domenica 26 ottobre 2008

Shock nel sistema

[The Guardian], da Italia dall'estero

I tagli al budget e le riforme del sistema scolastico italiano hanno provocato un’ondata di proteste.

“Si tratta di una protesta davvero strana” riflette Teresa Bencetti in un caffé dietro l’angolo della scuola elementare di Roma Victor Hugo Girolami. Nessuno le ha proposto di rinunciare al proprio lavoro di insegnante di matematica e inglese, dice. Nessuno le ha proposto di ridurre il suo stipendio che, tolte le tasse, la lascia con 14,400€ circa annui. Ma il governo di centro-destra guidato da Silvio Berlusconi sta cercando di sottoporre il martoriato sistema scolastico italiano ad un terapia d’urto: la Bencetti e molte altre sue colleghe temono che produrrà più danni che risultati positivi.

La scorsa settimana studenti universitari e professori si sono uniti per la prima volta alla crescente ondata di proteste contro i tagli e le riforme imposte dal giovane Ministro dell’istruzione di Berlusconi, Mariastella Gelmini. Le critiche ritengono che le scuole torneranno indietro di almeno 30 anni. A seguito di manifestazioni e sit-in, la maggiore coalizione sindacale ha proclamato una giornata di sciopero generale per l’istruzione il 30 ottobre.

La posta in palio è altissima. Gli economisti sono tutti d’accordo nell’identificare uno dei motivi chiave per cui l’Italia è diventata, negli ultimi 10 anni, il fanalino di coda dell’Europa nel fatto che il sistema educativo non si sia adeguato alle esigenze di una società della conoscenza. “Non lo facciamo per noi stessi, ci interessa il futuro dei nostri alunni” dice Letizia Baldoni, che insegna italiano.

La Victor Hugo Girolami si trova nel quartiere di Monteverdi Nuovo che Paola Pandolfi, un’altra insegnante, definisce di “classe medio-alta”. Tuttavia la scuola non ha la banda larga e possiede solo una dozzina di computer per 500 bambini. I soldi non dovrebbero essere un problema. La patria natìa di Maria Montessori spende per i suoi alunni tra i 6 e gli 11 anni molto di più della media dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD). I soldi scarseggiano invece nell’educazione secondaria. Ma anche qui, la spesa media per studente è 5.700 euro, poco sotto la media della OECD.

Il nocciolo della questione è che le risorse a disposizione sono gestite male - o, meglio, in maniera non proficua. Circa il 79% del budget destinato all’istruzione viene divorato dagli stipendi. Tuttavia gli insegnanti non sono particolarmente ben retribuiti. Nella scuola elementare, guadagnano il 78% della media OECD (anche se hanno un carico di lavoro minore: 24 ore settimanali di base). Il problema è dunque che ce ne sono troppi. L’Italia è un paese caratterizzato da settimane corte, giornate lunghe e classi piccole, spesso in scuole di modeste dimensioni.

Paragoni a livello internazionale

L’educazione elementare, comunque, ottiene ottimi risultati se comparata a livelli internazionali. Uno studio della OECD pubblicato il mese scorso piazza l’Italia tra il quinto e l’ottavo posto secondo diversi criteri in una classifica che analizza le 30 nazioni più ricche. I problemi iniziano nella scuola secondaria. La performance degli adolescenti italiani nei test Pisa (programma internazionale di valutazione degli studenti) è stato un disastro. Nell’ultimo, fatto nel 2006, gli studenti sono stati i peggiori tra Spagna, Francia, Germania, Regno Unito e USA (anche se con enormi differenze di risultati tra il ricco nord e le zone meridionali più povere).

Durante gli ultimi anni si sono anche registrati dei disgustosi episodi di bullismo, violenza e molestie di insegnanti nei confronti degli alunni. Tali eventi, più di ogni altra cosa, hanno portato a parlare di una “emergenza istruzione”.

