di 1210 giorni (quasi quattro anni), in Spagna (al secondo posto come paese in questo senso) è di 515, quindi nemmeno la meta’, in Francia 331 e in Gran Bretagna di soli 217 giorni. In Italia, ci vogliono inimmaginabili novanta mesi, quasi otto anni, per poter sfrattare di casa un affittuario inadempiente. In Gran Bretagna sono necessari circa dieci mesi, in Francia 17 e sei mesi in Danimarca.

Un tale sistema può sembrare come una brillante follia, ma dietro a cio’ vi e’ un metodo: è stato intenzionalmente progettato per renderlo indispensabile ai partecipanti. La moltiplicazione delle procedure amministrative, la concessione di licenze, regolamenti e strozzature burocratiche crea un numero estremamente elevato di leve con cui il governo puo’ controllare, ritardare, o seppellire prima possibile qualsiasi progetto.

Ciascuno di questi passi è un’opportunità per l’esercizio del potere e del nepotismo, per la richiesta e la concessione di favori. Un’autostrada, il cui costo di costruzione raddoppia in via di esecuzione, ha grandi vantaggi - non solo per i politici che percepiscono mazzette, ma anche per tutti coloro che ci lavorano. Ovvio: per il resto del paese questo porta solo svantaggi. La si deve combattere con delle infrastrutture scadenti, tasse alte, cattivi servizi e di un sistema che e’ diventato l’esatto contrario di una societa’ dei servizi. Non stupisce quendi che l’Italia sia scivolata dal 32mo al 64mo posto nel Global Competitiveness Index, l’indice mondiale per la competitività economica.

Incredibilmente, nei suoi 14 anni di politica Berlusconi ha addirittura migliorato la sua immagine di uomo del fare. In un’intervista all’inizio del 2008, per meta’ si vantava e per meta’ brontolava di essere trattato come una rock star o un re con il potere di guarigione al solo tocco. “Madri incinte mi chiedono di mettere la mia mano sul loro ventre. Altri mi chiedono di toccargli gli occhi perché vedono male… altri di toccarne la testa perché stanno diventando calvi. Ma a loro io do solo il numero di telefono del mio medico “.

E nel settembre 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria, Berlusconi ha assicurato, dopo una lunga notte in una discoteca, che aveva ancora abbastanza energia per fare tutto il possibile: “Dopo tre ore di sonno ho slancio per ulteriori tre ore di sesso”. Ma per liberare l’Italia dal suo attuale stato di caos c’e’ bisogno di molto più della mano regale di Berlusconi e dei suoi vanti post pubertari.

[Articolo originale di Alexander Stille]

lunedì 16 febbraio 2009

I professori di diritto civile contestano punto per punto le aberrazioni della proposta di legge governativa.

1. Nelle ultime concitate settimane si sono verificate attorno al caso Englaro forzature istituzionali molto preoccupanti in sé e per sé, ma assolutamente inaccettabili quando si controverte di valori fondamentali della persona come il significato del diritto alla vita, la dignità dell’uomo, l’habeas corpus, il diritto all’autodeterminazione: temi che per rispetto delle radici stesse della convivenza civile in una società pluralistica richiedono di essere affrontati, in sede normativa, sulla base di approfondite e documentate conoscenze, di mediazione ed ascolto delle diverse posizioni etiche, e con procedure adatte a consentire la discussione, il confronto, la ricerca di un attento bilanciamento.

2. Ora il Parlamento sta per approvare in tempi stretti una legge in materia di direttive anticipate (c.d. testamento biologico). A quanto è dato di conoscere, la maggioranza pare intenzionata ad una discussione rapida di un testo fortemente limitativo del fondamentale diritto all’intangibilità del corpo. Verso questo obiettivo si procede a passi spediti, senza tener conto dei principi costituzionali di diritto interno e sovranazionale ed ignorando l’esigenza di rispetto di posizioni morali diverse.

