domenica 29 giugno 2008

Stanlio e Ollio “Noi siamo uomini liberi”

by Roberto Corradi

«Gnocca» contro «magnaccia»

Ogni volta che Berlusconi va al governo, assistiamo a un elevamento del dibattito politico ad personam. Ora siamo arrivati alla «gnocca» contro i «magnaccia». I magnaccia sono stati evocati ieri in tv da Antonio Di Pietro e, a rigore, anche gli accademici della Crusca direbbero che si tratta del termine esatto per indicare la funzione che veniva svolta dentro la Rai ed è stata rivelata, per fortuna, dalle intercettazioni. Per fortuna, perché non si tratta affatto di questioni private, ma di reati sui quali giustamente indaga la magistratura e che giustamente la stampa fa conoscere al Paese, in quanto politicamente rilevanti. Sia per il ruolo pubblico degli intercettati che per l´invadenza e la concorrenza sleale messe in atto contro l´azienda pubblica. Ed è giusto che si conoscano nomi e cognomi dei coinvolti anche per l´onore delle ragazze che appaiono in tv, di cui si potrebbe pensare che tutte sono passate per le mani di quei gentiluomini. Invece no: solo pochissime venivano compensate con tanto sconcio interessamento postumo.

Maria Novella Oppo

sabato 28 giugno 2008

Il crepuscolo del diritto


di MASSIMO GIANNINI


ESISTE una vera e propria vocazione del nostro tempo a vivere senza il diritto. Salvatore Satta, uno dei più grandi giuristi del Novecento italiano, lo scriveva nel novembre del '54, in un ciclo di discorsi poi confluiti nel saggio filosofico "Il mistero del processo". Viene da chiedersi cosa scriverebbe oggi di fronte al Lodo Alfano, col quale Silvio Berlusconi, da quell'insondabile "ossessione processuale" che lo insegue ormai da quindici anni, si sta per sottrarre per sempre.

L'approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge che sospende i processi a beneficio delle quattro alte cariche dello Stato, per l'ennesima volta, marchia questa legislatura con il fuoco della personalizzazione della norma giuridica e della privatizzazione della cosa pubblica. Poteva essere una legislatura costituente, diventa una legislatura destabilizzante. Qui non c'entrano toghe rosse e pm mozza-orecchi, congiure giacobine e rivoluzioni giustizialiste. È l'improvvisa, convulsa manomissione delle regole messa in atto dal Cavaliere nel giro di due settimane, che dovrebbe far gridare allo scandalo chi ha ancora a cuore la qualità della democrazia, la difesa dei valori repubblicani, la tutela dei principi liberali.

Prima l'emendamento sulla sospensione dei processi, infilato surrettiziamente in un decreto legge in materia di sicurezza. Uno schiaffo multiplo: alle competenze del Capo dello Stato, alle esigenze dei cittadini. Ora il Lodo Alfano. Non è una "legge vergogna" in sé. Ma lo diventa per la genesi delle ragioni con le quali è stata congegnata, e per l'eterogenesi dei fini con la quale è stata approvata. È nata per evitare al presidente del Consiglio di sottoporsi alle ultime tre udienze, e poi alla sentenza, nel processo sul caso Mills, che lo vede imputato per corruzione in tatti giudiziari. È stata spacciata come una norma di "civiltà giuridica", uguale a quella che esiste in altri Paesi europei.

Il merito di questi provvedimenti è discutibile. Il Lodo Alfano è così ambiguo che, al comma 6, non chiarisce in modo netto se l'immunità assicurata al Berlusconi presidente del Consiglio possa "traslare", in corso di legislatura, anche all'ipotesi in cui lui stesso diventi nel frattempo presidente della Repubblica. Ma è soprattutto il metodo che è inaccettabile. Queste non sono misure di economia processuale o di garanzia costituzionale, che il governo in carica approva per venire incontro ai bisogni della collettività. Sono puri e semplici "salvacondotti" individuali, che un premier inquisito introduce a forza nell'ordinamento, per risolvere qui ed ora i suoi problemi ("O governo l'Italia o passo le giornate a preparare le udienze" ha detto in consiglio Berlusconi).

Nell'irresponsabile corto-circuito tra i poteri dello Stato, con l'esecutivo che usa il legislativo per domare il giudiziario, l'intero corso della vicenda pubblica assume una piega radicalmente diversa. Questo chiama in causa tutti gli attori della scena istituzionale, politica e sociale. Non si tratta di urlare forte ma invano al "fascismo", o di rifugiarsi nel rito rassicurante ma sterile del "girotondismo". Ognuno è chiamato ad esercitare fino in fondo il proprio compito, con realismo e senso di responsabilità. Ma anche con il rispetto doveroso del proprio ruolo, e con la forza necessaria delle proprie convinzioni, maggioritarie o minoritarie che siano.

Nelle istituzioni, il presidente della Repubblica e la Consulta sapranno usare tutta la saggezza, ma anche tutta la fermezza che serve a fronteggiare questi tentativi di ripiegare la vita nazionale su una biografia personale. La Costituzione gli attribuisce quanto basta, per non affidare la tenuta delle regole democratiche solo ai "messaggi in bottiglia" della moral suasion. Nella politica, l'opposizione ha il dovere di battersi fin dai prossimi giorni, in Parlamento, con parole nette e con proposte chiare. Senza improvvisare Aventini inutili o promettere "autunni caldi" improbabili. E soprattutto senza farsi paralizzare, attonita e inconcludente, di fronte al "totem" del dialogo, che ormai rischia di diventare una forma impropria di "ideologia della legislatura".

Il dialogo può essere un utile metodo di governo. Ma ha senso se precipita su un merito, su un oggetto concreto, di volta in volta sviscerato, riveduto, condiviso. Se Berlusconi continua a bastonare il Pd a colpi di Lodo Alfano, ed è lui stesso a dire "con loro non dialogo più perché rappresentano un'opposizione giustizialista", non ha molto senso che Veltroni continui a ribattere che a questo punto "il dialogo è compromesso". Il dialogo su cosa? Il dialogo con chi? Sulla giustizia, se le basi sono queste, molto più semplicemente il dialogo non c'è e non ci può essere. C'è lo scontro aperto, nelle sedi in cui questo è previsto, cioè le aule di Camera e Senato. Se poi tra un mese si avvia un confronto sul federalismo, o si apre un tavolo sulla legge elettorale, allora si valuta il da farsi. Ma intanto questo è lo stato dell'arte.

Quello che stupisce, e che a tratti inquieta, è che dopo la "rivoluzione light" del 13 aprile, e di fronte al vento del mutato Zeitgeist che gonfia le vele del Cavaliere, ci siano tanti, troppi benpensanti disposti a rinunciare alla difesa delle proprie idee. Per il puro e semplice timore di sentirsi fuori dal senso comune prevalente, esclusi dalla nuova "egemonia culturale" dominante. Il fatto oggettivo che "tanto ha già vinto tre volte le elezioni e può rivincerle anche la quarta", non è una ragione valida per turarsi il naso e dire sì al salvacondotto al Cavaliere. Per accodarsi e subire passivamente la lezione quasi eversiva di Giuliano Ferrara, che sul Foglio titola "nessuno lo può giudicare" e attacca "il corteo vociante dei giustizialisti", che avranno pure dalla loro "i commi e i codicilli", ma "hanno perso l'autorità civile per giudicare in nome del popolo italiano chi da quel popolo è stato eletto democraticamente".
L'alba nascente di questo "nuovo potere", autoritario e avvolgente, populista e popolare, non può coincidere con il lento crepuscolo del diritto. Piaccia o no ai sovrani di turno, una democrazia vive anche di quei commi e di quei codicilli.

da Repubblica.it (28 giugno 2008)

Leggi anche:
"Le favorite ai tempi del Cavaliere" - Natalia Aspesi
"Financial Gaffes" - M.Travaglio


giovedì 26 giugno 2008

Oh no, non ancora


Il Financial Times di oggi scrive:
Oh no, non ancora.
Ancora una volta il focus di Berlusconi è sé stesso e non gli italiani.
Silvio Berlusconi è in carica in Italia da 50 giorni. Guardare il suo nuovo governo in azione è un po’ come mettersi a sedere per guardare un cattivo vecchio film ancora una volta. Quando il leader di Forza Italia governò l’Italia dal 2001 al 2006, spese troppo tempo a legiferare per proteggere sé stesso dai procedimenti giudiziari e troppo poco per riformare l’economia italiana. E’ presto per dare giudizi definitivi, naturalmente. Ma l’ultima prova di governo di Berlusconi assomiglia già a un altro film dell’orrore.
Ancora una volta, il settantunenne primo ministro sta spendendo molta della sua energia politica per fare leggi che lo proteggano dai pubblici ministeri italiani. Vuole fare approvare una legge che sospenderebbe per un anno molti processi per i quali è prevista una condanna inferiore ai 10 anni. Se la legge sarà approvata verrà affondato il processo previsto per l’inizio del mese prossimo nel quale Berlusconi è accusato di aver pagato 600.000 dollari al suo avvocato inglese, David Mills. L’opposizione ha soprannominato la legge: “salva premier”.
Berlusconi non si ferma qui.
Sta anche cercando di introdurre una legge che garantirebbe l’immunità dai processi alle principali cariche dello Stato, inclusa la sua. Una tale legge sarebbe impensabile nella maggior parte degli Stati occidentali ed è stata giudicata incostituzionale dalla Corte costituzionale quando Berlusconi cercò di introdurla nel 2004. Ora che è ritornato, Berlusconi ci prova un’altra volta.
Tutto questo sarebbe di modesto interesse se Berlusconi spendesse la stessa quantità di energia per riformare la declinante economia italiana. Ma anche qui le paure stanno crescendo. L’ultima volta che ebbe il potere, uno de peggiori errori di Berlusconi fu di lasciare fuori controllo il deficit italiano e la spirale dei debiti. Ci si interroga se stiamo per rivedere la stessa situazione.
Il governo Berlusconi ha introdotto una previsione finanziaria con una crescita del deficit pubblico dall’1,9% del prodotto interno lordo del 2007 al 2,5% del 2008. La crescita può essere giustificata dalla bassa crescita economica; ma non si sono ancora segnali che questo governo stia mantenendo una stretta presa sulla spesa pubblica.
Per la salute dell’Italia, le cose devono migliorare da qui. Il Paese ha una delle crescite più basse nell’area dell’euro. C’è bisogno di un governo serio e responsabile per invertire il processo economico. Ieri Berlusconi ha detto che i pubblici ministeri italiani lo hanno costretto a un “Calvario” senza fine. Ma l’unico “Calvario” sofferto in questa storia è quello sopportato dall’Italia, che ha bisogno di una drammatica inversione di tendenza delle sue fortune politiche ed economiche.”