Gelmini, figlia di un maestro di scuola elementare, ha ottenuto l’incarico ad aprile prendendosi l’impegno di affrontare il problema. Ma, in un periodo in cui l’Italia ha difficoltà a restare nei limiti di budget imposti dalla comunità europea, il Ministro è anche costretta ad attenersi alle esigenze di un budget molto limitato. Il problema che sta affrontando dunque è notevolmente difficile - migliorare qualità e disciplina e, nel contempo, contenere le spese. Nessuno può accusarla di compiacenza. Non è passato neanche un giorno, da quando è diventata ministro, senza qualche titolo di giornale dedicato all’istruzione. La prima mossa del Ministro 35enne è stata annunciare una riduzione delle spese di 7,8 miliardi di euro.

In netto contrasto con quanto accade in Inghilterra, il grosso dei tagli sono stati diretti alle scuole elementari che sono in realtà l’unica parte del sistema che funziona (le università sono un problema ancora più spinoso delle scuole). Molte piccole scuole saranno costrette a chiudere - 260 solo nel Lazio, la regione in cui si trova Roma. Circa 87.000 posti di insegnante e 45.000 posti di insegnanti di sostegno verranno tagliati.

Il governo assicura che nessuno perderà il proprio posto di lavoro. I risparmi verranno ricavati nei prossimi 3 anni accademici attraverso le mancate assunzioni. Tuttavia, questa è una magra consolazione per le decine di migliaia di precari - insegnati giovani e senza contratto fisso le cui speranze di una carriera nel settore dell’istruzione saranno frustrate sino al 2012 e, in molti casi, abbandonate per sempre. Gli oppositori di questa politica del governo sostengono, tra le altre cose, che ciò ha ostacolato il ricambio generazionale degli insegnanti.

Attualmente, i genitori degli alunni delle scuole elementari hanno una sola scelta. Possono iscrivere i propri figli per cinque mattine e due pomeriggi a settimana: in questo caso i bambini dovranno fare più compiti a casa. Oppure possono optare per 40 ore. Il “tempo pieno”, come si dice, è molto utile per una famiglia in cui entrambi i genitori lavorano. La riforma Gelmini cancella questi sistemi sostituendoli con 24 ore a settimana.

Ma il cambiamento che ha acceso le polemiche - anche se non il dibattito, visto che è stato imposto al parlamento attraverso l’equivalente italiano della “ghigliottina” [per decreto legge, N.d.T.] - è stata la reintroduzione del sistema del “maestro unico” nelle scuole elementari come la Victor Hugo Girolami. Persino qualche alleato di Berlusconi, capeggiati dal leader della Lega Nord Umberto Bossi, si è mostrato contrario a questo provvedimento quando è stato reso pubblico.

La Pandolfi, che insegna storia dell’arte e italiano, adesso affronta la tremenda prospettiva di dover insegnare ad un’intera classe l’intera gamma di materie, incluse quelle di cui non ha una conoscenza adeguata. “Questo sistema esisteva 30 anni fa” dice. “Ormai, le materie che insegniamo sono molto più complesse. E molto più pesanti. Si ha bisogno di un ampio bagaglio di conoscenze per insegnarle in maniera adeguata.”

Il ritorno al maestro unico è solo uno degli elementi che il Ministro ombra dell’istruzione, Maria Pia Garavaglia, definisce criticamente “Operazione Nostalgia”. Così come molti italiani considerano compiaciuti gli anni ‘50 e ‘60 un’età aurea di crescita economica e stabilità politica, così hanno la tendenza a vedere le scuole del passato come una soluzione ai problemi del presente.

Voto in condotta

La Gelmini chiaramente condivide questa visione. Ha reintrodotto i voti di condotta, che erano stati aboliti 10 anni fa. Sta considerando la re-introduzione delle uniformi scolastiche. Ha inoltre invitato i presidi a promuovere i grembiulini, che sembravano destinati all’estinzione, così come è successo in altre nazioni dell’Europa occidentale, eccetto per le lezioni di arte. La Pandolfi è preoccupata dal fatto che qualsiasi beneficio che queste misure possono portare sarà spazzato via dall’abolizione dell’insegnamento a tempo pieno nelle scuole elementari. “Nelle zone meno agiate, il “tempo pieno” serve a tenere i ragazzi lontani dalle strade” dice.