3. Sembra quindi necessario richiamare alcuni capisaldi giuridici in materia:

a) La Convenzione di Oviedo, che l’Italia ha sottoscritto e di cui è stata approvata la legge di ratifica, dispone all’art 5, che “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso”. La previsione non riguarda solo le terapie in senso stretto, ma ogni “intervento nel campo della salute”, espressione più ampia che può corrispondere a quella di “atto medico”, vale a dire qualsiasi atto che, anche a fine non terapeutico, determini un’invasione della sfera corporea.
All’art 9 si prevede che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”, ove se da un lato non si qualificano i “desideri” come vincolanti, dall’altro è evidente che il rispetto va dato non soltanto alle “dichiarazioni di volontà” (men che meno alle sole dichiarazioni solenni come l’atto pubblico) ma ad ogni espressione di preferenze comunque manifestata.

b) La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea protegge il diritto alla vita (art.2) e il diritto all’integrità della persona (art.3) nel titolo dedicato alla Dignità, che è anche il primo, fondamentale diritto della persona (art.1). All’integrità della persona, in ragione della dignità, è consustanziale il principio di autodeterminazione stabilito nel secondo comma dell’art. 2, secondo il quale “Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, ecc.” Ancora una volta il principio non è limitato ai trattamenti terapeutici, ma riguarda la libera determinazione nel campo medico-biologico.

c) La Costituzione italiana, che tutela l’autodeterminazione all’art. 13, configura all’art. 32 il principio del consenso come elemento coessenziale al diritto alla salute, e prevede che anche nei casi in cui il legislatore si avvalga del potere di imporre un trattamento sanitario, “in nessun caso possa violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Tale dignità non può essere intesa solo in un senso affidato a criteri oggettivi, ma implica il rispetto dell’identità senza la quale cade la ragion d’essere della dignità dell’uomo.

d) Il principio che consente il rifiuto di atti medici anche benefici è un’acquisizione consolidata della giurisprudenza europea, a valle di una evoluzione che risale alla fine dell’800; e più volte si è confermato che anche di fronte allo stato di necessità il libero, consapevole, lucido dissenso dev’essere rispettato. Un tale diritto di rifiutare le terapie, anche di sostegno vitale, non ha nulla a che fare con l’eutanasia, che consiste invece in una condotta direttamente intesa a procurare la morte.

e) Egualmente estraneo all’eutanasia è il principio condiviso in bioetica e in biodiritto per cui l’interruzione delle cure, anche senza volontà espressa del paziente divenuto incapace, debba essere praticata non solo quando le cure sono sproporzionate (c.d. accanimento terapeutico) ma anche quando esse siano inutili o abbiano il solo effetto del mantenimento in vita artificiale (cfr. l’art. L 1110-5, 2° comma, del Code de la santé publique, modificato dalla L. n. 2005-370 del 22 aprile 2005 “Relativa ai diritti del malato ed alla fine della vita”, e l’art. R 4127-37 del Code de la santé publique, modificato dal decreto n. 2006-120 del 6 febbraio 2006).

Confidiamo che il legislatore italiano saprà e vorrà tenere in conto questi principi e adeguare ad essi la disciplina delle direttive anticipate, evitando di espropriare la persona del diritto elementare di accettare la morte che la malattia ha reso inevitabile, di combattere il male secondo le proprie misure e - se ritiene - praticando soltanto il lenimento della sofferenza, senza rimanere prigioniera, per volontà di legge, di meccanismi artificiali di prolungamento della vita biologica.

Il documento è sottoscritto dai seguenti Professori di diritto civile:
(in ordine alfabetico)

Guido Alpa - Università di Roma La Sapienza
Giuseppe Amadio - Università di Padova
Tommaso Auletta - Università di Catania
Angelo Barba - Università di Siena
Massimo Basile - Università di Messina
Alessandra Bellelli - Università di Perugia
Andrea Belvedere - Università di Pavia
Alberto Maria Benedetti - Università di Genova
Umberto Breccia - Università di Pisa
Paolo Cendon - Università di Trieste
Donato Carusi - Università di Genova
Maria Carla Cherubini - Università di Pisa
Maria Vita De Giorgi - Università di Ferrara
Valeria De Lorenzi - Università di Torino
Raffaella De Matteis - Università di Genova
Gilda Ferrando - Università di Genova
Massimo Franzoni - Università di Bologna
Paolo Gaggero - Università di Milano Bicocca
Aurelio Gentili - Università di Roma Tre
Francesca Giardina - Università di Pisa
Biagio Grasso - Università di Napoli Federico II
Gianni Iudica - Università Bocconi Milano
Gregorio Gitti - Università di Milano Statale
Leonardo Lenti - Università di Torino
Francesco Macario - Università di Roma Tre
Manuela Mantovani - Università di Padova
Marisaria Maugeri - Università di Catania
Cosimo Marco Mazzoni - Università di Siena
Marisa Meli - Università di Catania
Salvatore Monticelli - Università di Foggia
Giovanni Passagnoli - Università di Firenze
Salvatore Patti - Università di Roma La Sapienza
Paolo Pollice - Università di Napoli
Roberto Pucella - Università di Bergamo
Enzo Roppo - Università di Genova
Carlo Rossello - Università di Genova
Liliana Rossi Carleo - Università di Napoli
Giovanna Savorani - Università di Genova
Claudio Scognamiglio - Università di Roma “Tor Vergata”
Chiara Tenella Sillani - Università di Milano Statale
Giuseppe Vettori - Università di Firenze
Alessio Zaccaria -Università di Verona
Mario Zana - Università di Pisa
Paolo Zatti - Università di Padova

