sabato 31 maggio 2008

“Il miraggio nucleare tra interessi e propaganda”

Due fra i maggiori scienziati italiani spiegano perchè la decisione del governo di tornare al nucleare è completamente sbagliata da un punto di vista economico, politico e ambientale

- Cini: "Interessi e propaganda" *

- Parisi: "Il mondo va in direzione opposta" **


*Marcello Cini, professore emerito di Istituzioni di Fisica Teorica e Teorie quantistiche all'Università "La Sapienza" di Roma, spiega perchè la scelta del governo di tornare al nucleare è completamente sbagliata da un punto di vista economico, politico e ambientale.

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**Giorgio Parisi è professore di Calcolo delle probabilità all'Università "La Sapienza" di Roma e membro della Nationa Academy of Science.

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Da MicromegaOnline

Altrachiesa

Tante parole, molte chiacchere, ma i fatti?
di padre Fausto Marinetti (da MicromegaOnline)

7.000 nomadi a Roma, 10.000 a Napoli, 160.000 in Italia, lo 0,2% della popolazione. Il 60% sono minori. Molti arrivano dai Balcani negli anni '90 per sfuggire ai conflitti etnici.

Ponticelli, rom, rumeni, clandestini. Emergenza rifiuti, rifiuti umani compresi. Da una parte si parla di tolleranza zero, reato di clandestinità, 10 nuovi CPT, ronde, pattuglie militari; dall'altra di progrom, intolleranza, xenofobia, criminalizzazione, guerra tra poveri. Per il sindaco di Napoli è facile solidarizzare, ma poi tocca al municipio trovare una sistemazione. Il cardinale replica, esortando i preti a portare latte ai bambini e cibo ai genitori, che non "hanno una crosta di pane".

Peccato che gli "impegnati" intervengano individualmente, ognuno suoni il suo strumento senza fare orchestra. Nobili solisti, niente coro. Flebili i richiami delle istituzioni centrali. Dopotutto come possono alzare la voce con quei poteri politici che, in cambio di privilegi, hanno promesso di sostenere i "principi non negoziabili della chiesa"? Se mangi nel piatto del padrone non puoi permetterti di criticarlo. Esattamente il contrario dell'azione dei profeti. Ma è forse negoziabile la giustizia, la dignità umana, i diritti umani? Può una chiesa diventare funzionale al potere economico, politico, militare?

In nome della sicurezza pare si voglia passare su tutto il resto. Ma sicurezza di chi? Non hanno diritto alla sicurezza anche (o soprattutto?) i più deboli, gli indifesi, donne e bambini, i poveri, appunto? Forse l'istituzione clericale sta diventando la "chiesa a servizio dei politici" che promettono di legiferare sulla famiglia sicura, di negare ogni diritto civile alle copie di fatto, agli omosessuali, ecc.? La scomparsa del partito cattolico, la DC, sponsorizzato dal vaticano, non insegna proprio niente?

Anche nella povertà c'è una gerarchia, una graduatoria senza fine: disoccupati, precari, pensionati con la minima, anziani, senza casa, senza assistenza, ecc. Ma in Europa non si è mai semtito dire che qualcuno sia morto di fame (tranne per anoressia). Papa Giovanni ed il Concilio oggi, forse, più che di "Chiesa dei poveri", parlerebbero di "Chiesa dei clandestini e dei rom"? Non sono loro gli ultimi degli ultimi? Non sono tutte per loro le parole di Cristo, sia quelle di Luca 4 ("Sono venuto per annunciare la libertà ai prigionieri del bisogno"), che quelle di Matteo 25: ("Avevo fame di dignità, sete di giustizia... non mi avete saziato"?).