La sofisticata interpretazione è che la Gelmini stia costruendo le fondamenta per chiedere maggiori risorse per affrontare il problema più difficile costituito dalla riforma della scuola secondaria. Un sondaggio dello scorso mese rileva che è stata il membro di governo più popolare, con un indice di approvazione del 66%. Ma il rischio è che, con l’Italia che si dirige ancora una volta verso una recessione che metterà a dura prova le finanze pubbliche, il tesoro chiuderà il rubinettouna volta che i tagli entreranno in vigore.

Giacomo Vaciago, professore di economia politica alla Università Cattolica di Milano, nonché uno delle maggiori autorità in materia di istruzione, è fortemente critico nei confronti del sistema attuale. Tuttavia crede che l’approcio del governo sia “ingenuo e conservatore”. “L’idea sembra essere che se torniamo al passato ritroveremo la vecchia qualità - un assunto alquanto ingenuo. La qualità è qualcosa che non si ottiene facilmente con grembiulini e disciplina.”

[Articolo originale di John Hooper]

Scuole fuori

[The Economist], da "Italia dall'estero"

I piani per riformare il sistema scolastico italiano provocano critiche.

L’Italia potrebbe essere sul punto di una recessione, ma il 2009 offre la promessa di una crescita senza precedenti per Siggi, un’impresa tessile vicino Vicenza nel nord est del paese. Siggi è il più grande produttore di grembiuli, o divise scolastiche. Un tempo molto diffuse nella scuola elementare italiana, sono passate di moda, come le boccettine di inchiostro. Ma a luglio il ministro dell’educazione Mariastella Gelmini ha puntato sulla reintroduzione dei grembiuli per combattere l’imbarazzo determinato da differenze di classe e di vestiti firmati fra gli alunni. La produzione di Siggi quest’anno ha quasi fatto il tutto esaurito e il suo presidente Gino Mara ha detto che “il prossimo anno ci potrebbe essere un vero e proprio boom” .

La decisione di far indossare il grembiule agli alunni è lasciata agli insegnanti di ruolo. Ció non figura in nessuno dei due disegni di legge per l’istruzione introdotti dalla Gelmini, ma è diventato un simbolo dei suoi sforzi volti a scuotere l’istruzione italiana. Le critiche sostengono che tutto ciò sia un vano tentativo di far tornare indietro l’orologio; i suoi sostenitori lo considerano un primo passo necessario per un sistema più equo ed efficiente.

Il 30 ottobre i contrasti da lei suscitati culmineranno in una giornata di sciopero degli insegnanti. I sindacati denunciano principalmente il programma di tagli volti a risparmio di quasi 8 miliardi di euro (11 miliardi di dollari). Questo include la perdita naturale di 87.000 posti di lavoro di insegnanti nel corso dei tre anni accademici fino al 2012 e il ritorno ad un sistema con un unico insegnante nella scuola elementare.

Se la riforma si limitasse solo a questo, si potrebbe rivelare disastrosa come i rappresentanti di sindacati ed opposizione prevedono (studi internazionali dimostrano che le scuole elementari sono l’unica parte dell’educazione italiana che funziona bene). Tuttavia è anche previsto che il 30% dei fondi risparmiati saranno reinvestiti nelle scuole. I sostenitori della Gelmini sperano che li riuserà per raddrizzare i paralizzanti squilibri nell’educazione, una delle più grandi debolezze economiche strutturali d’Italia.

Un problema è la grande quantità di insegnanti mal pagati, dice Roger Abravanel, autore di un recente libro sulla meritocrazia. “ Il numero di insegnanti per 100 studenti è uno dei più alti nell’OECD, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico”. L’educazione, particolarmente nel sud, è stata spesso usata dai politici per il patronato politico e per la creazione di posti di lavoro. Questo potrebbe spiegare perché, nonostante studino più a lungo e in classi più piccole, gli studenti italiani delle superiori reggono malamente i confronti internazionali. “ Il nord è intorno alla media dei Paesi dell’OCSE, ma il sud è alla pari con l’Uruguay e la Thailandia” dice Abravanel. Giacomo Vaciago, professore di economia all’Università Cattolica di Milano, dice che anche se per il momento il dibattito è sui tagli, il grande problema è la qualità, che è a casaccio”.