(15 febbraio 2009)

giovedì 5 febbraio 2009

Mr. "Unpercento"

Le concessioni radiotelevisive costano al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi l’uno per cento del fatturato che ne ottiene. Avete letto bene. Lo Stato italiano regala da anni alla Mediaset, attraverso RTI, il 99% degli introiti che ne ottiene. Solo l’uno per cento rimane allo Stato.

Le frequenze su cui Mediaset trasmette sono dello Stato italiano che le può dare in concessione a qualunque società ritenga. Mediaset o altre. La logica vorrebbe che la concessione porti principalmente soldi alle casse dello Stato, non ai privati. La ricchezza del signor Berlusconi, dell’imprenditore Berlusconi, deriva da una “graziosa” concessione ottenuta prima da Craxi con un una tantum annua ridicola e poi dal Governo D’Alema nel 1999, con la legge un per cento (pagina 32: legge 488, art.27 comma 9, del 23 dicembre 1999). Legge mai messa in discussione dagli altri Governi che lo hanno seguito, tra cui ovviamente i suoi.

Il signor unpercento è ricco e continua a incrementare le sue ricchezze in virtù di una legge che gli regalalegge parassitaria che toglie agli italiani, a tutti gli italiani, un reddito enorme, di loro competenza, per donarlo al presidente del Consiglio. Una vera rapina a norma di legge. letteralmente le frequenze radiotelevisive. Paga l’un per cento dei ricavi. Ma quale cittadino può avere in concessione un bene dello Stato pagando solo l’un per cento dei ricavi? Nessuno, se non Berlusconi. La legge che regolamenta le concessioni radiotelevisive va cambiata immediatamente. E’ una

Il Gruppo Mediaset vive alle spalle degli italiani. Nel 2007 ha fatturato oltre 4 miliardi di euro, di cui 2.5 miliardi derivanti da pubblicità delle Reti Mediaset. Invertiamo le percentuali: allo Stato il 99%, a Mediaset l’un per cento. L’Italia dei Valori presenterà un’interrogazione parlamentare su questo vero esproprio di reddito degli italiani da parte di Silvio Berlusconi.

P.s. Risultato Operativo 2007 del Gruppo Mediaset (EBIT): 1,49 miliardi di euro.

dal blog di Antonio Di Pietro

lunedì 2 febbraio 2009

La cultura della violenza

di MIRIAM MAFAI


Ancora una violenza razzista, ma non soltanto. Si cerca di uccidere per divertimento, un tragico réfrain. "Nel 2009 ce sarà da divertisse...", dice Davide Franceschini, un normale ragazzo romano, in un'intervista alla televisione la sera di Capodanno.

Qualche ora dopo passa dalle parole ai fatti, e "per divertisse" violenta ripetutamente una ragazza conosciuta nel corso di una festa alla Fiera di Roma. "Avevamo bevuto, avevamo deciso che ci saremmo divertiti: uno di noi l'ha violentata due volte quella ragazza. Ci avevamo già provato quella sera, con un'altra coppietta ma ci era andata male": così Mirel, un rumeno di 21 anni, il più giovane del branco degli stupratori di Guidonia, ha confessato di aver partecipato alla violenza.

