Ora d'aria, di M.Travaglio
l'Unità, 15 dicembre 2008
E’ vero, ogni giorno inghiottiamo una tal quantità di bocconi amari che ormai digeriamo anche i sassi. Ma quel che è accaduto una settimana fa, prontamente sparito dalle pagine dei giornali (in tv non ci è nemmeno arrivato) e dunque dal dibattito politico, meriterebbe una riflessione. Almeno nel centrosinistra, visto che nel centrodestra non si riflette: si obbedisce al padrone unico, o prevalente, comunque non facoltativo. Il governo Manidiforbice, sempre a caccia di soldi, aveva tagliato di un terzo (133 milioni su 540) i contributi alle scuole private “paritarie”, quasi tutte cattoliche. Poi i vescovi han protestato, minacciando di “scendere in piazza” con un’Onda nero-porpora. E in cinque minuti l’inflessibile Tremonti s’è piegato, restituendo quasi tutto il malloppo (120 milioni su 133).
Inutile discutere qui sulla costituzionalità della legge 62/2000 che regala mezzo miliardo di euro l’anno alle scuole private, in barba alla Costituzione che riconosce ai privati il diritto di creare proprie scuole, ma “senza oneri per lo Stato”. Qui c’è un Paese allo stremo, dove - a causa della crisi finanziaria e dei folli sperperi su Alitalia e sull’Ici - si taglia su tutto, a partire da scuola pubblica, università pubblica, ricerca pubblica. E’ troppo chiedere anche ai genitori che mandano i figli in istituti privati, dunque non proprio spiantati, di contribuire una tantum ai sacrifici per il bene di tutti? Quel che è accaduto in Parlamento dimostra che sì, è troppo. Anzi, non se ne può nemmeno discutere. Non solo il Pdl ha obbedito senza fiatare al “non possumus” vescovile. Non solo il Pd non ha detto una parola contro la sacra retromarcia tremontiana. Ma il ministro-ombra dell’istruzione Mariapia Garavaglia ha addirittura presentato al Senato una mozione per “l’immediato ripristino dei 133 milioni al fondo scuole paritarie”, e financo per l’aumento dello stanziamento in base alle promesse “del precedente governo”. Mozione firmata anche dai senatori Pd Rusconi, Bastico, Ceruti, Serafini, Soliani, Pertoldi e Vita, in nome di un imprecisato “diritto costituzionale”.
Le finalità dichiarate sono nobilissime: evitare danni agli asili, che specie nei piccoli comuni sono esclusivamente privati. Ma forse tanto allarmismo sarebbe stato più serio se accompagnato da qualche proposta per recuperare altrove le risorse necessarie: per esempio dando una ritoccatina al regime fiscale degl’immobili del clero che, anche quando dichiaratamente a scopo commerciale, in Italia sono esentasse. Certo, la cosa avrebbe suscitato non una, ma cento “onde” vaticane di protesta. Ma perché non prendere in parola il fondamentale discorso del Papa, l’altroieri, sul valore decisivo - per lo Stato e per la Chiesa - della separazione Stato-Chiesa? Cioè della laicità delle nostre istituzioni? Non si tratta di tornare al vetero-anticlericalismo ottocentesco. Basta ricordare quel che scrisse nel 1952 a Pio XII un cattolico doc come Alcide De Gasperi, quando il Papa gli revocò l’udienza privata nel trentesimo anniversario del suo matrimonio per essersi opposto al diktat vaticano di allearsi con i fascisti alle elezioni comunali di Roma: “Come cristiano accetto l’umiliazione, benchè non sappia come giustificarla. Come presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, la dignità che rappresento e della quale non possono spogliarmi neppure nei rapporti privati, m’impongono di esprimere lo stupore per un gesto così eccessivo”. Parole sante, e durissime. C’è qualche politico italiano, a destra o a sinistra, che oggi saprebbe ripeterle?
leggi anche:
Dall'alta velocità a Castello di Marco Ottanelli (Democraziaelegalita.it)
(Contiene brani video della requisitoria del P.M.al Processo Tav.)