Alla presentazione delle ultime riforme, al fianco della Gelmini il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi ha promesso che, dal 2012, i migliori insegnanti otterranno un premio di € 7.000. Ma l’onorevole Vaciago è scettico sulla riuscita di questi piani. “L’attuale governo sta facendo tagli e sta sperando che il risultato immediato sia un aumento di qualità. Non vi è alcuna garanzia evidente che sarà così” ha commentato.

[Articolo originale]

venerdì 24 ottobre 2008

Gandhi, la scuola e le televisioni

di Peter Gomez

Non c'è nulla di casuale
nelle dichiarazioni seguite da smentita di Silvio Berlusconi sulla polizia nelle scuole. Il Cavaliere quando parla segue una strategia precisa. Da una parte vuole saggiare le reazioni dell'opinione pubblica abituandola a poco a poco all'idea che contro gli studenti si può utilizzare la forza, dall'altra tenta di distogliere l'attenzione dal nocciolo del problema: ai tagli di spesa nella scuola si è provveduto con un decreto legge senza consultare nessuno.

Il decisionismo, del resto, in giorni in cui cinque telegiornali su sei si limitano a fare da megafono del potere, paga. Quello che la maggior parte degli italiani hanno capito del decreto Gelmini è infatti semplice: alle elementari si ritornerà a mettere il grembiule e nelle classi si tornerà ad avere un solo maestro. Tutto il resto passa in secondo piano. Ovvio che in un paese di anziani come il nostro la controriforma, raccontata così, raccolga ampi consensi. Il grembiule (che oltretutto non è un'idea da buttar via) e il maestro unico riportano alla mente della gente i bei tempi andati. Tempi che, man mano si va avanti con gli anni, sono sempre migliori dei presenti.
Non bisogna quindi farsi ingannare dalle manifestazioni. Chi protesta, per quanto numerosi siano i cortei, per il momento rappresenta solo la minoranza dei cittadini. La situazione può però cambiare rapidamente. La controriforma, per come è stata concepita, è destinata a toccare ampi strati della popolazione, a incidere direttamente sulla vita delle famiglie. Ma, nella gran parte dei casi, non lo farà subito. Molti cambiamenti avverranno lentamente. Per questo Berlusconi si lamenta dei giornali e a parole sminuisce la portata degli interventi (il maestro unico, per esempio, nei discorsi del premier diventa maestro prevalente): il suo obiettivo è prendere tempo e far sì che non si conoscano troppo bene gli esatti contenuti delle nuove norme.

Col passare dei giorni e il crescere delle proteste la probabilità che si verifichi qualche incidente (quasi inevitabile quando migliaia di persone molto giovani scendono in piazza) aumenta. E gli incidenti, che Berlusconi con i suoi interventi sembra voler evocare, rappresenterebbero per lui una vittoria. Le tv ci metterebbero un secondo ad amplificarne la portata innescando una serie di reazioni a catena difficilmente prevedibili.

Che fare allora? Quattro cose: ricordarsi di Gandhi che con la non violenza liberò una nazione, non accettare provocazioni, organizzare proteste sempre più "mediatiche" che possano trovar spazio nei telegiornali, presentare poche e chiare controproposte. Che nel mondo della scuola e delle università si disperdano inutilmente molti capitali è un fatto. Che sia necessaria una razionalizzazione delle spese è un altro fatto (pensiamo, per esempio, alle norme che hanno consentito l'apertura di nuovi atenei in quasi ogni capoluogo di provincia e la creazione di corsi di laurea in materie che non permetteranno a nessuno di trovare occupazione).

Insomma anche manifestando studenti e docenti dovranno continuare a lavorare. Serve subito una piattaforma precisa. Un programma per punti sul quale il governo sia costretto ad aprire la discussione.

leggi anche:
"Conferenza stampa Veltroni - Fioroni in risposta al Ministro Gelmini ed al Premier" - da Radio Radicale

giovedì 23 ottobre 2008

Inquietante....

Dalla conferenza stampa di Silvio Berlusconi di ieri.