"Dei Delitti e delle Pene" alla berlusconiana

The Guardian, 24.6.08

La democrazia é in pericolo quando un premier - egli stesso coinvolto in un processo per corruzione - inizia una guerra contro la magistratura
[articolo originale di Giulia Laganá qui]

Il celebre saggio del XVIII secolo del filosofo illuminista italiano Cesare Beccaria, "Dei Delitti e delle Pene", che ha posto le fondamenta del moderno pensiero su detenzione, tortura e pena di morte, inizia con lo sviluppare la nozione che le sentenze di incarcerazione dovrebbero servire a stimolare l'integrazione sociale dei criminali, piú che considerare la punizione come una sorta di mera vendetta sociale.

Il governo Berlusconi, che é salito al potere due mesi fa sulla scia di un'ondata di panico pompata dai media su una presunta impennata dei tassi di criminalitá, sta al momento srotolando legislazioni che inaspriranno le sentenze per un certo numero di reati minori e assicureranno che l'accesso dei detenuti a programmi di servizio sociale come alternativa al tempo di detenzione sia drasticamente ristretto. Gli immigrati in Italia - e quelli irregolari in particolare - sconteranno la pena di questi provvedimenti, nonostante la stragrande maggioranza dei criminali nel paese sia costituita da cittadini italiani.

Berlusconi, per quanto i media stranieri possano dilettarsi nel descrivere le sue stramberie, non é soltanto un giullare permanentemente abbronzato con l'ossessione dei trapianti di capelli e della chirurgia plastica ed un debole per le barzellette di cattivo gusto su tedeschi, donne, omosessuali e sua moglie. L'ex-cantante di crociera ha dimostrato quanto sia pericoloso per la democrazia nei suoi precedenti 5 anni al potere, quando ha portato avanti cambi nella legislatura per evitare i processi o per bloccare investigazioni nei suoi oscuri interessi, consolidato il suo impero mediatico, esercitato controllo assoluto sulla televisione pubblica, lanciato attacchi alla magistratura, incoraggiato i servizi segreti a spiare e raccogliere dati su decine di migliaia di presunti giornalisti, imprenditori e intellettuali di sinistra, e presidiato un summit del G8 nel 2001 dove, secondo Amnesty International, le autoritá italiane hanno violato i diritti umani dei dimostranti su vasta scala.

Questa volta, gli alleati di Berlusconi nel parlamento hanno giá intavolato proposte per bloccare un decreto dell'UE che trasformerebbe una delle stazioni TV terrestri del premier in un canale su satellite. La settimana scorsa, i suoi avvocati/parlamentari hanno inserito un nuovo, all'apparenza contraddittorio emendamento nel "pacchetto sicurezza", un insieme di regole che induriranno la legislazione riguardo immigrazione e asilo, peresguiranno i reati minori e sguinzaglieranno l'esercito nelle maggiori cittá. L'emendamento "blocca-processi", com'é conosciuto adesso, bloccherá tutti i processi in corso per reati che prevedono una pena massima di 10 anni di carcere e che sono stati commessi prima del 30 Giugno 2002 - una data apparentemente arbitraria, che per coincidenza assicurerá che il piú recente processo per corruzione di Berlusconi - che coinvolge David Mills, marito adesso alienato di Tessa Jowell - si blocchi.

In un summit tenuto venerdí scorso a Bruxelles, un insolitamente cupo Berlusconi ha sfogato la sua rabbia contro i magistrati che, a suo dire, vogliono "sovvertire la democrazia". Il premier italiano ha promesso che avrebbe "denunciato le iniziative di giudici e pm che si sono infiltrati nel sistema giudiziario [e] vogliono sovvertire il voto". I sondaggi mostrano che gli italiani, che sono stati soggetti ad un'intensa campagna dei media lunga 14 anni apta a provare che i magistrati "rossi" hanno un risentimento personale contro Berlusconi, appoggiano le proposte del governo per restringere l'indipendenza della magistratura. La "opposizione fantasma" italiana, come the Economist ha recentemente ribattezzato il Partito Democratico
, ha a malapena segnalato che potrebbero votare un'altra proposta di legge per garantire l'immunitá ai presidenti della Repubblica, del Consiglio, del Senato e della Camera se l'emendamento "blocca-processi" fosse ritirato.

Il marchese di Beccaria faceva sagacemente notare che "la piú grande felicitá della collettivitá é il fondamento della morale e della legislazione"
(frase che in veritá é di Jeremy Bentham ma ripresa dalle tesi di Beccaria, ndr). Nell'Italia di Silvio Berlusconi, la piú grande felicitá di un particolare individuo sembra essere modellare la morale e la legislazione - sovvertendo la democrazia in uno stato membro fondatore dell'Unione Europea.

mercoledì 25 giugno 2008

Al Tappone

Foto di Roberto CorradiOra d'aria - M.Travaglio, l'Unità, 24 giugno 2008

Si era pure messo un Panama bianco, modello Al Capone, sul capino bitumato, per impressionare il vescovo e farsi dare la santa comunione anche se è un massone divorziato. “Fate in fretta a cambiare queste regola”, gli ha intimato, non bastandogli quelle che cambia ogni giorno lui per salvarsi dai processi. Ma il vescovo di Tempio-Ampurias, Sebastiano Sanguinetti, che in confessionale ne ha visti sfilare di peggiori, non s’è lasciato intimidire: “Per queste deroghe, lei che può, si rivolga a chi è più in alto di me”. Non si sa se alludesse semplicemente al Papa, che Al Tappone considera comprensibilmente un suo parigrado, o direttamente al Padreterno, col quale potrebbero sorgere alcune incomprensioni.

Soprattutto a proposito di certe usanze dell’illustre Padre della Chiesa di scuola arcoriana: tipo allungare mazzette per comprare politici (Craxi) o giudici (Mondadori), accumulare fondi neri in paradisi fiscali, magnificare l’evasione fiscale alle feste della Guardia di Finanza, frequentare mafiosi travestiti da stallieri. Usanze non troppo compatibili col VII comandamento, “Non rubare”, che pare non sia ancora depenalizzato. Ieri, su Repubblica, Edmondo Berselli suggeriva opportunamente all’aspirante comunicando di chiedere, “prima della comunione, la confessione”. Ma non vorremmo essere nei panni del confessore (a parte il superlavoro che gli capiterebbe tra capo e collo, nel giro di due minuti il sant’uomo diventerebbe una “tonaca rossa”, verrebbe accusato di fare un “uso politico della confessione” e poi ricusato a vantaggio di qualche collega di Brescia).

Immediatamente le tv e i giornali al seguito, cioè quasi tutti, han cominciato a interpellare altri divorziati e peccatori famosi, ma anche qualche confessore di vip, per lanciare una gara di solidarietà in favore del Cavaliere in astinenza da ostie. Il pover’uomo soffre così tanto che bisogna far qualcosa, profittando delle norme ora in discussione in Parlamento. Si potrebbe sospendere per un anno il divieto di partecipare all’eucarestia a tutti i battezzati nel 1939, sotto il metro e 60 e col cranio asfaltato, che abbiano divorziato nel 1985, risposandosi nel 1990 con donne chiamate Veronica nel corso di cerimonie civili officiate da Paolo Pillitteri, avendo come testimoni Bettino e Anna Craxi, Confalonieri e Letta. Così si darebbe il tempo al Parlamento e al Vaticano di concordare un Lodo Schifani-Bagnasco che modifichi contemporaneamente la Costituzione della Repubblica Italiana e il Codice di Diritto Canonico, con una deroga all’indissolubilità del matrimonio per tutte le alte cariche dello Stato e della Chiesa, divorziate e non, che consenta loro di accostarsi alla santa comunione per tutta la durata del mandato. Il che, si badi bene, non significa una licenza di divorziare sine die: il divieto ricomparirebbe alla scadenza dell’incarico, in ossequio al principio di eguaglianza.

Del resto, già nella legge sulle intercettazioni è previsto qualcosa di simile: per arrestare o indagare un sacerdote, il magistrato è tenuto ad avvertire il suo vescovo; per indagare o arrestare un vescovo, deve avvisare il Segretario di Stato vaticano. Il che lascia supporre che, per indagare eventualmente sul Segretario di Stato, si debba chiedere il permesso al Papa; e per indagare - Dio non voglia - sul Papa, rivolgersi direttamente al Padreterno. Ecco, basterebbe estendere il Lodo a preti, vescovi, segretario di Stato e Papa per risparmiare fatica. Si dirà: ma il Segretario di Stato, il Papa e la stragrande maggioranza dei preti e dei vescovi non commettono reati. Embè? Nemmeno i presidenti delle Camere, della Repubblica e della Consulta hanno processi. Ma li si immunizza lo stesso, perché non si noti troppo che l’unico autoimmune è Al Tappone. Altrimenti, come per la legge bloccaprocessi, lo si costringe al triplo salvo mortale carpiato con avvitamento: farsi le leggi per sé e poi a dichiarare che chiederà di non beneficiarne (ben sapendo, peraltro, che le leggi valgono per tutti, anche per lui).

