martedì 1 luglio 2008

Immunità: la vittoria della Casta

di Elio Veltri


I tre provvedimenti del governo sulla giustizia finiscono di raderla al suolo. Come sempre, per giustificarne l’approvazione si è chiamata in aiuto l’esperienza degli altri paesi senza la minima informazione per chi l’ha fatto e senza entrare nel merito, con il necessario puntiglio, da parte dei contraddittori che preferiscono i comizi ad una informazione precisa, tanto più necessaria dal momento che i cittadini sono assuefatti alla tv che, tranne lodevoli eccezioni, disinforma. Bene ha fatto l’Unità a ricordare sinteticamente cosa accade negli altri paesi europei e negli Stati Uniti riguardo alle alte cariche dello Stato. Questo giornale aveva pubblicato il libro "La legge dell’impunità", sul Lodo Schifani, nel quale ripercorrevo le vicende italiane dallo Statuto Albertino ed europee sulle prerogative dei parlamentari e dei governanti.

Ora desidero aggiungere che anche nei Paesi Bassi, in Belgio, Lussenburgo, Svezia, Finlandia, Danimarca e Portogallo, non esiste ombra di immunità né per il capo del governo né per i ministri.
Non solo, in nessun paese civile e democratico, sarebbe pensabile di introdurre leggi di salvaguardia assoluta delle alte cariche dello Stato mentre si svolge un processo per reati gravi come può essere quello per corruzione in atti giudiziari. La proposta del governo, come hanno spiegato noti costituzionalisti, è palesemente incostituzionale perché stravolge il principio cardine dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge( articoli 3 e 24) e, se proprio si volesse approvarla, bisognerebbe passare per le strettoie della legge costituzionale, con doppia lettura parlamentare e referendum nel caso mancasse la maggioranza dei due terzi.

Però, a quel punto, la legge non servirebbe più per le necessità immediate del capo del governo. Le ragioni che adducono anche autorevoli commentatori, penso all’articolo di Galli Della Loggia sul Corriere di oggi, a sostenere misure come quelle approvate a tempo di record dal governo, sarebbero da attribuire all’uso spregiudicato della obbligatorietà dell’azione penale e allo strapotere dei pm che non troverebbe il necessario contrappeso nella " terzietà" dei giudici.

Tutti i ragionamenti che si fanno prescindono dalla situazione del nostro paese del tutto peculiare a causa della quantità e qualità dei reati che determinano illegalità diffusa, corruzione penetrante e criminalità organizzata, la più grande multinazionale del paese, che non hanno riscontro in nessun altro paese democratico europeo e degli altri continenti. Perciò, quando si scrive, sarebbe necessario sapere di cosa si parla e, soprattutto, come ci si comporta nei paesi ai quali si fa sempre riferimento quale esempio di civiltà. Ometto di citare il più grande studioso liberale, Maranini, a proposito dei poteri della magistratura e del suo ruolo a salvaguardia della democrazia, previsti dalla Costituzione, perché l’ho fatto più volte: altro che metastasi di cui parla il Presidente del consiglio che si dichiara liberale a tutto tondo! Noi abbiamo introdotto nel nostro processo il sistema accusatorio nel 1989 mutuandolo dal sistema anglosassone.

Negli USA le condanne, soprattutto per i reati che il decreto bloccaprocessi considera meno gravi, sanzionati con pene inferiori a 10 anni di carcere, come corruzione, falso in bilancio, evasione fiscale ecc, che incidono direttamente sull’economia e sugli affari condizionandoli e danneggiano gli utenti e i risparmiatori, sono feroci. Scattano dopo il primo grado di giudizio, gli imputati vengono portati in tribunale con le manette ai polsi, la prescrizione e le attenuanti generiche non esistono e gli anni di carcere sono inferiori solo a quelli previsti per gli omicidi più crudeli. Quanto al potere dei magistrati inquirenti sono inimmaginabili e nessuno osa criticarli.