“Non permetterò l’occupazione delle università. L’occupazione di luoghi pubblici non è la dimostrazione dell’applicazione della libertà, non è un fatto di democrazia, è una violenza nei confronti degli altri studenti che vogliono studiare. Convocherò oggi il ministro degli Interni, e darò a lui istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell’ordine per evitare che questo possa succedere. La realtà di questi giorni è la realtà di aule piene di ragazzi che intendono studiare e i manifestanti sono organizzati dall’estrema sinistra, molto spesso, come a Milano, dai centri sociali e da una sinistra che ha trovato il modo di far passare nella scuola delle menzogne e portare un’opposizione nelle strade e nelle piazze alla vita del nostro governo”.

Da un’intervista rilasciata dal senatore Francesco Cossiga al quotidiano La Nazione.

Domanda - Presidente Cossiga, pensa che minacciando l’uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato?

Risposta - Dipende, se ritiene d’essere il Presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché l’Italia è uno Stato debole, e all’opposizione non c’è il granitico PCI ma l’evanescente PD, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figuraccia.

D - Quali fatti dovrebbero seguire?

R - Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero Ministro dell’interno.

D – Ossia?

R - In primo luogo, lasciar perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…

D - Gli universitari, invece?

R - Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri.

D - Nel senso che…

R - Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano.

D - Anche i docenti?

R - Soprattutto i docenti.

D - Presidente, il suo è un paradosso, no?

R - Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!

D - E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? In Italia torna il fascismo, direbbero.

R - Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio.

D - Quale incendio?

R - Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese.


Da Pieroricca.org, col titolo "Istruzioni dettagliate"

La scuola, le banche, la Gelmini

Da Vanity Fair, 22 ottobre 2008

Sono belli e allegri i cortei di questi giorni contro la riforma della scuola ideata dagli staff dei ministri Tremonti & Brunetta e poi passata sotto banco, durante l’intervallo, alla ministra Mariastella Gelmini, che a ogni interrogazione in pubblico, e con notevoli occhiali, la difende a memoria.

Sono belli, allegri e irriverenti, come è giusto che sia (“taglia taglia e il bambino raglia”) in omaggio, anche, alla giovinezza. Sono persino educati. Infinitamente più educati di quanto non lo siano gli adulti, non solo i politici, che stanno (che stiamo) furiosamente scassando il mondo, incapaci di distribuire un po’ di riso, un po’ di medicine, un po’ di acqua pulita, un po’ di contraccettivi per alleviarne la deriva. Ma capacissimi di moltiplicare guerre e crolli finanziari. Consumi e fallimenti. Trovando in tre settimane migliaia di miliardi di dollari per salvare le banche, ma nulla, o quasi nulla, da decenni, per salvare qualche ragazzino africano dalla malaria e comprare dei banchi in più per gli scolari di Scampia.

Dicono che gli studenti ne sappiano poco o nulla della riforma della scuola e che protestino per niente. Il niente sarebbero i grembiulini, il sette in condotta, il maestro unico e magari le classi dell’apartheid padana. Ma se davvero fossero niente, allora perché la riforma? E se non prevedesse il taglio di classi, di scuole, di posti di lavoro, e di buon senso, perché affannarsi a vararla? Per licenziare un po’ di bidelli? Ma no, dice la signora Gelmini. La quale sa anche sorridere mentre spiega che tagliando qui e là si rimetterà ordine al disordine scolastico, ci sarà più disciplina e più premi ai meritevoli. La sua carriera lo dimostra. Le classi dirigenti lo dimostrano e il mondo che ne consegue pure. Sarà quel suo sorriso lieto a irritare i ragazzi più della riforma, oppure solo le bugie?

di Pino Corrias

martedì 21 ottobre 2008

Il Paese senza futuro

Sono tempi oscuri e minacciosi per i ricercatori in Italia. A sostenerlo non sono i “camici rossi” disseminati nei laboratori del nostro Paese e sempre pronti - a detta di certa stampa - ad attaccare il governo Berlusconi. Ma è la più autorevole rivista scientifica al mondo, Nature, in un editoriale nel fascicolo appena pubblicato. I motivi alla base della critica, per nulla velata, avanzata da Nature alla politica della ricerca del governo Berlusconi sono sia congiunturali che strategici.