E dire che negli anni 80, liquidata la prima moglie, il Cainano aveva accarezzato una soluzione che tagliava la testa al toro: come rivela il suo confessore, don Antonio Zuliani da Conegliano Veneto, aveva pensato di “chiedere l’abolizione delle prime nozze alla Sacra Rota. Ma poi non ha voluto”. Si sa com’è questa Sacra Rota: infestata di toghe rosse. Peccato, perché all’epoca era ancora in piena attività l’avvocato Previti, che per vincere le cause perse aveva un sistema infallibile. Senza bisogno di cambiare le leggi.


Intervista a Jeremy Rifkin
sui nuovi metodi di produrre energia


P.Pardi: tutti i reati sospesi dal decreto-vergogna
- da Micromega Online

martedì 24 giugno 2008

Adesso basta: i reati ce li facciamo da noi


di Renzo Butazzi

Tutte le leggi per garantire maggior sicurezza agli italiani erano state rigorosamente applicate. Gli stranieri presenti nel paese erano regolari, con un permesso di soggiorno con obbligo di domicilio fisso, un lavoro sottopagato per legge, le impronte digitali presso gli archivi delle questure e su un cartellino plastificato che dovevano portare al collo.
Per scoraggiare ancor più gli stranieri dal compiere un reato, anche se residenti, la legge prevedeva un aggravante che arrivava a triplicare la pena che sarebbe stata comminata a un indigeno per la medesima colpa. L'aggravante era graduata in base alla nazionalità ed era massima per gli extracomunitari.
I residenti di colore erano suddivisi in categorie secondo la tonalità e i più scuri non potevano uscire di notte se non con una striscia rifrangente bianca intorno alla fronte,
in modo che fossero chiaramente individuabili
Inoltre, come quando chi vuol prendere la cittadinanza degli Stati Uniti deve dimostrare che conosce la Costituzione di quel paese, qualunque extracomunitario, chiaro o scuro che fosse, prima di avere il permesso di soggiorno doveva superare la prova principe: mangiare una intera salsiccia di maiale.

Il governo era molto soddisfatto dei risultati raggiunti perché i reati compiuti da stranieri erano scomparsi. Ormai gli assassini, i rapinatori, gli scippatori, gli stupratori, i figli che uccidevano i genitori o viceversa, i compagni di scuola che violentavano e torturavano le compagne, erano tutti dei nostri.
Secondo gli ultimi sondaggi gli italiani si sentivano un poco più sicuri, ma, soprattutto, si sentivano orgogliosi. Almeno in questo campo la concorrenza era stata battuta.

da Micromega Online (24 giugno 2008)

giovedì 19 giugno 2008

La conversione impossibile

di FRANCO CORDERO


NEL DIALETTO subalpino circolava una metafora romanesque: "l'hanno cambiato a balia"; forse lo dicono ancora d'uno che improvvisamente risulti diverso (i dialetti e relativa sapienza vanno estinguendosi); l'ubriacone diventa asceta, il codardo compie gesta eroiche et similia.

Stanno nel fisiologico le metamorfosi lente operate da lunghi esercizi (Freud le chiama forme reattive, Reaktionsbildungen). Qui è innaturalmente fulminea. Tale appariva la conversione del Caimano in homme d'Etat pensoso, equanime, altruista. Impossibile, natura non facit saltus. Nessuno cambia d'un colpo a 72 anni, tanto meno l'egomane insofferente delle regole (etica, legalità, grammatica, buon gusto), specie quando sia talmente ricco in soldi e voti da mettersele sotto i piedi. Era molto chiaro dall'emendamento pro Rete4, in barba alla disciplina della concorrenza, ma i cultori del cosiddetto dialogo perdonano tutto o quasi.

Nell'aria del solstizio, lunedì sera 16 giugno, Leviathan (nome biblico del coccodrillo archetipico) batte due colpi. Partiamo dall'arcinoto retroscena. Come gli capita spesso, soffre d'antipatiche rogne giudiziarie: in un dibattimento milanese prossimo all'epilogo è chiamato a rispondere del solito vizio, definibile lato sensu "frode"; stavolta l'accusa è d'avere pagato David Mills, avvocato londinese, affinché dichiarasse il falso su fondi neri esteri; l'aveva incautamente svelato l'accipiens. Inutile dire quanto gli pesi la prospettiva d'una condanna: il massimo della pena è otto anni, art. 317 ter c. p., o sei, se fosse applicato l'art. 377 (indurre al falso chi abbia la facoltà d'astenersi); appare anomala l'ipotesi d'un presidente del Consiglio interdetto dai pubblici uffici, né sarebbe pensabile l'insediamento al Quirinale nell'anno 2013; punta lì, lo sappiamo, in un'Italia ormai acquisita, patrimonio familiare, dépendance Mediaset. La posta è enorme. Altrettanto i mezzi con cui risponde al pericolo.

Esiste un dl sulla sicurezza pubblica. Palazzo Madama lavora alla conversione in legge. Gli emendamenti presentati dai soliti yes men prevedono la sospensione d'un anno dei processi su fatti ante 1 luglio 2002, la cui pena massima non ecceda i 10, pendenti tra udienza preliminare e chiusura del dibattimento; così tribunali e corti sbrigheranno il lavoro grosso. Lo dicono senza arrossire i presentatori del capolavoro e lo ripete Leviathan nella lettera al presidente del Senato, sua devota creatura, annunciando un secondo passo, ripescare l'immunità dei cinque presidenti, dichiarata invalida dalla Consulta quattro anni fa.

Sarà sospeso anche uno dei processi inscenati a suo carico "da magistrati d'estrema sinistra": gliel'hanno detto gli avvocati; che male c'è?; un perseguitato politico deve difendersi; e ricuserà il presidente del tribunale, lo rende noto en passant. Ma è puro caso che l'emendamento gli riesca comodo. La ratio sta nell'interesse collettivo. Discorso molto berlusconiano, chiunque glielo scriva. Tra un anno sarà immune: se non lo fosse ancora, basterebbe allungare la sospensione; tra cinque da palazzo Chigi scala Monte Cavallo, sono due passi; nel frattempo vuol essersi riscritta la Carta vestendo poteri imperiali (davanti a lui, Charles-Louis-Napoléon, III nell'ordine dinastico, è un sovrano legalitario). In sede tecnica riesce arduo definire questo sgorbio, tanto straripa dalla sintassi legale. Ciurme parlamentari sfigurano il concetto elementare della legge: va al diavolo la razionalità immanente i cui parametri indica l'art. 3 Cost.; l'atto rivestito d'abusiva forma legislativa soddisfa solo l'interesse personale del futuro padrone d'Italia.

Vengono in mente categorie elaborate nel diritto amministrativo: "le détournement du pouvoir"; mezzo secolo fa Francesco Carnelutti configurava l'ipotesi "eccesso di potere legislativo". Siamo nel regno dei mostri, studiato dal naturalista Ulisse Aldrovandi. L'espediente appare così sguaiatamente assurdo in logica normativa, da sbalordire l'osservatore: perché sospendere i processi su fatti ante 1 luglio 2002, mentre seguitano i posteriori?; e includervi i dibattimenti alla cui conclusione manchi un giorno?; tra 12 mesi l'ingorgo sarà più grave, appena ricadano nei ruoli. Che nel frattempo il taumaturgo d'Arcore abbia quadrato il cerchio allestendo una giustizia rapida, è fandonia da imbonitori: la pratica abitualmente, quando non adopera le ganasce; o forse sottintende una tacita caduta nella curva dell'oblio; spariscono e non se ne parla più, amnistia anonima. Oltre alla patologia amministrativa, l'incredibile pastiche ne richiama una civilistica: il dolo, nella forma che Accursio chiamava "machinatio studiosa", stretta parente della frode, tale essendo la categoria sotto cui è definibile l'epopea berlusconiana (avventuriero piduista, impresario delle lanterne magiche, grimpeur d'affari risolti con trucchi penalmente valutabili, intanato in asili fiscali a tenuta ermetica, spacciatore d'illusioni elettorali): gli emendamenti galeotti hanno come veicolo un dl firmato dall'ignaro Presidente della Repubblica su materie nient'affatto analoghe, e s'era guardato dal dire cosa covasse; in nomenclatura romana, dolus malus.

Gli sta a pennello l'aggettivo tedesco "folgerichtig", nel senso subrazionale: ha dei riflessi costanti (finto sorriso, autocompianto, barzelletta, morso, digestione); non tollera le vie mediate; sceglie d'istinto la più corta, come il caimano quando punta la preda. Con questa sospensione dei processi sotterra l'azione obbligatoria: Dio sa cos'avverrà nei prossimi cinque anni ma gli obiettivi saltano all'occhio: la vuole a' la carte; carriere distinte, ovvio; Procure agli ordini del ministro, sicché il governo disponga della leva penale; procedere o no diventa scelta politica (se ne discorreva nella gloriosa Bicamerale sotto insegna bipartisan: Licio Gelli, fondatore della P2, rivendicava i diritti d'autore riconoscendo le idee del suo "Piano" d'una "rinascita democratica" anno Domini 1976; l'ancora invisibile demiurgo frequentava la loggia in quarta o quinta fila). A quel punto nessuno lo smuoverebbe più se fosse il superuomo cantato dai caudatari, invulnerabile dal tempo. Le altre due mete è chiaro quali siano: prima, uscire dall'Unione europea, compagnia scomoda; seconda, moltiplicare lo smisurato patrimonio. Sul quale punto nessuno con la testa sul collo ha dubbi: anni fa gli contavano 40 mila vecchi miliardi; crescono come la vorace materia prima evocata da Anassimandro.

da Repubblica(19 giugno 2008)