Don Camillo e l'onorevole Al Tappone - il video di Roberto Corradi
mercoledì 17 dicembre 2008
giovedì 11 dicembre 2008
Usa, il guru delle rinnovabili
da Repubblica.it
WASHINGTON - Sarà il Carlo Rubbia d'America a prendere in mano le redini del sistema energetico statunitense. Chi pensava che gli impegni di Barack Obama su ambiente e rivoluzione verde dell'industria fossero semplici promesse elettorali dovrà ricredersi. Questo, almeno, fanno intendere i nomi scelti dal presidente eletto degli Stati Uniti per alcuni ruoli chiave dell'amministrazione. Spicca, in particolare, la decisione di affidare lo strategico dipartimento per l'Energia al premio Nobel per la fisica Steven Chu. Docente all'Università di Berkeley, in California, Chu, 60 anni, è un'autorità accademica in materia di ricerca di fonti energetiche alternative e rinnovabili. La sua nomina rappresenta una rottura drastica quindi con l'amministrazione Bush, affollata da personaggi provenienti dalle grandi compagnie petrolifere. Il presidente eletto ha anche scelto come capo dell'Epa, l'agenzia federale per l'Ambiente, Lisa Jackson, ex responsabile per l'ambiente nel New Jersey, uno degli Stati che hanno volontariamente (anche se simbolicamente) aderito a un accordo tra stati molto simile al Protocollo di Kyoto. Carol Browner, ex capo dell'Epa della Florida e stretta collaboratrice di Al Gore, avrà inoltre un posto di coordinatrice delle politiche energetiche e ambientali dell'amministrazione. Completerà la squadra, secondo le indiscrezioni rilanciate dai media americani, Nancy Sutley, vice sindaco di Los Angeles, che verrà nominata alla guida del Council on Environmental Quality, un altro organismo della Casa Bianca dedicato all'ambiente.
Altra scelta dal valore fortemente simbolico da parte di Obama, è stata quella di far trapelare l'organigramma a poche ore da un faccia a faccia con Al Gore, l'ex vicepresidente divenuto un uomo-simbolo delle battaglie contro il cambiamento climatico. Resta invece ancora da riempire la casella del nuovo ministro della Sanità. In questo caso la scelta di Obama sembra sia caduta su Tom Daschle. La certezza si dovrebbe avere oggi, in occasione della conferenza stampa convocata dal presidente eletto per illustrare le politiche della sanità.
(11 dicembre 2008)
WASHINGTON - Sarà il Carlo Rubbia d'America a prendere in mano le redini del sistema energetico statunitense. Chi pensava che gli impegni di Barack Obama su ambiente e rivoluzione verde dell'industria fossero semplici promesse elettorali dovrà ricredersi. Questo, almeno, fanno intendere i nomi scelti dal presidente eletto degli Stati Uniti per alcuni ruoli chiave dell'amministrazione. Spicca, in particolare, la decisione di affidare lo strategico dipartimento per l'Energia al premio Nobel per la fisica Steven Chu. Docente all'Università di Berkeley, in California, Chu, 60 anni, è un'autorità accademica in materia di ricerca di fonti energetiche alternative e rinnovabili. La sua nomina rappresenta una rottura drastica quindi con l'amministrazione Bush, affollata da personaggi provenienti dalle grandi compagnie petrolifere. Il presidente eletto ha anche scelto come capo dell'Epa, l'agenzia federale per l'Ambiente, Lisa Jackson, ex responsabile per l'ambiente nel New Jersey, uno degli Stati che hanno volontariamente (anche se simbolicamente) aderito a un accordo tra stati molto simile al Protocollo di Kyoto. Carol Browner, ex capo dell'Epa della Florida e stretta collaboratrice di Al Gore, avrà inoltre un posto di coordinatrice delle politiche energetiche e ambientali dell'amministrazione. Completerà la squadra, secondo le indiscrezioni rilanciate dai media americani, Nancy Sutley, vice sindaco di Los Angeles, che verrà nominata alla guida del Council on Environmental Quality, un altro organismo della Casa Bianca dedicato all'ambiente.