Quelli congiunturali sono almeno tre. Il primo riguarda il blocco della procedura di stabilizzazione dei precari negli Enti pubblici di ricerca voluto dal ministro Renato Brunetta. Il blocco impedirà ad almeno 2.637 “stabilizzandi” - ovvero con titoli già maturati - non solo di avere contratto a tempo indeterminato, ma di poter continuare a lavorare nel mondo della ricerca pubblica. Chi non sarà stabilizzato sarà, di fatto, cacciato via, come ha denunciato ieri in una intervista all’Unità l’ex ministro dell’Università Fabio Mussi. Così, in un colpo solo, il Paese rinuncerà a quasi il 4% delle sue risorse umane nella ricerca, mentre il tutto il mondo l’universo dei ricercatori tende a crescere. In realtà il danno sarà ancora più grande. Perché il blocco voluto da Brunetta toglie la speranza di un lavoro stabile da decine di migliaia di altri precari, creando le premesse per una fuga di massa dei giovani dalla ricerca scientifica in Italia.

Il secondo motivo congiunturale (ma non troppo) riguarda il taglio dei fondi alle università e il blocco quasi totale del turn-over: in pratica nei prossimi 5 anni gli atenei italiani dovranno rinunciare a 4 miliardi di euro. Il che significa che ci saranno meno risorse a disposizione, materiali e umane, sia per la didattica che per la ricerca. Un rischio tanto più grave se si tiene conto che il governo ha deciso che i fondi per l’università e la ricerca potranno essere utilizzati per coprire le eventuali perdite del sistema finanziario.

Il terzo motivo congiunturale, sottolineato in maniera particolare da Nature, è il totale e singolare silenzio del ministro competente, la signora Mariastella Gelmini, che si limita ad assistere senza interferire alle decisioni politiche assunte in altra sede (dal minsitro del’Economia Tremonti e dal ministro della Funzione pubblica Brunetta). Di fatto nessuno, nel governo Berlusconi, difende le ragioni della ricerca.

La rivista Nature propone, poi, due motivi strutturali alla base della sua critica. La prima è l’indicazione, contenuta nella legge 133/08, che le università potranno trasformarsi in fondazioni private. A volerla prendere sul serio, questa norma rappresenta una svolta epocale: la conoscenza acquisibile mediante l’educazione terziaria cessa di essere in linea di principio un bene pubblico e diventa un bene di mercato, accessibile solo ai più ricchi. A volerla prendere come l’hanno presa i rettori, la norma sembra preludere a ulteriori tagli della risorse pubbliche a favore delle università.

Ma la principale ragione di critica fatta propria da Nature alla politica della ricerca italiana è il suo andare in direzione opposta rispetto alla strada indicata dall’Unione europea nel 2000 a Lisbona (l’Europa leader dell’economia della conoscenza) e ribadita nel marzo 2002 a Barcellona (investimenti in ricerca pari ad almeno il 3% del Pil entro il 2010). Quasi tutti i paesi europei sono lontani dalla soglia di Barcellona: la media europea è ora attestata all’1,8%. Ma nessuno - tranne l’Italia - sta diminuendo i suoi investimenti, pur essendo in coda al convoglio (l’Italia investe l’1,0% del Pil in ricerca).

L’economia della conoscenza è unanimemente considerata l’economia più solida per costruire il futuro (sostenibile) delle nostre società. Per realizzarla la ricerca scientifica (di base e applicata) e lo sviluppo tecnologico sono assolutamente necessari, ma non bastano. Occorre un intero “pacchetto conoscenza”, ovvero investimenti importanti nell’educazione (primaria, secondaria e terziaria), oltre che in ricerca. Ebbene, anche nel settore educazione l’Italia è più indietro degli altri Paesi. Secondo l’Ocse l’Italia investe nel “pacchetto conoscenza” il 5,4% del Pil, contro il 7,5% circa di Francia, Germania, Gran Bretagna e Giappone, o addirittura il 10% circa di Stati Uniti, Corea e Svezia.

Gli altri investono molto e tendono ad aumentare i loro investimenti in conoscenza. Noi investiamo poco e tendiamo a diminuire gli investimenti in conoscenza. Gli altri costruiscono nuovi e larghi ponti verso il futuro. Noi stiamo incomprensibilmente tagliando i piloni a quei pochi e stretti che ci restano.

di Pietro Greco, l'Unità,it

sabato 18 ottobre 2008

Nuova legge minaccia i posti di lavoro dei ricercatori italiani

Pubblico un altro articolo apparso sulla prestigiosa rivista "Nature" (forse la più autorevole testata giornalistico-scientifica) riguardante il terrificante futuro che aspetta i ricercatori italiani.