Scodinzolini - M.Travaglio, da Ora d'Aria 19/06/08

mercoledì 18 giugno 2008

Lo statista


Marco Travaglio
l' Unità
18-06-2008

Bisogna ringraziare come sempre il cavalier Berlusconi per la sua tetragona coerenza. Mentre i commentatori di chiara fama, ma soprattutto fame,lo scambiano per uno statista, l’opposizione lo prende per un riformatore e i magistrati associati applaudono addirittura Mortimer Alfano perché è così ammodo, lui tiene subito a precisare che dello Stato, delle riforme e del dialogo non gliene può fregar di meno. A lui interessano le sue tv e i suoi processi, cioè le due ragioni sociali della discesa in campo del ’94, quando confidò a Montanelli e Biagi: «Se non entro in politica, finisco in galera e fallisco per debiti». Ora bisognerà allestire comunità di recupero con terapie d’avanguardia per aiutare i vedovi del dialogo a superare lo choc e riabituarli a trattare il Cainano per quello che è: un impunito. Le loro lacrime crepuscolari meritano il massimo rispetto. Come non intenerirsi dinanzi agli strazianti appelli sul Corriere di Paolo Franchi e Massimo Franco, detti anche Franco & Ciccio, a «non chiudere la stagione del confronto»? Come non commuoversi al pensiero dei cronisti dell’inciucio sempre a caccia dei 2-3 giapponesi asserragliati nella trincea del «confronto costruttivo»? Basti pensare che il Messaggero riesuma addirittura Franco Debenedetti, entusiasta per la legge bavaglio; il Corriere interpella la Merloni, e financo Calearo in gran fregola per «ottimi ministri come Brunetta, Sacconi, Zaja, Tremonti». C’è ancora chi non vuole arrendersi alla cruda realtà e continua a raccontarsi le fiabe, tipo il «ritorno dell’antiberlusconismo», senz’accorgersi del ritorno di Berlusconi, che peraltro non se n’era mai andato. Panebianco lancia l’allarme contro chi parla di «regime», «deriva autoritaria», «attentato alla Costituzione», ma contro chi li pratica nemmeno una parola: non lo preoccupa l’azione, ma l’eventuale reazione. Un vero liberale. Altri, come il geniale Nicola Rossi e l’acuto Enrico Letta, sono «preoccupati per le riforme istituzionali». Ma il Cainano le sta già facendo, le sue riforme istituzionali: la salva-Rete4 e le blocca-processi. Che altro dovrebbe fare un premier titolare di una tv abusiva e di quattro processi? Infatti lui continua a ripetersi, sempre uguale a se stesso, anche se tutti lo trovano cambiato. Abolisce i suoi processi, replica il lodo incostituzionale per le alte cariche (soprattutto quella bassa), strilla alle toghe rosse. Ultima della serie: quella che lo processa sul caso Mills, guardacaso il più prossimo a sentenza. Si chiama Nicoletta Gandus, non ha macchie sulla coscienza (a parte forse aver assolto Formigoni per la discarica di Cerro), ma un giorno firmò un appello contro le leggi ad personam. Fra la Costituzione e chi la calpesta, ha scelto la prima. Ergo è sospetta, prevenuta. «Mi ha accusato di aver determinato atti legislativi a me favorevoli», tuona il Cainano. Il quale, per rieducarla, le blocca il processo con altri due atti legislativi a lui favorevoli. Ma, s’intende, lo fa «per il bene del Paese». Se poi, incidentalmente, vi rientrano anche i suoi processi, pazienza. Tantopiù che l’ha appena saputo, di essere imputato a Milano da 4 anni per la corruzione giudiziaria del teste Mills. «I miei legali mi hanno informato che tale previsione normativa sarebbe applicabile a uno fra i molti fantasiosi processi che magistrati di estrema sinistra hanno intentato contro di me per fini di lotta politica». Sono fatti così, i suoi avvocati: sebbene siano tutti e tre in Parlamento, non gli avevano mai detto niente. Volevano fargli una sorpresa. Non una parola nemmeno sulla rossa Gandus, che lo processa da due anni. O forse han voluto fare una sorpresa anche a lei: anziché ricusarla all’inizio, la ricusano alla fine. Tanto la corruzione giudiziaria non desta «allarme sociale»: è solo il reato di chi paga il giudice o il testimone per essere assolto anche se è colpevole. Che sarà mai. Proprio ieri la Procura di Palermo ha scoperto alcuni mafiosi che, per ritardare o aggiustare i loro processi, si rivolgevano a un cancelliere perché parlasse con un gesuita perché parlasse con una poliziotta. Benedetti ragazzi: non sapevano che, per bloccare i propri processi basta molto meno. Si va al governo e si fa un emendamento al decreto sicurezza. E, se non basta, si allungano 600 mila dollari al testimone Mills perché dimentichi tutto. Poi si spiega che quello è un reato minore e si abolisce il processo per il nostro bene. Alla peggio, ci si sente dire che non bisogna tirare troppo la corda, se no il dialogo rischia e torna l’antiberlusconismo. Non sia mai.


AltraChiesa - Chiesa affarista, concubina e opportunista, di Aldo Antonelli

domenica 15 giugno 2008

Du' risate

daniele luttazzi per il manifesto
-Petrolieri in sciopero contro il rincaro dei barili di legno
-Incidente nucleare a Krsko, gli sloveni d'accordo: «Spostare le centrali atomiche in Italia»
-Nuova provocazione di Ahmadinejad: «L'Olocausto? Sono morte più persone in formula 1!»
-Le ceneri di Kurt Cobain ritrovate nel naso di Keith Richards
-Sacconi: «Lo schiavismo è una risorsa per il Paese»
-Nuova discarica di Chiaiano, sarà vietato gettarci femori.
-Alfano: «Gran parte del paese intercettata al telefono con Saccà».
-Usa, approvata la «pillola del giorno dopo» per l'uomo

(Daniele Luttazzi)

Arrestateci tutti


l'Unità, 15 giugno 2008
M.Travaglio

L’altro giorno, fingendo di avanzare un’”ipotesi di dottrina”, Giovanni Sartori ha messo in guardia sulla Stampa dai ”dittatori democratici” e ha spiegato: “Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita. Perché non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno. Si impacchetta la Corte costituzionale, si paralizza la magistratura… si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e contrappesi. E di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere ‘transitivo’ che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo”. Non poteva ancora sapere quel che sarebbe accaduto l’indomani: il governo non solo paralizza la magistratura, ma imbavaglia anche l’informazione abolendo quella giudiziaria. E, per chi non avesse ancora capito che si sta instaurando un regime, sguinzaglia pure l’esercito per le strade.

Nei giorni scorsi abbiamo illustrato i danni che il ddl Berlusconi-Ghedini-Alfano sulle intercettazioni provocherà sulle indagini e i processi. Ora è il caso di occuparci di noi giornalisti e di voi cittadini, cioè dell’informazione. Che ne esce a pezzi, fino a scomparire, per quanto riguarda le inchieste della magistratura. Il tutto nel silenzio spensierato e irresponsabile delle vestali del liberalismo e del garantismo un tanto al chilo. Che, anzi, non di rado plaudono alle nuove norme liberticide. Non si potrà più raccontare nulla, ma proprio nulla, fino all’inizio dei processi. Cioè per anni e anni. Nemmeno le notizie “non più coperte da segreto”, perché anche su quelle cala un tombale “divieto di pubblicazione” che riguarda non soltanto gli atti e le intercettazioni, ma anche il loro “contenuto”. Non si potrà più riportarli né testualmente né “per riassunto”. Nemmeno se non sono più segreti perché notificati agli indagati e ai loro avvocati. Niente di niente.

L’inchiesta sulla premiata macelleria Santa Rita, con la nuova legge, non si sarebbe mai potuta fare. Ma, anche se per assurdo si fosse fatta lo stesso, i giornali avrebbero dovuto limitarsi a comunicare che erano stati arrestati dei manager e dei medici: senza poter spiegare il perché, con quali accuse, con quali prove. Anche l’Italia, come i regimi totalitari sudamericani, conoscerà il fenomeno dei desaparecidos: la gente finirà in galera, ma non si saprà il perché. Così, se le accuse sono vere, le vittime non ne sapranno nulla (i famigliari dei pazienti uccisi nella clinica milanese, che stanno preparando una class action contro i medici assassini, sarebbero ignari di tutto e lo resterebbero fino all’apertura del processo, campa cavallo). Se le accuse invece sono false (come nel caso di Rignano Flaminio, smontato dalla libera stampa), l’opinione pubblica non potrà più sapere che qualcuno è stato ingiustamente arrestato, né come si difende: insomma verrà meno il controllo democratico dei cittadini sulla Giustizia amministrata in nome del popolo italiano.

Chi scrive qualcosa è punito con l’arresto da 1 a 3 anni e con l’ammenda fino a 1.032 euro per ogni articolo pubblicato. Le due pene - detentiva e pecuniaria - non sono alternative, ma congiunte. Il che significa che il carcere è sempre previsto e, anche in un paese dov’è difficilissimo finire dentro (condizionale fino a 2 anni, pene alternative fino a 3), il giornalista ha ottime probabilità di finirci: alla seconda o alla terza condanna per violazione del divieto di pubblicazione (non meno di 9 mesi per volta), si superano i 2 anni e si perde la condizionale; alla quarta o alla quinta si perde anche l’accesso ai servizi sociali e non resta che la cella. Checchè ne dica l’ignorantissimo ministro ad personam Angelino Alfano.

E non basta, perché i giornalisti rischiano grosso anche sul fronte disciplinare: appena uno viene indagato per aver informato troppo i suoi lettori, la Procura deve avvertire l’Ordine dei giornalisti affinchè lo sospenda per 3 mesi dalla professione. Su due piedi, durante l’indagine, prim’ancora che venga eventualmente condannato. A ogni articolo che scrivi, smetti di lavorare per tre mesi. Se scrivi quattro articoli, non lavori per un anno, e così via. Così ti passa la voglia d’informare. Anche perché, oltre a pagare la multa, finire dentro e smettere di lavorare, rischi pure di essere licenziato.