Vogliamo fare un esempio concreto? Rileggiamoci i poteri che il Martin Act del 1921 conferisce al Procuratore dello Stato di New York, ampiamente usati anche nei giorni scorsi per le frodi sui mutui sub-prime: il magistrato può decidere se l’inchiesta deve essere segreta o resa pubblica; scegliere se una frode deve essere repressa attraverso un’azione penale o civile; impedire a una impresa o società di svolgere attività nello Stato per tutto il periodo delle indagini; obbligare i testimoni a rinunciare ad un avvocato e a rispondere alle domande considerando le mancate risposte come accertamento della frode avvenuta ecc. Cosa diciamo che l’America ha un sistema giudiziario barbaro e indegno di un paese civile e che è civilissima solo quando bombarda l’Iraq? Forse possiamo dire che in quel paese la certezza della pena esiste e per tutti.

Nel decreto bloccaprocessi la corruzione è considerata un reato minore ed è stata introdotta nell’elenco dei reati intercettabili solo perché Bossi si è impuntato. Ora, basta leggere le graduatorie di Trasparency International sul rapporto quasi matematico tra corruzione e competitività delle imprese e dell’economia, per sapere che il nostro paese è al 41° posto per la corruzione e al 49° per la competitività: un disastro. Si continua a parlare, anzi a straparlare di economia e di competitività ma il rapporto viene ignorato e nessuno ne spiega le ragioni. Quindi, tenuto conto che l’Italia non compete e gli imprenditori di altri paesi da noi non investono, la corruzione dovrebbe essere uno dei reati di grandissimo allarme sociale e più sanzionati. Se poi è corruzione in atti giudiziari ancora di più. Non ci si fida delle statistiche di Trasparency? Non importa. Basta leggere il rapporto del commissario anticorruzione che è alle dipendenze della presidenza del Consiglio. La situazione viene considerata catastrofica e molto più grave rispetto a tangentopoli. Però il governo ha deciso che il paese avrà un futuro luminoso con una economia straordinariamente solida, anche in presenza di un sistema di corruzione diffusa e penetrante.

Anche i tempi dei processi incidono sull’economia. Quelli del processo penale perché dovrebbe sanzionare i reati economici e finanziari; quelli del processo civile perché incide direttamente sugli affari e la Banca Mondiale su 175 paesi monitorati ci mette al 168 posto; quello tributario perché riguarda l’evasione fiscale e forse non molti sanno che su 100 euro di evasione accertata dalla Guardia di Finanza lo Stato ne incassa 1,28. Io non parlo di etica perchè so bene che suscita una sorta di allergia. Sto parlando di economia che sembra costituire la preoccupazione maggiore dei gruppi dirigenti di questo paese. Qualcuno pensa davvero in buona fede che i tempi della giustizia dipendono dai magistrati fannulloni che non lavorano? Ci sono anche quelli.

Ma i processi non si fanno e la certezza della pena non esiste perché le leggi approvate negli ultimi 20 anni hanno puntato diritto al cuore della prescrizione dal momento che i gruppi dirigenti di questo paese rifiutano i controlli di legalità. Se si vuole davvero ridurre drasticamente i tempi dei processi è necessario cambiarne la struttura. Altrimenti si fa demagogia e si mente sapendo di farlo. Le proposte del governo costituiranno una formidabile istigazione a delinquere e a rendere il paese più illegale di quello che è.

da l'Unità.it - 30/06/08

domenica 29 giugno 2008

Stanlio e Ollio “Noi siamo uomini liberi”

by Roberto Corradi

«Gnocca» contro «magnaccia»

Ogni volta che Berlusconi va al governo, assistiamo a un elevamento del dibattito politico ad personam. Ora siamo arrivati alla «gnocca» contro i «magnaccia». I magnaccia sono stati evocati ieri in tv da Antonio Di Pietro e, a rigore, anche gli accademici della Crusca direbbero che si tratta del termine esatto per indicare la funzione che veniva svolta dentro la Rai ed è stata rivelata, per fortuna, dalle intercettazioni. Per fortuna, perché non si tratta affatto di questioni private, ma di reati sui quali giustamente indaga la magistratura e che giustamente la stampa fa conoscere al Paese, in quanto politicamente rilevanti. Sia per il ruolo pubblico degli intercettati che per l´invadenza e la concorrenza sleale messe in atto contro l´azienda pubblica. Ed è giusto che si conoscano nomi e cognomi dei coinvolti anche per l´onore delle ragazze che appaiono in tv, di cui si potrebbe pensare che tutte sono passate per le mani di quei gentiluomini. Invece no: solo pochissime venivano compensate con tanto sconcio interessamento postumo.