Altra scelta dal valore fortemente simbolico da parte di Obama, è stata quella di far trapelare l'organigramma a poche ore da un faccia a faccia con Al Gore, l'ex vicepresidente divenuto un uomo-simbolo delle battaglie contro il cambiamento climatico. Resta invece ancora da riempire la casella del nuovo ministro della Sanità. In questo caso la scelta di Obama sembra sia caduta su Tom Daschle. La certezza si dovrebbe avere oggi, in occasione della conferenza stampa convocata dal presidente eletto per illustrare le politiche della sanità.
(11 dicembre 2008)
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lunedì 8 dicembre 2008
W i tedeschi (quando fa comodo)
Signornò, M.Travaglio
dall'Espresso in edicola
Berlusconi scioglie Forza Italia dopo 15 anni con un discorsetto di mezz’ora. Veltroni annuncia la rottura con Di Pietro a “Che tempo che fa”, da Fabio Fazio, ma poi si scopre che era uno scherzo. D’Alema commissaria Veltroni e auspica un leader di nuova generazione a “Crozza Italia”, e il suo non è uno scherzo. Chissà l’invidia di Bruno Vespa, abituato a ospitare le svolte politiche a “Porta a Porta”. Partiti, leadership e alleanze nascono e muoiono in tv, senza congressi né dibattiti interni. Dopodichè, tutti a interrogarsi sul discredito della classe politica e sulle “grandi riforme” necessarie per uscirne. Ne basterebbe una piccola piccola, ma rivoluzionaria: una legge sulla responsabilità giuridica dei partiti, che regoli la democrazia interna e la gestione trasparente degli enormi finanziamenti pubblici. Non occorrono voli pindarici: basta copiare dalla Germania, dove i deputati guadagnano la metà dei nostri, sono uno ogni 112.502 abitanti (da noi, uno ogni 60.371), e i partiti devono rispettare regole ferree: l’articolo 21 della Costituzione del 1949 e la legge sui partiti del 1967.
Strano che D’Alema, grande supporter del modello (elettorale) tedesco, non ne parli mai. In Germania ogni partito, per essere tale, deve riunire il congresso almeno una volta ogni due anni, dandosi un programma, uno statuto e un vertice. E ha diritto a finanziamenti statali solo se supera il 5% dei voti alle elezioni europee o federali e il 10% alle regionali. Sennò, nemmeno un euro. I partiti devono pubblicare rendiconti annuali con le entrate (pubbliche e private) e le uscite. Come da noi. Solo che in Germania chi presenta bilanci nebulosi o falsi è costretto dal presidente del Bundestag a restituire tutti i fondi statali. E se un partito riceve soldi illegalmente, deve pagare una multa del triplo della somma incassata, più il doppio se non l’ha messa a bilancio. Le multe vengono poi devolute dal Bundestag a enti assistenziali o scientifici. I bilanci dei partiti sono equiparati a quelli delle società: se falsi o poco trasparenti, chi li firma rischia 3 anni di galera.