D’ora in poi le aziende editoriali dovranno premunirsi contro eventuali pubblicazioni di materiale vietato, con appositi modelli organizzativi, perché il “nuovo” reato vien fatto rientrare nella legge 231 sulla responsabilità giuridica delle società. Significa che l’editore, per non vedere condannata anche la sua impresa, deve dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni contro le violazioni della nuova legge. Come? Licenziando i cronisti che pubblicano troppo e i direttori che glielo consentono. Così usciranno solo le notizie che interessano agli editori: quelle che danneggiano i loro concorrenti o i loro nemici (nel qual caso l’editore si sobbarca volentieri la multa salatissima prevista dalla nuova legge, da 50 mila a 400 mila euro per ogni articolo, e accetta di buon grado il rischio di veder finire in tribunale la sua società). La libertà d’informazione dipenderà dalle guerre per bande politico-affaristiche tra grandi gruppi. E tutte le notizie non segrete non pubblicate? Andranno ad alimentare un sottobosco di ricatti incrociati e di estorsioni legalizzate: o paghi bene, o ti sputtano.

Ultima chicca: il sacrosanto diritto alla rettifica di chi si sente danneggiato o diffamato, già previsto dalla legge attuale, viene modificato nel senso che la rettifica dovrà uscire senza la replica del giornalista. Se Tizio, dalla cella di San Vittore, scrive al giornale che non è vero che è stato arrestato, il giornalista non può nemmeno rispondere che invece è vero, infatti scrive da San Vittore. A notizia vera si potrà opporre notizia falsa, senza che il lettore possa più distinguere l’una dall’altra. Tutto ciò, s’intende, se i giornalisti si lasceranno imbavagliare senza batter ciglio.

Personalmente, annuncio fin d’ora che continuerò a informare i lettori senza tacere nulla di quel che so
. Continuerò a pubblicare, anche testualmente, per riassunto, nel contenuto o come mi gira, atti d’indagine e intercettazioni che riuscirò a procurarmi, come ritengo giusto e doveroso al servizio dei cittadini. Farò disobbedienza civile a questa legge illiberale e liberticida. A costo di finire in galera, di pagare multe, di essere licenziato. Al primo processo che subirò, chiederò al giudice di eccepire dinanzi alla Consulta e alla Corte europea la illegittimità della nuova legge rispetto all’articolo 21 della Costituzione e all’articolo 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (“Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche…”, con possibili restrizioni solo in caso di notizie “riservate” o dannose per la sicurezza e la reputazione). Mi auguro che altri colleghi si autodenuncino preventivamente insieme a me e che la Federazione della Stampa, l’Unione Cronisti, l’associazione Articolo21, oltre ai lettori, ci sostengano in questa battaglia di libertà. Disobbedienti per informare. Arrestateci tutti.

sabato 14 giugno 2008

Necessità e Urgenza

Ora d'aria, M.Travaglio
l'Unità, 12 giugno 2008

Ciò che stupisce non è che il Cainano tenti di trasformare in decreto la legge Arsenio Lupin contro le intercettazioni, salvo poi innestare la retromarcia e parlare del solito equivoco. Lui ci prova sempre, per vedere l’effetto che fa. Poi, alla peggio, dice che è stato frainteso. Intanto incassa la patente di moderato, di uomo del dialogo. Ha sempre fatto così: volendo ottenere 10, chiede 100, l’opposizione e il Colle trattano su 50, lui accetta, l’opposizione e il Colle fingono di aver vinto anche loro, mentre in realtà ha vinto solo lui, portando a casa il quintuplo di quel che gli serviva. E fa pure bella figura. Sabato, quando annunciò l’abrogazione delle intercettazioni per tutti i reati tranne mafia e terrorismo, si sapeva benissimo che alla fine –bontà sua- avrebbe incluso anche rapine, omicidi, stupri, estorsioni, traffici di droga e di armi. Tutti reati che lui, di solito, non commette. Infatti ieri ha annunciato che le intercettazioni saranno vietate per i delitti puniti con pene inferiori a 10 anni. Ci sarà anche la concussione (un contentino alla Lega: tanto nessuno gliel’ha mai contestata),ma non la corruzione, l’appropriazione indebita, la frode fiscale, l’aggiotaggio, l’insider trading, cioè i reati di competenza sua e dei suoi amici. Tutto secondo copione.

Di stupefacente, in quest’ennesima puntata della saga “Lo chiamavano Impunità”, c’è solo lo stupore del grosso dell’ opposizione e del Quirinale, che ieri si domandavano allibiti: e dove sarebbero i requisiti di necessità e urgenza per un decreto? Ma non si era detto di dialogare per una soluzione bipartisan che tuteli la privacy di Anna Falchi e del piccolo Moggi, ma anche le esigenze dei giudici e della stampa, come tromboneggiano politici, istituzioni, commentatori e giuristi per caso? In effetti si era detto così. Il fatto è che lui del dialogo se ne frega, come della privacy di Anna Falchi e del piccolo Moggi, e soprattutto dei giudici e della stampa. Lui ha problemi più impellenti: i processi.Gliela spiega lui a questi fresconi la necessità e l’urgenza. Lui è imputato per corruzione a Napoli insieme a Saccà, l’udienza preliminare rinviata per le elezioni è partita venerdì scorso, quando gli avvocati dei due imputati, Niccolò Ghedini per il Cainano e Marcello Melandri per Saccà hanno ricevuto il cd-rom con dentro tutte le intercettazioni e le altre fonti di prova sul do ut des contestato dagli inquirenti: ragazze da sistemare a Raifiction (quelle che era proprio impossibile portare in Parlamento) in cambio di contropartite affaristiche.

Noi non sappiamo cosa contenga il dischetto, ma i due avvocati e i rispettivi clienti sì. Il Cainano sapeva benissimo quel che aveva fatto e detto. Ora sa anche quel che è stato registrato. E, a giudicare dalla fretta disperata con cui vuole vietare le intercettazioni,dev’essere roba piuttosto compromettente persino per un uomo senza reputazione. Se si arriva al rinvio a giudizio con la legge attuale, sapremo presto tutto anche noi. Con la nuova legge, di cui si occupa attivamente l’on. avv. Ghedini, un vero esperto, non solo non sapremo più nulla. Ma basterà una norma transitoria retroattiva che dichiari inutilizzabili le intercettazioni fatte secondo la vecchia legge in base alla nuova, per distruggere tutto prima che la gente scopra chi faceva un “uso criminoso della televisione pagata con i soldi di tutti”: proprio colui che da Sofia lanciò quell’accusa a Biagi, Santoro e Luttazzi, in combutta con chi eseguì materialmente l’editto bulgaro.

E’ la solita corsa contro il tempo: fare la legge prima che parta il processo. Venerdì, l’On. Avv. in veste di difensore ha chiesto al gip di Napoli di dichiararsi incompetente e di mandare tutto a Roma, così si perde qualche altro mese. Ma la speranza che gli diano retta è scarsina. Ergo, rientrato a Roma, l’On. Avv. ha indossato i panni del legislatore e s’è messo all’opera per la nuova legge. E’ dalla “discesa in campo” del ‘94 che si replica la stessa scena. Decreto Biondi per non far arrestare il fratello Paolo. Legge sulle rogatorie per cestinare le prove sulle tangenti ai giudici. Legge sul falso in bilancio per depenalizzare il reato. Legge Cirami per spostare i processi da Milano. Lodo Maccanico-Schifani per rendere invulnerabile il premier. Legge ex Cirielli per dimezzare la prescrizione e salvare Previti dalla galera. Legge Pecorella per abrogare il processo d’appello Sme-Ariosto. Indulto extralarge per salvare Previti anche dai domiciliari. Ogni volta lo stesso copione. Tutti si domandano perché lo fa e lui, mentre gli altri dialogano, lo fa.

venerdì 13 giugno 2008

Pace

Afghanistan, bimbo verso chissa dove

Foto: Afghanistan

« Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant »

«...hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace. »
Tacito, Aforismi
(Tacito, Vita di Agricola)
Da Guerrilla Poetry