Maria Novella Oppo

sabato 28 giugno 2008

Il crepuscolo del diritto


di MASSIMO GIANNINI


ESISTE una vera e propria vocazione del nostro tempo a vivere senza il diritto. Salvatore Satta, uno dei più grandi giuristi del Novecento italiano, lo scriveva nel novembre del '54, in un ciclo di discorsi poi confluiti nel saggio filosofico "Il mistero del processo". Viene da chiedersi cosa scriverebbe oggi di fronte al Lodo Alfano, col quale Silvio Berlusconi, da quell'insondabile "ossessione processuale" che lo insegue ormai da quindici anni, si sta per sottrarre per sempre.

L'approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge che sospende i processi a beneficio delle quattro alte cariche dello Stato, per l'ennesima volta, marchia questa legislatura con il fuoco della personalizzazione della norma giuridica e della privatizzazione della cosa pubblica. Poteva essere una legislatura costituente, diventa una legislatura destabilizzante. Qui non c'entrano toghe rosse e pm mozza-orecchi, congiure giacobine e rivoluzioni giustizialiste. È l'improvvisa, convulsa manomissione delle regole messa in atto dal Cavaliere nel giro di due settimane, che dovrebbe far gridare allo scandalo chi ha ancora a cuore la qualità della democrazia, la difesa dei valori repubblicani, la tutela dei principi liberali.

Prima l'emendamento sulla sospensione dei processi, infilato surrettiziamente in un decreto legge in materia di sicurezza. Uno schiaffo multiplo: alle competenze del Capo dello Stato, alle esigenze dei cittadini. Ora il Lodo Alfano. Non è una "legge vergogna" in sé. Ma lo diventa per la genesi delle ragioni con le quali è stata congegnata, e per l'eterogenesi dei fini con la quale è stata approvata. È nata per evitare al presidente del Consiglio di sottoporsi alle ultime tre udienze, e poi alla sentenza, nel processo sul caso Mills, che lo vede imputato per corruzione in tatti giudiziari. È stata spacciata come una norma di "civiltà giuridica", uguale a quella che esiste in altri Paesi europei.

Il merito di questi provvedimenti è discutibile. Il Lodo Alfano è così ambiguo che, al comma 6, non chiarisce in modo netto se l'immunità assicurata al Berlusconi presidente del Consiglio possa "traslare", in corso di legislatura, anche all'ipotesi in cui lui stesso diventi nel frattempo presidente della Repubblica. Ma è soprattutto il metodo che è inaccettabile. Queste non sono misure di economia processuale o di garanzia costituzionale, che il governo in carica approva per venire incontro ai bisogni della collettività. Sono puri e semplici "salvacondotti" individuali, che un premier inquisito introduce a forza nell'ordinamento, per risolvere qui ed ora i suoi problemi ("O governo l'Italia o passo le giornate a preparare le udienze" ha detto in consiglio Berlusconi).

Nell'irresponsabile corto-circuito tra i poteri dello Stato, con l'esecutivo che usa il legislativo per domare il giudiziario, l'intero corso della vicenda pubblica assume una piega radicalmente diversa. Questo chiama in causa tutti gli attori della scena istituzionale, politica e sociale. Non si tratta di urlare forte ma invano al "fascismo", o di rifugiarsi nel rito rassicurante ma sterile del "girotondismo". Ognuno è chiamato ad esercitare fino in fondo il proprio compito, con realismo e senso di responsabilità. Ma anche con il rispetto doveroso del proprio ruolo, e con la forza necessaria delle proprie convinzioni, maggioritarie o minoritarie che siano.