I politici in cerca di consenso potranno produrre le loro giustificazioni ("Sono delinquenti! Vengono tutti in Italia per via dell'impunità!"); potranno sfruttare il clima di paura, cavalcare la sindrome dello zingaro e del clandestino (tutti ladri, tutti fannulloni, tutti protettori della prostituzione organizzata, ecc.). Ma i vescovi e i preti? Perfino la cattolicissima Spagna, perfino la UE si è fatta sentire. Non è un po' troppo criminalizzare indiscriminatamente i depauperati? Per certi politici pare che basta nascere rom o figlio di clandestini per essere automaticamente "delinquente"!

Fiumi di parole, di chiacchiere... Ma i fatti?

Quanti preti hanno aperto le porte della chiesa ai nuovi apolidi e perseguitati?

E un vescovo, uno solo, che li abbia invitati a prendere possesso di uno, uno solo, dei tanti stabili ecclesiastici o conventi vuoti o seminari in disuso o affittati?

E, miracolo dei miracoli!, una sola delle centinaia di congregazioni religiose (che hanno trasformato i loro noviziati in alberghi/ostelli esentasse), che abbia messo a disposizione i propri spazi?

E se lo Stato del Vaticano offrisse loro asilo politico, chissà, magari un pezzettino dei suoi giardini per un asilo nido, oppure proponesse loro la cittadinanza vaticana, o, perché no?, offrisse loro una basilica e adiacenze con il privilegio della extra-territorialità?

Il "figlio dell'uomo" continua a ripetere a tutti i figli dell'umanità: "Se stai per fare la tua offerta all'altare e lì ti sovviene che qualcuno ce l'ha contro di te, lascia la tua offerta, vai a riconciliarti con il tuo fratello".

Rom e clandestini non hanno qualche cosa contro di noi?

(29 maggio 2008)