mercoledì 11 giugno 2008

Angelino Alfano e le intercettazioni


di Marco Travaglio - l'Unità.it

Un uomo dotato di un minimo di dignità, al posto di Angelino Alfano, dopo che tutti i suoi dati sulle intercettazioni sono stati sbugiardati da Luigi Ferrarella e Carlo Bonini sulle prime pagine del
Corriere e di Repubblica (oltreché su l’Unità), avrebbe già scavato un buco in terra e vi sarebbe sprofondato, rosso di vergogna. E in un altro paese un ministro come Alfano sarebbe già stato dimissionato dal suo governo.
Perché delle due l’una: o Alfano è un incompetente, e allora se ne deve andare; o mente, e allora se ne deve andare a maggior ragione.
Invece Angelino è Angelino, il Cainano è il Cainano e l’Italia è l’Italia. Dunque il Guardasigilli ad personam resterà al suo posto e verrà premiato: le sue bugie sono servite a mettere in circolo una carrettata di balle e a trasformare un efficacissimo strumento d’indagine in un’emergenza nazionale che ora allarma anche mezza opposizione e persino il capo dello Stato. Tg e giornali della ditta fanno il resto, rilanciando le panzane come se fossero vere (memorabile la prima pagina del Giornale: «Tutti gli italiani sono intercettati»). La truffa funziona perché sembra basarsi su dati statistici, ma per capire che sono manipolati basterebbe ascoltare l’esordio del ministro (non di un passante) nell’audizione dell’altroieri alla commissione Giustizia della Camera (non al bar o a Porta a Porta): «Secondo un mio calcolo empirico e non scientifico, è probabilmente intercettata una grandissima parte del nostro Paese».
Capito? Lui fa i calcoli empirici. E conclude:
1) «Oltre 100 mila persone l’anno sono intercettate in Italia», 2) «mentre negli Usa sono 1.700, in Svizzera 1.300, in Gran Bretagna, 5.500, in Francia 20 mila»; 3) «Le 100 mila persone intercettate fanno o ricevono mediamente 30 telefonate al giorno. Così si arriva a 3 milioni di intercettazioni». 4) «La spesa sulle intercettazioni è in continua crescita: è aumentata del 50% dal 2003 al 2006» e occupa «il 33% delle spese per la Giustizia». Difficile concentrare una tale densità di balle, per quanto «empiriche», in così poche parole. Vediamo.
1) I decreti di autorizzazione dei gip alle intercettazioni sono stati nel 2007 appena 45.122 (più 34.844 di convalida, cioè di proroga quindicinale sulle stesse utenze); ma anche prendendo per buono il dato del ministro, 124.845 provvedimenti complessivi, la cifra non indica il numero dei soggetti intercettati: ogni decreto corrisponde a un’utenza, cioè a un numero telefonico (e spesso viene reiterato anche 3-4 volte, visto che ogni 15-20 giorni bisogna rinnovare il provvedimento). E quando s’intercetta un indagato si controllano i suoi cellulari, numeri di abitazione, mare, montagna, ufficio, auto, senza contare che il tizio cambia spesso scheda per sfuggire ai controlli. Il che significa che, a dir tanto, gli intercettati arrivano a 80 mila l’anno (su 3 milioni di processi). Pari non a «tutti gli italiani» o alla «grandissima parte», ma allo 0,2% della popolazione.
2)
Contando anche i diversi interlocutori dall’altro capo del filo, si arriva all’incirca all’1%.
3)
Paragonare il dato italiano con quello degli altri paesi è come raffrontare le mele con le patate, visto che negli altri paesi il grosso delle intercettazioni le fanno, senza controlli né statistiche, i servizi segreti, le polizie, i pompieri, gli enti locali, le autorità di borsa ecc. Il nostro, come ha appurato nel 2006 la commissione Giustizia del Senato, è il sistema più garantista d’Europa. E l’80% degli ascolti riguarda la criminalità organizzata, cioè le mafie, sconosciute negli altri paesi europei.
4) La spesa per intercettazioni non è in aumento, ma in calo: nel 2005 era di 286 milioni, nel 2006 è scesa a 246, nel 2007 a 224 (40 in meno ogni anno). E 224 milioni non sono «il 33% delle spese per la Giustizia» (7,7 miliardi nel bilancio 2007), ma il 2,9%. Ecco, la spesa reale è un decimo di quella sparata dall’ empirico ministro. Ma potrebbe avvicinarsi allo zero se lo Stato facesse lo Stato: obbligando le compagnie telefoniche, concessionarie pubbliche, ad applicare tariffe scontate o gratuite per le intercettazioni (che ora costano allo Stato 1,6 euro al giorno per i telefoni fissi, 2 per i cellulari, 12 per i satellitari); acquistando le attrezzature usate dagli agenti per intercettare, anziché affittarle a prezzi da favola da ditte private; recuperando le spese di giustizia dai condannati, che devono pagare i costi sostenuti dallo Stato per processarli (oggi si recupera il 3-7%). Resta da capire come possano il Pd e l’Anm «dialogare» con un ministro così, solo perché è «pacato». Spara cazzate, ma pacate.

Leggende spacciate per verità, di Luigi Ferrarella
- Corriere della Sera
Dietro i numeri del Guardasigilli, di Carlo Bonini - La Repubblica
Bruno Tinti : Alfano vuole creare allarme sociale - l'Unità

martedì 10 giugno 2008

Altrachiesa 2

di don Paolo Farinella
Come sarebbe bello se tutti i cattolici "dissidenti" prendessero carta e penna e scrivessero personalmente al proprio vescovo pregandolo di inoltrare al papa il proprio dissenso dall'orrenda visita di Berlusconi al papa con "baciamo-le-mani" incorporato. L'effetto sarebbe più grande che non una raccolta di firme perché sarebbe personale e spedita via posta, segno che si è pensato, scritto, andato alla posta e imbucato. Non importa se non risponderà nessuno. Ciò che importa è il gesto profetico in se stesso.
PS. Il
Giornale di Berlusconi questa volta con un titolo virgolettato "Farinella: Arsenico per il Papa", chiede alla gerarchia la mia sospensione a divinis. Non sapevo che il mio vescovo fosse Paolo Berlusconi, ma tutto è possibile, anche l'impossibile, se è possibile che Berlusconi Silvio sia ricevuto dal papa.

L’immagine di Silvio Berlusconi che prende tra le sue la destra anulata del papa e, «inclinato capite», compunto, ne bacia l’anello, consapevole della dissacrazione che compie, ha fatto il giro del mondo e si è depositata nell’immaginario collettivo dei più come atto di devozione verso l’autorità, riconosciuta, del papa. Il contrasto con le dichiarazioni di Romano Prodi, dopo il «fattaccio» della Sapienza di Roma è abissale e incolmabile. Il cattolico praticante appare il nemico e censore del papa, mentre l’inquisito per frode ed evasione, il condannato, il corruttore, il compratore di senatori a suon di attricette da strapazzo, il puttaniere, il Piduista, l’ateo divorziato difensore della famiglia, appare, di colpo, quasi per magia, l’umile figlio della Chiesa, «prostrato al bacio della sacra pantofola». Il gesto del bacia-anello è stato ripetuto ancora alla fine dell’udienza. «Repetita iuvant».

Dicono i bene informati che il rito del «baciamo-le-mani, Santità!» non è stato spontaneo e istintivo, suggerito dall’emotività del momento che sarebbe stato comprensibile. E’ stato studiato a freddo da esperti psicologi e creatori di consenso d’immagine. Ciò aggrava il fatto e costituisce un doppio «vulnus» che difficilmente sarà riparabile. Peccato, che il papa sia stato al gioco e non abbia rotto il giocattolo fin dall’inizio. A meno che tutto non fosse concordato, come fa supporre il fatto che il Vaticano abbia preteso, fatto unico nella storia della diplomazia vaticana, la presenza del «Gentiluomo di sua Santità», Gianni Letta, come «garante» e testimone dell’incontro. Segno che Berlusconi è tenuto al guinzaglio corto dal sistema clericale imperante.

Come cittadino italiano, sono indignato che il presidente del consiglio dei ministri, che rappresenta la mia nazione, abdichi alla sovranità e alla dignità del mio paese, prostrandosi in baciamano che somiglia più a rappresentazione di stampo mafioso che non a un atto di devozione sincera. Mi ripugna essere rappresentato da un uomo che pur di ingrassare il suo «super-ego», dimentica ogni parvenza di dignità e usa e strumentalizza qualsiasi cosa gli sia utile per i suoi perversi scopi. Egli «fa finta» perché è un finto uomo che ha sempre vissuto di finzione, costruendo sull’apparenza e sull’effimero un potente potentato economico e ora anche politico, «clero iuvante». A questo «homo parvus» dell’opportunismo e della strumentalizzazione si oppone la chiarezza fiera di un grande statista, integerrimo cattolico e anch’egli presidente del consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi, che il papa Pio XII nel giugno del 1952, volle umiliare, annullando l’udienza privata con la famiglia, già programmata da mesi, perché si oppose all’ordine del papa di fare il governo con i fascisti. De Gasperi convocò ufficialmente l’ambasciatore della Santa Sede presso l’Italia, e, stando in piedi, dietro la sua scrivania di capo del governo dell’Italia, disse: Signor Ambasciatore, riferisca al papa che come cristiano accetto l’umiliazione, come presidente del consiglio dei ministri della repubblica italiana, protesto energicamente e chiedo spiegazioni.

Come cattolico praticante, sono indignato e scandalizzato che il papa si presti al gioco mediatico di accreditare come modello di figlio devoto e pio della Chiesa un individuo come Silvio Berlusconi senza chiedergli previamente un atto di conversione e/o di penitenza. Egli è adoratore di «mammona iniquitatis» perché ha fatto l’ingiusta ricchezza con l’inganno, il furto, la corruzione, l’evasione fiscale. Egli è divorziato, abortista e i suoi figli convivono more uxorio, fatti che sarebbero questioni private, se il presidente del consiglio non si dichiarasse cattolico e non andasse dal papa «caram populo et mundo» a parlare in difesa della famiglia secondo la visione della Chiesa: allora anche le sue scelte private diventano fatti pubblici e criteri ermeneutici. Egli è implicato con la mafia (ne ha ospitato uno a casa sua ed è fratello germano di un altro, condannato in secondo grado per mafia). Egli sta perseguitando gli immigrati, tra i quali vi sono migliaia e migliaia di uomini e donne di religione cattolica, di cui il papa dovrebbe essere padre, difensore e vindice, in forza della sua paternità universale. Ho visto latinoamericani, africani e orientali, cattolici, piangere di fronte allo scandalo del papa che accettava l’omaggio di un persecutore ateo e amorale.

Il pastore riceve il lupo travestito da agnello, e abbandona gli agnelli al loro destino: anzi a molti, a tanti, pare che il pastore così sembra autorizzare il lupo a devastare il gregge. E’ ancora fresca nella memoria, la scelta del papa che, per opportunità di equilibri politici internazionali, non volle ricevere il Dalai Lama, premio Nobel per la pace, mentre a meno di tre mesi delle elezioni, riceve il predatore d’Italia, colui che con le sue tv ha degradato l’Italia in forza del principio, pubblicato sul giornale del papa, l’Osservatore Romano (6 giungo 2008), che «la televisione privata dovrebbe avere tra le sue funzioni quella di divertire, come seconda funzione quella di informare e soltanto successivamente, quella di formare». Egli ha detto queste cose alla radio e sul giornale del Vaticano e nessuno gli ha tolto la sedia di sotto e lo ha rimandato a casa. Di fronte all’opinione pubblica, il papa approva.