Nelle istituzioni, il presidente della Repubblica e la Consulta sapranno usare tutta la saggezza, ma anche tutta la fermezza che serve a fronteggiare questi tentativi di ripiegare la vita nazionale su una biografia personale. La Costituzione gli attribuisce quanto basta, per non affidare la tenuta delle regole democratiche solo ai "messaggi in bottiglia" della moral suasion. Nella politica, l'opposizione ha il dovere di battersi fin dai prossimi giorni, in Parlamento, con parole nette e con proposte chiare. Senza improvvisare Aventini inutili o promettere "autunni caldi" improbabili. E soprattutto senza farsi paralizzare, attonita e inconcludente, di fronte al "totem" del dialogo, che ormai rischia di diventare una forma impropria di "ideologia della legislatura".

Il dialogo può essere un utile metodo di governo. Ma ha senso se precipita su un merito, su un oggetto concreto, di volta in volta sviscerato, riveduto, condiviso. Se Berlusconi continua a bastonare il Pd a colpi di Lodo Alfano, ed è lui stesso a dire "con loro non dialogo più perché rappresentano un'opposizione giustizialista", non ha molto senso che Veltroni continui a ribattere che a questo punto "il dialogo è compromesso". Il dialogo su cosa? Il dialogo con chi? Sulla giustizia, se le basi sono queste, molto più semplicemente il dialogo non c'è e non ci può essere. C'è lo scontro aperto, nelle sedi in cui questo è previsto, cioè le aule di Camera e Senato. Se poi tra un mese si avvia un confronto sul federalismo, o si apre un tavolo sulla legge elettorale, allora si valuta il da farsi. Ma intanto questo è lo stato dell'arte.

Quello che stupisce, e che a tratti inquieta, è che dopo la "rivoluzione light" del 13 aprile, e di fronte al vento del mutato Zeitgeist che gonfia le vele del Cavaliere, ci siano tanti, troppi benpensanti disposti a rinunciare alla difesa delle proprie idee. Per il puro e semplice timore di sentirsi fuori dal senso comune prevalente, esclusi dalla nuova "egemonia culturale" dominante. Il fatto oggettivo che "tanto ha già vinto tre volte le elezioni e può rivincerle anche la quarta", non è una ragione valida per turarsi il naso e dire sì al salvacondotto al Cavaliere. Per accodarsi e subire passivamente la lezione quasi eversiva di Giuliano Ferrara, che sul Foglio titola "nessuno lo può giudicare" e attacca "il corteo vociante dei giustizialisti", che avranno pure dalla loro "i commi e i codicilli", ma "hanno perso l'autorità civile per giudicare in nome del popolo italiano chi da quel popolo è stato eletto democraticamente".
L'alba nascente di questo "nuovo potere", autoritario e avvolgente, populista e popolare, non può coincidere con il lento crepuscolo del diritto. Piaccia o no ai sovrani di turno, una democrazia vive anche di quei commi e di quei codicilli.

da Repubblica.it (28 giugno 2008)

Leggi anche:
"Le favorite ai tempi del Cavaliere" - Natalia Aspesi
"Financial Gaffes" - M.Travaglio