Ieri notte un immigrato indiano, mentre dormiva
nell'atrio della stazione ferroviaria di Nettuno, è stato cosparso di benzina e bruciato da un gruppo di ragazzi italiani tra cui un minorenne. Un episodio di razzismo? Pare proprio di no. I tre ragazzi, tutti incensurati, tra cui un minorenne, hanno confessato. Avevano bevuto, forse avevano fatto uso di qualche droga e, alla fine della nottata, volevano "fare un gesto eclatante, provare una forte emozione". E così, tanto per divertirsi, hanno dato fuoco al barbone.

È un divertimento dunque stuprare una ragazza appena conosciuta ad una festa, è un divertimento aggredire una coppia, chiudere nel bagagliaio l'uomo e violentare la giovane, è per provare una emozione che si può dare fuoco a un poveretto che, quale che sia il colore della sua pelle, dorme nell'atrio di una stazione.

Questo non è razzismo. Forse, se possibile, è ancora peggio. È puro e semplice culto della violenza. E non si corrono rischi quando la violenza non si esercita tra bande rivali ma nei confronti di chi è del tutto indifeso. La vittima allora può essere una donna che torna a casa, da sola, una sera, o una coppia appartata nella sua macchina, o un barbone italiano o straniero che dorme per terra appena protetto da una coperta o da un paio di cartoni. Un divertimento? Pare proprio di sì, un divertimento o una emozione, esaltata dai pianti della donna violentata o dalle grida di un barbone cui viene dato fuoco, dalla sofferenza di un debole che non può reagire.

Avevamo bevuto, eravamo un po' fatti, volevamo divertirci...
Non c'è la disperazione, la miseria, il degrado (banale e consueta spiegazione sociologica) dietro gli autori di questi reati. Non c'è, dietro l'aggressione di Nettuno, nemmeno la spiegazione, se tale si possa chiamare, del razzismo. No. Nella violenza di questi ragazzi, italiani o stranieri, c'è soltanto un cieco desiderio di sopraffazione, il piacere di infliggere sofferenza e così sentirsi più forti, padroni del corpo dell'altro. Questa è l'emozione. Questo il divertimento, che l'uso della droga, quando c'è, rende finalmente possibile.

Se le cose stanno così, allora siamo tutti chiamati ad un serio esame di coscienza. Dobbiamo intanto riconoscere che il nostro è un mondo intriso di violenza. Non solo per i conflitti e le guerre che lo sconvolgono, e da cui giungono immagini di orrende sopraffazioni, di umiliazioni che i più forti infliggono ai più deboli e indifesi. Non solo per le violenze che si consumano negli stadi. Non solo per i sempre più frequenti episodi di bullismo che si consumano, impuniti, nelle nostre scuole. Ma anche per la cultura di cui la nostra società si nutre. Una cultura che promuove a vincente colui, o colei che, anche violando le regole, conquista la ricchezza o il successo. E che, comunque, di fronte a chi conquista la ricchezza o il successo non ritiene opportuno chiedere come lo ha raggiunto. Ed anzi dà per scontato che per raggiungerlo abbia fatto uso, abbia dovuto far uso, anche di metodi illegali e violenti. Nel nostro mondo, insomma, l'aggressività, la violenza, la forza, o per lo meno una certa dose di aggressività, di violenza, di forza vengono generalmente considerate necessarie, indispensabili per avere successo.

I ragazzi di Nettuno che hanno dato fuoco a un barbone, i giovani rumeni che hanno aggredito una coppietta, chiuso l'uomo nel bagagliaio della macchina e violentato la sua ragazza, il giovane romano figlio di una famiglia di lavoratori che "per divertisse" ha violentato una ragazza conosciuta a Capodanno, ci fanno paura, ma sono figli di questa cultura. È la nostra cultura, quella che caratterizza la nostra società, che in qualche modo abbiamo costruita, che disprezza e irride alla mitezza, alla pazienza, alla solidarietà, alla debolezza, alla sobrietà.