Santità, mi sento parte integrante della Chiesa-Sacramento e riconosco la sua autorità di papa in quanto vescovo di Roma, ma non mi sento parte di un sistema che pure lei rappresenta: un sistema di connivenza con i potenti che prosperano sui poveri, che affamano i poveri, che manipolano i poveri che nessuno difende. Nemmeno il papa.

Note a làtere:

1. Silvio Berlusconi ha regalato al papa una croce tempestata di pietre preziose fatta fare apposta: un pezzo unico e solitario. Nello stesso momento a due passi di distanza, la Fao ammetteva il suo fallimento sul dramma della fame del mondo: la croce tempestata di diamanti e il Crocifisso affamato. Mai stridìo di simboli fu più drastico. Il 6 giugno 2008 «fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza». Per me, resta un giorno di lutto per la Chiesa cattolica, un fallimento del papato, una vergogna per l’Italia ferita nella sua dignità di Nazione laica.

sabato 7 giugno 2008

Nucleare: il punto di J.Rifkin


UNA fatica inutile. Perché se anche rimpiazzassimo nei prossimi anni tutte le centrali nucleari esistenti nel mondo, il risparmio di emissioni sarebbe comunque un'inezia. Un quarto di quel che serve per cominciare a rimettere le briglie a un clima impazzito. Jeremy Rifkin non ha dubbi: quella atomica è una strada sbagliata, di retroguardia. Come curare malattie nuovissime con la penicillina. E non c'è neppure bisogno dei campanelli di allarme tipo Krsko per capirlo.

Basta guardare i numeri senza le lenti dell'ideologia. Proprio l'attitudine che, in Italia, scarseggia di più per il guru dell'economia all'idrogeno. Si vedrebbe così che l'uranio, come il petrolio, presto imboccherà la sua parabola discendente: ce ne sarà di meno e costerà di più. E che il problema dello smaltimento delle scorie è drammaticamente aperto anche negli Stati Uniti dove lo studiano da anni. "Vi immaginate uno scenario tipo Napoli, ma dove i rifiuti fossero radioattivi?" è il suo inquietante memento. Meglio puntare su quella che lui chiama la "terza rivoluzione industriale".

L'incidente all'impianto sloveno arroventa il dibattito italiano, a pochi giorni dall'annuncio del ritorno al nucleare. Cosa ne pensa?
"Ho parlato con persone che hanno conoscenza di prima mano dell'incidente, e mi hanno tranquillizzato. Non ci sono state fughe radioattive e il governo ha gestito bene tutta la vicenda. Ho lavorato con l'amministrazione Ljubljana e posso dire che hanno sempre dimostrato una leadership illuminata nel traghettare la Slovenia verso le energie rinnovabili. Non posso dire lo stesso di tutti i paesi europei, ma posso lodare le politiche energetiche di Ljubljana".

Superata questa crisi, in generale possiamo sentirci sicuri?
"Il problema col nucleare è che si tratta di un'energia con basse probabilità di incidente, ma ad alto rischio. Ovvero: non succede quasi mai niente di brutto, ma se qualcosa va storto può essere una catastrofe. Come Chernobyl".

Il governo italiano ha confermato l'inizio della costruzione delle nuove centrali entro il 2013. Coerenza o azzardo?
"Non capisco i termini della discussione in corso in Italia. Amo il vostro paese, lo seguo da anni ma questa volta mi sento davvero perso. I sostenitori dicono: il nucleare è pulito, non produce diossido di carbonio, quindi contribuirà a risolvere il cambiamento climatico. Un ragionamento che non torna se solo si guarda allo scenario globale. Oggi sono in funzione nel mondo 439 centrali nucleari e producono circa il 5% dell'energia totale. Nei prossimi 20 anni molte di queste centrali andranno rimpiazzate. E nessuno dei top manager del settore energetico crede che lo saranno in una misura maggiore della metà. Ma anche se lo fossero tutte si tratterebbe di un risparmio del 5%. Ora, per avere un qualche impatto nel ridurre il riscaldamento del pianeta, si dovrebbe ridurre del 20% il Co2, un risultato che certo non può venire da qui".

Un finto argomento quindi quello del nucleare "verde"?
"Non in assoluto, ma relativamente alla realtà, sì. Perché il passaggio al nucleare avesse un impatto sull'ambiente bisognerebbe costruire 3 centrali ogni 30 giorni per i prossimi 60 anni. Così facendo fornirebbe il 20% di energia totale, la soglia critica che comincia a fare una differenza. C'è qualcuno sano di mente che pensa che si potrebbe procedere a questo ritmo? La Cina ha ordinato 44 nuove centrali nei prossimi 40 anni per raddoppiare la sua potenza produttiva. Ma si avvia ad essere il principale consumatore di energia...".

Ci sono altri ostacoli lungo questa strada?
"Io ne conto cinque, e adesso vi dico il secondo. Non sappiamo ancora come trasportare e stoccare le scorie. Gli Stati Uniti hanno straordinari scienziati e hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all'interno delle montagne Yucca dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l'area nonostante i calcoli, i fondi e i super-ingegneri. Davvero l'Italia crede di poter far meglio di noi? L'esperienza di Napoli non autorizza troppo ottimismo. E questa volta i rifiuti sarebbero nucleari, con conseguenze inimmaginabili".

Ecoballe all'uranio, un pensiero da brividi. E il terzo ostacolo?
"Stando agli studi dell'agenzia internazionale per l'energia atomica l'uranio comincerà a scarseggiare dal 2025-2035. Come il petrolio sta per raggiungere il suo peak. I prezzi, quindi, andranno presto su. Ciò si ripercuoterà sui costi per produrre energia togliendo ulteriori argomenti a questo malpensato progetto. Aggiungo il quarto punto. Si potrebbe puntare sul plutonio. Ma con quello è più facile costruire bombe. La Casa Bianca e molti altri governi fanno un gran parlare dei rischi dell'atomica in mani nemiche. Ma i governi buoni di oggi diventano le canaglie di domani".

Siamo arrivati così all'ultima considerazione. Qual è?
"Che non c'è abbastanza acqua nel mondo per gestire impianti nucleari. Temo che non sia noto a tutti che circa il 40% dell'acqua potabile francese serve a raffreddare i reattori. L'estate di cinque anni fa, quando molti anziani morirono per il caldo, uno dei danni collaterali che passarono sotto silenzio fu che scarseggiò l'acqua per raffreddare gli impianti. Come conseguenza fu ridotta l'erogazione di energia elettrica. E morirono ancora più anziani per mancanza di aria condizionata".

Se questi sono i dati che uso ne fa la politica?
"Posso sostenere un dibattito con qualsiasi statista sulla base di questi numeri e dimostrargli che sono giusti, inoppugnabili. Ma la politica a volte segue altre strade rispetto alla razionalità. E questo discorso, anche in Italia, è inquinato da considerazioni ideologiche".

In che senso? C'è un'energia di destra e una di sinistra?
"Direi modelli energetici élitari e altri democratici. Il nucleare è centralizzato, dall'alto in basso, appartiene al XX secolo, all'epoca del carbone. Servono grossi investimenti iniziali e altrettanti di tipo geopolitico per difenderlo".

E il modello democratico, invece?
"È quello che io chiamo la "terza rivoluzione industriale". Un sistema distribuito, dal basso verso l'alto, in cui ognuno si produce la propria energia rinnovabile e la scambia con gli altri attraverso "reti intelligenti" come oggi produce e condivide l'informazione, tramite internet".

Immagina che sia possibile applicarlo anche in Italia?
"Sta scherzando? Voi siete messi meglio di tutti: avete il sole dappertutto, il vento in molte località, in Toscana c'è anche il geotermico, in Trentino si possono sfruttare le biomasse. Eppure, con tutto questo ben di dio, siete indietro rispetto a Germania, Scandinavia e Spagna per quel che riguarda le rinnovabili".

Ci dica come si affronta questa transizione.
"Bisogna cominciare a costruire abitazioni che abbiano al loro interno le tecnologie per produrre energie rinnovabili, come il fotovoltaico. Non è un'opzione, ma un obbligo comunitario quello di arrivare al 20%: voi da dove avete cominciato? Oggi il settore delle costruzioni è il primo fattore di riscaldamento del pianeta, domani potrebbe diventare parte della soluzione. Poi serviranno batterie a idrogeno per immagazzinare questa energia. E una rete intelligente per distribuirla".

Oltre che motivi etici, sembrano essercene anche di economici molto convincenti. È così?
"In Spagna, che sta procedendo molto rapidamente verso le rinnovabili, alcune nuove compagnie hanno fatto un sacco di soldi proprio realizzando soluzioni "verdi". Il nucleare, invece, è una tecnologia matura e non creerà nessun posto di lavoro. Le energie alternative potrebbero produrne migliaia".

A questo punto solo un pazzo potrebbe scegliere un'altra strada. Eppure non è solo Roma ad aver riconsiderato il nucleare. Perché?
"Credo che abbia molto a che fare con un gap generazionale. E ve lo dice uno che ha 63 anni. I vecchi politici, cresciuti con la sindrome del controllo, si sentono più a loro agio in un mondo in cui anche l'energia è somministrata da un'entità superiore".

da Repubblica.it (7 giugno 2008)

venerdì 6 giugno 2008


"Gioia per il nuovo clima politico"

Benedetti interessi

Per don Franco Barbero l'incontro tra Berlusconi e Ratzinger darà pericolosi frutti concreti: "La chiesa benedirà le grandi opere dello stato e lo stato finanzierà le grandi opere della chiesa". Che pretende ancora più soldi e privilegi.