giovedì 26 giugno 2008

Oh no, non ancora


Il Financial Times di oggi scrive:
Oh no, non ancora.
Ancora una volta il focus di Berlusconi è sé stesso e non gli italiani.
Silvio Berlusconi è in carica in Italia da 50 giorni. Guardare il suo nuovo governo in azione è un po’ come mettersi a sedere per guardare un cattivo vecchio film ancora una volta. Quando il leader di Forza Italia governò l’Italia dal 2001 al 2006, spese troppo tempo a legiferare per proteggere sé stesso dai procedimenti giudiziari e troppo poco per riformare l’economia italiana. E’ presto per dare giudizi definitivi, naturalmente. Ma l’ultima prova di governo di Berlusconi assomiglia già a un altro film dell’orrore.
Ancora una volta, il settantunenne primo ministro sta spendendo molta della sua energia politica per fare leggi che lo proteggano dai pubblici ministeri italiani. Vuole fare approvare una legge che sospenderebbe per un anno molti processi per i quali è prevista una condanna inferiore ai 10 anni. Se la legge sarà approvata verrà affondato il processo previsto per l’inizio del mese prossimo nel quale Berlusconi è accusato di aver pagato 600.000 dollari al suo avvocato inglese, David Mills. L’opposizione ha soprannominato la legge: “salva premier”.
Berlusconi non si ferma qui.
Sta anche cercando di introdurre una legge che garantirebbe l’immunità dai processi alle principali cariche dello Stato, inclusa la sua. Una tale legge sarebbe impensabile nella maggior parte degli Stati occidentali ed è stata giudicata incostituzionale dalla Corte costituzionale quando Berlusconi cercò di introdurla nel 2004. Ora che è ritornato, Berlusconi ci prova un’altra volta.
Tutto questo sarebbe di modesto interesse se Berlusconi spendesse la stessa quantità di energia per riformare la declinante economia italiana. Ma anche qui le paure stanno crescendo. L’ultima volta che ebbe il potere, uno de peggiori errori di Berlusconi fu di lasciare fuori controllo il deficit italiano e la spirale dei debiti. Ci si interroga se stiamo per rivedere la stessa situazione.
Il governo Berlusconi ha introdotto una previsione finanziaria con una crescita del deficit pubblico dall’1,9% del prodotto interno lordo del 2007 al 2,5% del 2008. La crescita può essere giustificata dalla bassa crescita economica; ma non si sono ancora segnali che questo governo stia mantenendo una stretta presa sulla spesa pubblica.
Per la salute dell’Italia, le cose devono migliorare da qui. Il Paese ha una delle crescite più basse nell’area dell’euro. C’è bisogno di un governo serio e responsabile per invertire il processo economico. Ieri Berlusconi ha detto che i pubblici ministeri italiani lo hanno costretto a un “Calvario” senza fine. Ma l’unico “Calvario” sofferto in questa storia è quello sopportato dall’Italia, che ha bisogno di una drammatica inversione di tendenza delle sue fortune politiche ed economiche.”

"Dei Delitti e delle Pene" alla berlusconiana

The Guardian, 24.6.08

La democrazia é in pericolo quando un premier - egli stesso coinvolto in un processo per corruzione - inizia una guerra contro la magistratura
[articolo originale di Giulia Laganá qui]

Il celebre saggio del XVIII secolo del filosofo illuminista italiano Cesare Beccaria, "Dei Delitti e delle Pene", che ha posto le fondamenta del moderno pensiero su detenzione, tortura e pena di morte, inizia con lo sviluppare la nozione che le sentenze di incarcerazione dovrebbero servire a stimolare l'integrazione sociale dei criminali, piú che considerare la punizione come una sorta di mera vendetta sociale.

Il governo Berlusconi, che é salito al potere due mesi fa sulla scia di un'ondata di panico pompata dai media su una presunta impennata dei tassi di criminalitá, sta al momento srotolando legislazioni che inaspriranno le sentenze per un certo numero di reati minori e assicureranno che l'accesso dei detenuti a programmi di servizio sociale come alternativa al tempo di detenzione sia drasticamente ristretto. Gli immigrati in Italia - e quelli irregolari in particolare - sconteranno la pena di questi provvedimenti, nonostante la stragrande maggioranza dei criminali nel paese sia costituita da cittadini italiani.

Berlusconi, per quanto i media stranieri possano dilettarsi nel descrivere le sue stramberie, non é soltanto un giullare permanentemente abbronzato con l'ossessione dei trapianti di capelli e della chirurgia plastica ed un debole per le barzellette di cattivo gusto su tedeschi, donne, omosessuali e sua moglie. L'ex-cantante di crociera ha dimostrato quanto sia pericoloso per la democrazia nei suoi precedenti 5 anni al potere, quando ha portato avanti cambi nella legislatura per evitare i processi o per bloccare investigazioni nei suoi oscuri interessi, consolidato il suo impero mediatico, esercitato controllo assoluto sulla televisione pubblica, lanciato attacchi alla magistratura, incoraggiato i servizi segreti a spiare e raccogliere dati su decine di migliaia di presunti giornalisti, imprenditori e intellettuali di sinistra, e presidiato un summit del G8 nel 2001 dove, secondo Amnesty International, le autoritá italiane hanno violato i diritti umani dei dimostranti su vasta scala.