(2 febbraio 2009), da Repubblica.it

martedì 27 gennaio 2009

Eluana, il Tar dà ragione al padre sì al ricorso contro la Regione Lombardia

di PIERO COLAPRICO


MILANO -
"Non posso che essere soddisfatto", dice papà Beppino Englaro, dalla sua casa di Lecco. Oggi il Tar ha depositato la sentenza 214 e ha accolto il ricorso del professor Vittorio Angiolini e dell'avvocato Franca Alessio contro la Regione Lombardia. "Amareggiato", ma "non rassegnato" il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: "Del resto la sentenza - spiega in una nota - non inficia il mio atto di orientamento generale al Servizio sanitario nazionale, che non era oggetto di giudizio davanti al Tar".

Prima di tutto, il Tar dice quello che decine di giuristi, tranne una minoranza fortemente orientata non solo dal codice, ma anche dalla religione, affermava: e cioè che la decisione della corte d'appello di Milano rappresenta un accertamento definitivo e non più impugnabile.

Ma non solo. Un padre, che in assenza di leggi, ha colmato i vuoti, passaggio legale dopo passaggio legale, dai primi passi mossi insieme all'avvocato Maria Cristina Morelli a questi ultimi che l'hanno portato a vincere anche in cassazione, ha quindi il "diritto-potere" di esercitare come di rifiutare le cure in nome e per conto di sua figlia. Papà Beppino, che dal 2008, diceva di essere "la voce di Eluana", può dunque farla sentire e sostenere che quell'"invasione di mani altrui", dopo 17 anni e otto giorni di stato vegetativo persistente, va rifiutata. "Il rifiuto delle terapie mediche, anche quando conduca alla morte, non può essere scambiato per un'ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto - così si legge nella sentenza del Tar - un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale".

Non si può dunque, come sarebbe potuto accadere in base ad alcune prese di posizione politiche, "essere curati a oltranza". Alimentazione e nutrizione costituiscono terapie e sospenderle non equivale a eutanasia omissiva".

La nota del ministro Maurizio Sacconi, "senza dubbio autorevole perché proveniente dal vertice dell'amministrazione" resta comunque un atto "inidoneo a intaccare il quadro del diritto oggettivo". E la convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità "non contraddice affatto il diritto al rifiuto delle cure".

C'è un passaggio ancora più profondo, che va in contrasto con alcune richieste della curia torinese: l'obiezione di coscienza, dice il Tar, in questo caso non c'è. "Il diritto costituzionale di rifiutare le cure, come descritto dalla suprema corte, è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto s'impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l'ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all'interno di una struttura sanitaria pubblica o privata".

Se questo è il quadro, la Regione Lombardia non può negare di sospendere le cure e deve anche indicare la struttura adeguata. "L'accettazione presso la struttura sanitaria pubblica non può essere condizionata alla rinuncia del malato ad esercitare un suo diritto fondamentale. Né il rifiuto opposto dall'amministrazione alla richiesta del signor Englaro può giustificarsi in base a ragioni attinenti l'obiezione di coscienza". Perciò, "conformandosi alla presente sentenza, l'amministrazione sanitaria in ossequio ai principi di legalità, buon andamento, imparzialità e correttezza, dovrà indicare la struttura sanitaria dotata di requisiti" idonei a rispettare la volontà di Eluana.

Come si vede, il presidente Roberto Formigoni esce sconfitto sul piano del diritto da questa decisione. Esce sconfitto anche quel gruppo di persone collegate al ministero del Welfare che in questi mesi hanno trasformato una tragedia in una guerra senza esclusione di colpi bassi. "Io - dice il professor Angiolini - ho fatto il possibile per affermare quello che il signor Englaro mi ha sempre chiesto, di provare a vivere in uno stato di diritto, facendo ogni cosa alla luce del sole. Non ho mai avuto dubbi della vittoria nei tribunali, ma il prezzo personale che ha pagato e che paga la famiglia che assisto è davvero alto".

La sentenza, aggiunge Sacconi nella nota, "sostiene che il mio atto, per quanto 'autorevole', non è sufficiente a inibire nello specifico caso Englaro una sorta di diritto soggettivo sostenuto dal provvedimento della Corte di Cassazione. Auspico peraltro il ricorso al Consiglio di Stato - continua la nota - da parte della Regione Lombardia, perché rimango convinto che, in assenza di una legge specifica, non vi siano ragioni per far venir meno uno dei contenuti principali dei livelli essenziali di assistenza che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale: quello del dovere di idratazione e alimentazione di una persona non in grado di provvedere a se stessa".
(26 gennaio 2009)
 
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