- Don Aldo Antonelli: "Un abbraccio mortifero"
- Domenico Rosati: “Berlusconi cerca rapporto senza intermediari con il papa”


Altrachiesa

Lo straniero, icona del credente volto di Dio di don Paolo Farinella *

Il vero cristiano si vede con i clandestini di Enzo Bianchi, la Stampa

da Micromega online

* Prete di Genova, ha conseguito una duplice licenza in Teologia biblica e Scienze Bibliche e Archeologia presso lo Studium Biblicum di Gerusalemme. Biblista, scrittore, saggista e conferenziere collabora ad alcune riviste di grande diffusione. Con l’Editoriale Adelphi ha pubblicato Habemus papam, Francesco (2000) e con il Segno dei Gabrielli Editore: 1) Crocifisso tra potere grazia. Dio e la civiltà occidentale (2006); 2) Ritorno all’antica Messa. Nuovi problemi e interrogativi (2007) e, in corso di stampa, Parole segrete della Bibbia (2008). Tiene una rubrica biblica fissa sul mensile Missioni Consolata di Torino.

martedì 3 giugno 2008

A.Stille racconta l'Italia

da El Pais

I capi mafia hanno rapporti con i politici siciliani e napoletani, che, a loro volta, sostengono i leader nazionali. E tutti loro prendono parte ad una lotta contro il potere giudiziario. Però, attenzione a chi osa parlarne!

31/05/2008

Nel 2001, un capo della mafia siciliana di nome Giuseppe Guttadauro noto’ d’improvviso qualcosa di strano nel suo salotto, che risultò essere un dispositivo elettronico di ascolto. “Così, Totò Cuffaro aveva ragione!”, ha esclamato. Sono state le ultime parole sentite dalla polizia dette da Guttadauro prima di scollegare il microfono e, quindi, interrompere l’inchiesta. Il nome che è stato pronunciato non era niente di meno che quello del presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, Totò per i suoi amici. La conversazione è stata una delle principali prove che hanno consentito quest’anno di condannare Cuffaro per complicità con diversi mafiosi che erano sotto indagine penale.

Tuttavia, nonostante questa condanna, che è attualmente in fase di ricorso, Cuffaro è riuscito ad essere eletto il mese scorso al Senato italiano dalla piccola parte cattolica, di sezione centrista.

L’ascolto dal salone di Guttadauro, prima che lui scollegasse, fornisce un utile quadro di come la mafia pensa e parla di politica. “Totò Cuffaro è la cosa migliore che potremmo chiedere,” dice l’interlocutore di Guttadauro, un medico di nome Salvatore Aragona. “Speriamo che vinca la destra”, ha detto Guttadauro, “Berlusconi, per risolvere i suoi problemi, deve risolvere anche i nostri.”

Ci sono buone ragioni di credere che questo è vero. Da quando è salito al potere per la prima volta nel 1994, Berlusconi ha condotto un’ inesorabile campagna per indebolire i poteri della magistratura italiana, che ha sottoposto lui e vari suoi collaboratori a processi per accuse che vanno dalla corruzione alla collusione con la mafia. Uno dei migliori amici ed ex capo del partito di Berlusconi, Marcello Dell’Utri, di Palermo, è stato dichiarato colpevole di questi ultimi. E dopo che accusarono Cuffaro di aver informato Guttadauro, Berlusconi stesso lo ha chiamato per manifestare la sua solidarietà e dirgli: “Ho parlato con il Ministro degli Interni e mi ha detto che tutto è sotto controllo”. Nella stessa conversazione, Cuffaro ha detto a Berlusconi: “Già sai che ti vogliamo bene e che sei nelle mie preghiere ogni mattina.”

Questa serie di colloqui mostra come la mafia si è inserita nella vita politica dell’Italia. I suoi capi locali hanno legami con i politici siciliani, ai quali danno il denaro e dai quali ricevono favori, sia sotto forma di appalti pubblici o avvisandoli quando le loro società sono sotto inchiesta. Da parte loro, i politici locali accumulano basi di potere significativi e un gran numero di fedeli elettori, e i politici nazionali cercano tali contatti e, a loro volta, li aiutano. Si tratta di un sistema basato sul clientelismo e sul potere, che ha il sostegno della criminalità organizzata.

Anche se ci sono testimoni che sostengono che la mafia ha fatto un patto con Berlusconi, e che Marcello Dell’Utri è il loro intermediario, non è necessario credergli per rendersi conto che c’è in ogni caso, un rapporto molto insano. La mafia, come rendono chiare le dichiarazioni del boss Guttadauro, agisce partendo dal principio che il nemico del mio nemico è mio amico. E sia la mafia che Berlusconi stanno scatenando da tempo una guerra incessante contro la magistratura italiana.

Con qualche aiuto da parte del centro-sinistra, bisogna riconoscerlo, la coalizione di Berlusconi ha riscritto il diritto penale in modo tale che ora è infinitamente più difficile condannare imputati di tutti i tipi, inclusi i mafiosi. La lunghezza dei processi è raddoppiata ed i cambiamenti giuridici offrono mille opportunità per ritardare o revocare i processi basandosi su piccoli dettagli tecnici, con il risultato che, quindi, è già trascorso troppo tempo dal momento in cui è stato commesso il reato. In quasi tutti i paesi, i tempi di prescrizione vengono calcolati a partire dall’inizio delle azioni giudiziarie, ma in Italia non è il caso, e quindi molte condanne si eludono semplicemente grazie ai ritardi. Inoltre, il Parlamento italiano ha rimosso i carceri speciali per i più pericolosi capi mafia, che impedivano loro quasi completamente di comunicare con le loro organizzazioni, e ha ridotto i vantaggi per i testimoni che cooperano. Inoltre, il centro-sinistra del governo di Romano Prodi, con sostegno entusiasta del centro-destra, ha approvato un’amnistia che ha permesso la liberazione di 26.000 prigionieri; ha impedito al principale avvocato di Berlusconi, Cesare Previti, condannato per corruzione di giudici, di andare in prigione, e ha messo in strada diversi accusati di appartenenza alla criminalità organizzata.

Tutto questo non solo è moralmente ripugnante, ma è di cruciale importanza per il mandato del nuovo Governo di centro-destra. Tra i più importanti temi della recente campagna elettorale ci sono stati la criminalità e la sicurezza. Per trattare ciò, il governo dovrà cambiare la sua politica in materia di giustizia penale. Come ha recentemente affermato Antonio Manganelli, capo della polizia italiana, “molto di ciò che facciamo è inutile a causa del funzionamento giudiziario. Abbiamo un sistema di giustizia che è lento e complicato che fa si che la polizia compia sforzi invano.” Inoltre, la coalizione di Berlusconi si basa su una profonda contraddizione. Da un lato, è molto forte nel nord, dove il gruppo è alleato con gli autonomisti della Lega Nord. Dall’altro, ha grande forza nel sud, dove il centro-destra è supportato da un sistema di clientelismo che ha notevolmente beneficiato dalle bande della criminalità organizzata. La Lega Nord, il principale vincitore alle elezioni del mese scorso, sta contro il fatto che il denaro delle imposte del nord si utilizzi per sostenere uno stato sociale nel sud.

Un altro importante aspetto della campagna è stato il disastro dei rifiuti che si accumulano nelle strade di Napoli e di altre città vicine. Nel sud Italia, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti è in gran parte nelle mani della criminalità organizzata. Pertanto, per ripulire Napoli, il governo deve affrontare la camorra, la versione napoletana della mafia. E la presenza di numerosi politici (molti di più di quelli menzionati qui) che hanno legami amichevoli con la criminalità organizzata mette l’attuale governo in rotta di collisione tra il mandato di cambiamento che ha promesso agli elettori e il radicato sistema di clientelismo nel sud, di cui la Mafia è un pilastro fondamentale.

Tuttavia, la presenza di numerose figure note per i legami con la criminalità organizzata nella lista elettorale dal centro-destra non è stata una questione di cui si è discusso in campagna. La coalizione di Berlusconi ha incluso il suo buon amico Marcello Dell’Utri, nonostante la sua condanna per le relazioni con la mafia, in piena campagna, Dell’Utri ha fatto alcune strane dichiarazioni che hanno fatto riferimento ad un mafioso di nome Vittorio Mangano -condannato tra l’altro per omicidio e traffico di eroina- che lui ha qualificato come “eroe”. Dell’Utri aveva assunto negli anni settanta Mangano a lavorare per Berlusconi, tra le altre cose per prendere e portare i suoi figli a scuola. Mangano ha continuato ad essere nei suoi libri paga, anche dopo aver smesso di lavorare e dopo che la sua lunga fedina penale è venuta alla luce. In campagna, Dell’Utri ha lodato Mangano per aver rifiutato di testimoniare contro di lui e contro Berlusconi ed aver preferito l’omertà tradizionale del mafioso. Berlusconi, invece di distanziarsi dalle lodi che Dell’Utri aveva detto ad un assassino e narcotrafficante, ha aggiunto la sua voce alle elogi dell’ “eroe” Mangano.

Il nuovo presidente della Camera Bassa del Parlamento, Renato Schifani, ha avuto rapporti d’affari con due uomini che sono stati successivamente condannati per appartenenza alla Mafia, ed ha ricevuto un contratto lucrativo per modificare la classificazione del terreno in una cittadina siciliana il cui Consiglio è stato sciolto due volte per essere sotto il controllo della mafia. Tuttavia, quando il giornalista italiano Marco Travaglio ha menzionato questi dati –che sono stati negati un paio di giorni fa in televisione, è scoppiato il caos. Ma la rabbia e l’indignazione non si sono innescate nei confronti del politico per le sue liaisons pericolose, ma contro il giornalista e quelli che gli avevano permesso di parlare in televisione.

Alexander Stille è professore presso la Columbia University, New York, esperto di mafia.



domenica 1 giugno 2008

Dono

Un sopravvissuto all'attentato che ha ucciso Benazir Bhutto, Pakistan.


Ricevetti il dono di essere l'unico sopravvissuto,
vagai per il mondo alla ricerca del mio benefattore,
e di un qualunque motivo per cui scelse me.

da GuerrillaPoetry
 
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