Questa volta, gli alleati di Berlusconi nel parlamento hanno giá intavolato proposte per bloccare un decreto dell'UE che trasformerebbe una delle stazioni TV terrestri del premier in un canale su satellite. La settimana scorsa, i suoi avvocati/parlamentari hanno inserito un nuovo, all'apparenza contraddittorio emendamento nel "pacchetto sicurezza", un insieme di regole che induriranno la legislazione riguardo immigrazione e asilo, peresguiranno i reati minori e sguinzaglieranno l'esercito nelle maggiori cittá. L'emendamento "blocca-processi", com'é conosciuto adesso, bloccherá tutti i processi in corso per reati che prevedono una pena massima di 10 anni di carcere e che sono stati commessi prima del 30 Giugno 2002 - una data apparentemente arbitraria, che per coincidenza assicurerá che il piú recente processo per corruzione di Berlusconi - che coinvolge David Mills, marito adesso alienato di Tessa Jowell - si blocchi.

In un summit tenuto venerdí scorso a Bruxelles, un insolitamente cupo Berlusconi ha sfogato la sua rabbia contro i magistrati che, a suo dire, vogliono "sovvertire la democrazia". Il premier italiano ha promesso che avrebbe "denunciato le iniziative di giudici e pm che si sono infiltrati nel sistema giudiziario [e] vogliono sovvertire il voto". I sondaggi mostrano che gli italiani, che sono stati soggetti ad un'intensa campagna dei media lunga 14 anni apta a provare che i magistrati "rossi" hanno un risentimento personale contro Berlusconi, appoggiano le proposte del governo per restringere l'indipendenza della magistratura. La "opposizione fantasma" italiana, come the Economist ha recentemente ribattezzato il Partito Democratico
, ha a malapena segnalato che potrebbero votare un'altra proposta di legge per garantire l'immunitá ai presidenti della Repubblica, del Consiglio, del Senato e della Camera se l'emendamento "blocca-processi" fosse ritirato.

Il marchese di Beccaria faceva sagacemente notare che "la piú grande felicitá della collettivitá é il fondamento della morale e della legislazione"
(frase che in veritá é di Jeremy Bentham ma ripresa dalle tesi di Beccaria, ndr). Nell'Italia di Silvio Berlusconi, la piú grande felicitá di un particolare individuo sembra essere modellare la morale e la legislazione - sovvertendo la democrazia in uno stato membro fondatore dell'Unione Europea.

mercoledì 25 giugno 2008

Al Tappone

Foto di Roberto CorradiOra d'aria - M.Travaglio, l'Unità, 24 giugno 2008

Si era pure messo un Panama bianco, modello Al Capone, sul capino bitumato, per impressionare il vescovo e farsi dare la santa comunione anche se è un massone divorziato. “Fate in fretta a cambiare queste regola”, gli ha intimato, non bastandogli quelle che cambia ogni giorno lui per salvarsi dai processi. Ma il vescovo di Tempio-Ampurias, Sebastiano Sanguinetti, che in confessionale ne ha visti sfilare di peggiori, non s’è lasciato intimidire: “Per queste deroghe, lei che può, si rivolga a chi è più in alto di me”. Non si sa se alludesse semplicemente al Papa, che Al Tappone considera comprensibilmente un suo parigrado, o direttamente al Padreterno, col quale potrebbero sorgere alcune incomprensioni.