Mi chiedo, e vi chiedo: è mai POSSIBILE che in questo ca..o di Paese queste cose le apprendiamo da una rivista estera (Inglese) e non dai media nostrani??

Io sono sgomento.


Pubblicato Mercoledì 15 Ottobre 2008 in Inghilterra da "Nature"

Gli scienziati protestano per i tagli dei costi decisi dal governo.

Quasi 2.000 ricercatori italiani perderanno i contratti a tempo indeterminato loro promessi, a causa di una legge che dovrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno. Potrebbero dover abbandonare del tutto la ricerca pubblica.

La scorsa settimana, la Camera dei Deputati del nuovo governo di centro-destra di Silvio Berlusconi ha esaminato il disegno di legge, che mira a ridurre la spesa pubblica attraverso la razionalizzazione del servizio pubblico. Vari ricercatori si sono messi in vendita su eBay, come parte di una campagna che ha anche coinvolto decine di migliaia di manifestanti in corteo per le strade di Roma e di altre città.

La proposta di legge si oppone esplicitamente ad un’altra legge approvata dal precedente governo di centro-sinistra, secondo la quale i ricercatori precari da molto tempo potrebbero essere assunti in modo permanente, se adeguatamente qualificati. La legge proibisce inoltre che gli scienziati vengano assunti tramite una serie di contratti a breve termine, e coloro che sono già stati selezionati per l’assunzione a tempo indeterminato, avendo accumulato piú di tre anni di contratto negli ultimi cinque anni, saranno ora lasciati per strada.

Renato Brunetta, Ministro per la amministrazione pubblica e l’innovazione che ha progettato la nuova legge, ha fatto infuriare ulteriormente gli scienziati definendo molti dipendenti pubblici come dei “fannulloni”.

I ricercatori in Italia sono dipendenti pubblici e il numero di posti disponibili è determinato dal governo centrale, piuttosto che dai singoli enti di ricerca. L’ultimo decennio non ha visto quasi nessuna nuova assunzione e, di conseguenza, il numero di ricercatori con contratto temporaneo è schizzato alle stelle. Ci sono almeno 4.500 impiegati con contratti temporanei da molti anni - conosciuti come “precari”, in riferimento alla loro occupazione incerta - che si barcamenano tra un contratto a tempo determinato ed il successivo.

Gli scienziati dicono che la loro protesta non è diretta contro il sistema tradizionale del post-dottorato, bensí contro il malsano squilibrio tra posizioni precarie e assunzioni a tempo indeterminato. “Abbiamo uno squilibrio patologico perché le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono state bloccate” afferma Luciano Maiani, presidente del CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano.

Come risultato delle proteste, Brunetta afferma che ai ricercatori sarà dato tempo fino al 1 luglio 2009, mentre lui esaminerà le loro richieste. Ma i presidenti dei vari enti di ricerca italiani ritengono che l’unica via d’uscita da questa situazione sia dare maggiore autonomia ai singoli enti sugli impieghi statali.

“Il governo deve riconoscere l’alta formazione professionale dei ricercatori - non è opportuno rientrare nel regolamento della categoria degli impiegati statali” spiega Enzo Boschi, presidente di Italia Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.

Claudio Gatti è un fisico delle particelle presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Frascati, che sta per perdere il contratto a tempo indeterminato promessogli a causa della proposta di legge. Egli afferma che “nel sistema di ricerca italiano non c’è programmazione, mobilità e neppure futuro - ma siamo pronti a lottare per i nostri diritti con tutti i mezzi legali a nostra disposizione”.

Il Ministro della ricerca e dell’istruzione Mariastella Gelmini non ha commentato pubblicamente la situazione e non ha risposto alle richieste di commenti da parte di Nature.

[Vedi anche l'editoriale di Nature ]

[Articolo originale di Emiliano Feresin, Alison Abbott]

 
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