Con queste regole, i partiti italiani sarebbero fuorilegge o avrebbero già chiuso per fame. E molti dei loro tesorieri sarebbero in carcere. Da noi i congressi o non si fanno (Forza Italia ne ha tenuti due in 15 anni di vita); o, se si fanno, sono finti (si sa chi vince in anticipo) o finiscono in risse sulle regole malcerte, le tessere fasulle e l’uso disinvolto dei cosiddetti “rimborsi elettorali” (usati addirittura per stipendiare i leader). D’Alema, sempre da Crozza, ha spiegato il discredito dei partiti italiani con la presenza di “troppa società civile: medici, imprenditori, avvocati anzichè politici di professione”. Strano: Obama è avvocato ma, essendo popolarissimo, ha raccolto fondi da centinaia di migliaia di cittadini, senza prendere un dollaro dalle casse dello Stato. In Italia, senza i soldi dello Stato, i partiti sarebbero tutti morti: dagli elettori non prenderebbero un euro. E provare a darsi una regolata, o almeno qualche regola?
dall'Espresso in edicola
Berlusconi scioglie Forza Italia dopo 15 anni con un discorsetto di mezz’ora. Veltroni annuncia la rottura con Di Pietro a “Che tempo che fa”, da Fabio Fazio, ma poi si scopre che era uno scherzo. D’Alema commissaria Veltroni e auspica un leader di nuova generazione a “Crozza Italia”, e il suo non è uno scherzo. Chissà l’invidia di Bruno Vespa, abituato a ospitare le svolte politiche a “Porta a Porta”. Partiti, leadership e alleanze nascono e muoiono in tv, senza congressi né dibattiti interni. Dopodichè, tutti a interrogarsi sul discredito della classe politica e sulle “grandi riforme” necessarie per uscirne. Ne basterebbe una piccola piccola, ma rivoluzionaria: una legge sulla responsabilità giuridica dei partiti, che regoli la democrazia interna e la gestione trasparente degli enormi finanziamenti pubblici. Non occorrono voli pindarici: basta copiare dalla Germania, dove i deputati guadagnano la metà dei nostri, sono uno ogni 112.502 abitanti (da noi, uno ogni 60.371), e i partiti devono rispettare regole ferree: l’articolo 21 della Costituzione del 1949 e la legge sui partiti del 1967.
Strano che D’Alema, grande supporter del modello (elettorale) tedesco, non ne parli mai. In Germania ogni partito, per essere tale, deve riunire il congresso almeno una volta ogni due anni, dandosi un programma, uno statuto e un vertice. E ha diritto a finanziamenti statali solo se supera il 5% dei voti alle elezioni europee o federali e il 10% alle regionali. Sennò, nemmeno un euro. I partiti devono pubblicare rendiconti annuali con le entrate (pubbliche e private) e le uscite. Come da noi. Solo che in Germania chi presenta bilanci nebulosi o falsi è costretto dal presidente del Bundestag a restituire tutti i fondi statali. E se un partito riceve soldi illegalmente, deve pagare una multa del triplo della somma incassata, più il doppio se non l’ha messa a bilancio. Le multe vengono poi devolute dal Bundestag a enti assistenziali o scientifici. I bilanci dei partiti sono equiparati a quelli delle società: se falsi o poco trasparenti, chi li firma rischia 3 anni di galera.
Con queste regole, i partiti italiani sarebbero fuorilegge o avrebbero già chiuso per fame. E molti dei loro tesorieri sarebbero in carcere. Da noi i congressi o non si fanno (Forza Italia ne ha tenuti due in 15 anni di vita); o, se si fanno, sono finti (si sa chi vince in anticipo) o finiscono in risse sulle regole malcerte, le tessere fasulle e l’uso disinvolto dei cosiddetti “rimborsi elettorali” (usati addirittura per stipendiare i leader). D’Alema, sempre da Crozza, ha spiegato il discredito dei partiti italiani con la presenza di “troppa società civile: medici, imprenditori, avvocati anzichè politici di professione”. Strano: Obama è avvocato ma, essendo popolarissimo, ha raccolto fondi da centinaia di migliaia di cittadini, senza prendere un dollaro dalle casse dello Stato. In Italia, senza i soldi dello Stato, i partiti sarebbero tutti morti: dagli elettori non prenderebbero un euro. E provare a darsi una regolata, o almeno qualche regola?
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