Soprattutto a proposito di certe usanze dell’illustre Padre della Chiesa di scuola arcoriana: tipo allungare mazzette per comprare politici (Craxi) o giudici (Mondadori), accumulare fondi neri in paradisi fiscali, magnificare l’evasione fiscale alle feste della Guardia di Finanza, frequentare mafiosi travestiti da stallieri. Usanze non troppo compatibili col VII comandamento, “Non rubare”, che pare non sia ancora depenalizzato. Ieri, su Repubblica, Edmondo Berselli suggeriva opportunamente all’aspirante comunicando di chiedere, “prima della comunione, la confessione”. Ma non vorremmo essere nei panni del confessore (a parte il superlavoro che gli capiterebbe tra capo e collo, nel giro di due minuti il sant’uomo diventerebbe una “tonaca rossa”, verrebbe accusato di fare un “uso politico della confessione” e poi ricusato a vantaggio di qualche collega di Brescia).

Immediatamente le tv e i giornali al seguito, cioè quasi tutti, han cominciato a interpellare altri divorziati e peccatori famosi, ma anche qualche confessore di vip, per lanciare una gara di solidarietà in favore del Cavaliere in astinenza da ostie. Il pover’uomo soffre così tanto che bisogna far qualcosa, profittando delle norme ora in discussione in Parlamento. Si potrebbe sospendere per un anno il divieto di partecipare all’eucarestia a tutti i battezzati nel 1939, sotto il metro e 60 e col cranio asfaltato, che abbiano divorziato nel 1985, risposandosi nel 1990 con donne chiamate Veronica nel corso di cerimonie civili officiate da Paolo Pillitteri, avendo come testimoni Bettino e Anna Craxi, Confalonieri e Letta. Così si darebbe il tempo al Parlamento e al Vaticano di concordare un Lodo Schifani-Bagnasco che modifichi contemporaneamente la Costituzione della Repubblica Italiana e il Codice di Diritto Canonico, con una deroga all’indissolubilità del matrimonio per tutte le alte cariche dello Stato e della Chiesa, divorziate e non, che consenta loro di accostarsi alla santa comunione per tutta la durata del mandato. Il che, si badi bene, non significa una licenza di divorziare sine die: il divieto ricomparirebbe alla scadenza dell’incarico, in ossequio al principio di eguaglianza.

Del resto, già nella legge sulle intercettazioni è previsto qualcosa di simile: per arrestare o indagare un sacerdote, il magistrato è tenuto ad avvertire il suo vescovo; per indagare o arrestare un vescovo, deve avvisare il Segretario di Stato vaticano. Il che lascia supporre che, per indagare eventualmente sul Segretario di Stato, si debba chiedere il permesso al Papa; e per indagare - Dio non voglia - sul Papa, rivolgersi direttamente al Padreterno. Ecco, basterebbe estendere il Lodo a preti, vescovi, segretario di Stato e Papa per risparmiare fatica. Si dirà: ma il Segretario di Stato, il Papa e la stragrande maggioranza dei preti e dei vescovi non commettono reati. Embè? Nemmeno i presidenti delle Camere, della Repubblica e della Consulta hanno processi. Ma li si immunizza lo stesso, perché non si noti troppo che l’unico autoimmune è Al Tappone. Altrimenti, come per la legge bloccaprocessi, lo si costringe al triplo salvo mortale carpiato con avvitamento: farsi le leggi per sé e poi a dichiarare che chiederà di non beneficiarne (ben sapendo, peraltro, che le leggi valgono per tutti, anche per lui).

E dire che negli anni 80, liquidata la prima moglie, il Cainano aveva accarezzato una soluzione che tagliava la testa al toro: come rivela il suo confessore, don Antonio Zuliani da Conegliano Veneto, aveva pensato di “chiedere l’abolizione delle prime nozze alla Sacra Rota. Ma poi non ha voluto”. Si sa com’è questa Sacra Rota: infestata di toghe rosse. Peccato, perché all’epoca era ancora in piena attività l’avvocato Previti, che per vincere le cause perse aveva un sistema infallibile. Senza bisogno di cambiare le leggi.


Intervista a Jeremy Rifkin
sui nuovi metodi di produrre energia


P.Pardi: tutti i reati sospesi dal decreto-vergogna
- da Micromega Online
 
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