venerdì 30 maggio 2008

Ave, compagno Silvio

Edmondo Berselli osserva su Repubblica che «negli ultimi giorni si è assistito a un fenomeno straordinario di conformismo verso il nuovo potere... turiboli d'incenso sparsi per celebrare la liturgia del grande ritorno», ennesimo sintomo dell'«ineffabile amore di buona parte delle élite italiane per qualsiasi potere, purché forte e spregiudicato», che «riversa sul centrodestra un'onda di consenso aprioristico, non condizionato dalla verifica dei risultati attesi. Un consenso "a prescindere"». Berselli ce l'ha con la non-opposizione del Pd (i «diversamente concordi», Ellekappa). Ma poi, mentre il Pd si oppone un pochino alla legge salva-Rete4, ecco un editoriale di Liberazione dal titolo: «Ma chi se ne frega di Rete4». È il solito benaltrismo dei compagnucci della parrocchietta, non a caso recentemente estinti. Per loro il problema è sempre un altro. Non è il monopolio berlusconiano delle tv, cioè della non-informazione, dell'immaginario collettivo, del senso comune, della scala dei valori e soprattutto dei disvalori degl'italiani. Ma, com'è noto, è il modello di sviluppo, la globalizzazione, e naturalmente il Chiapas. Credo, anzi temo che chi sostiene questa bizzarra tesi non sia un venduto: temo sia in buona fede.
Chi si dedica con passione agli ultimi, ai temi dei salari, del precariato, dell'ambiente, della pace, della laicità, dei diritti civili, dell'antifascismo non ha ancora compreso che su questi fronti l'Italia non farà mai un solo passo avanti proprio perché questi temi - salvo qualche rara oasi di libertà - non appaiono mai in tv, dunque non diventano centrali nel dibattito politico e culturale, dunque «non esistono».
Chi lamenta la scomparsa della classe operaia dalle tv e dunque dai giornali e dalla politica dimentica che è frutto del monopolio tv, dei 6-7 palinsesti tutti uguali, della mancanza di pluralismo e di libero mercato. La battaglia per spedire Rete4 su satellite e trasferirne le frequenze a Europa7 non è un dispetto a Berlusconi o a Fede. E neppure, solo, una battaglia di legalità per rispondere a due sentenze della Consulta, a una della Corte di giustizia europea e a due procedure d'infrazione dell'Ue
(che, fra l'altro, ci costerebbero multe salatissime). È soprattutto una battaglia per aprire il mercato tv a un nuovo soggetto. Che non solo ha il sacrosanto diritto di praticare il suo business. Ma porterebbe pure un grande beneficio a tutto il Paese. Se i governi di destra e sinistra dal 1999 a oggi avessero fatto il proprio dovere, assegnando a Europa 7 le frequenze necessarie per esercitare la concessione regolarmente vinta (e persa da Rete4), da nove anni i cittadini potrebbero scegliere col telecomando un'emittente in più, oltre alle solite e sempre più simili Rai, Mediaset e La7. Non so che editore sia Francesco Di Stefano, perché nessuno gli ha mai dato modo di mettersi in gioco. Ma se non è proprio un fesso autolesionista immagino che avrebbe messo in piedi una tv radicalmente alternativa a quelle esistenti. Per pescare anzitutto nel serbatoio di quei 30 milioni che oggi tengono il televisore spento. Il suo interesse economico l'avrebbe spinto a dare al pubblico di Europa 7 ciò che Rai, Mediaset e La7, legate a filo doppio alla politica, non possono o non vogliono dare. Non avrebbe faticato a inventare un palinsesto e a trovare chi lo realizzasse: avrebbe ingaggiato Biagi, Santoro, Luttazzi, Guzzanti, Fini, Beha, Freccerò e altri grandi professionisti più o meno noti, banditi per anni (e, in buona parte, oggi). Se non l'avesse fatto, avrebbe condannato la sua tv al più cocente fallimento. E sarebbe scomparso dalla scena, liberando le frequenze per qualcun altro più capace di lui. Se invece l'avesse fatto, avrebbe intercettato una gran voglia di informazione, di satira, di spettacolo diversi da quelli che siamo abituati a subire. E avrebbe rubato pubblico e pubblicità ai monopolisti di sempre. Naturalmente è proprio quest'eventualità che terrorizza il partito azienda e il sistema dei partiti, di destra ma anche di una bella fetta del centrosinistra. Ed è per questo che non l'hanno mai lasciato nemmeno provare, riuscendo persino a oscurare lo scandalo Europa 7. Così che, nel 2008, qualche compagnuccio mitridatizzato dalla propaganda del monopolio sbuffasse in prima pagina: «Chi se ne frega di Rete4». Missione compiuta.

Ora d'aria, M.Travaglio 28/05/08

giovedì 29 maggio 2008

Carlo Rubbia - Intervista sull'energia nucleare 2


In una recente intervista, Carlo Rubbia ( premio Nobel per la fisica ) ( come Scajola ) ha dichiarato:

“Il petrolio e gli altri combustibili fossili sono in via di esaurimento, ma anche l’uranio è destinato a scarseggiare entro 35-40 anni. Non possiamo continuare perciò a elaborare piani energetici sulla base di previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori strada. Dobbiamo sviluppare la più importante fonte energetica che la natura mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo zero: e cioè il sole che ogni giorno illumina e riscalda la terra”.

" Quando è stato costruito l’ultimo reattore in America? Nel 1979, trent’anni fa! Quanto conta il nucleare nella produzione energetica francese? Circa il 20 per cento. Ma i costi altissimi dei loro 59 reattori sono stati sostenuti di fatto dallo Stato per mantenere l’arsenale atomico. Ricordiamoci che per costruire una centrale nucleare occorrono 8-10 anni di lavoro che la tecnologia proposta si basa su un combustibile, l’uranio appunto, di durata limitata. Poi resta, in tutto il mondo, il problema delle scorie”.

Non esiste un nucleare sicuro. O a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali."

" Il carbone è la fonte energetica più inquinante, più pericolosa per la salute dell’umanità. Ma non si risolve il problema nascondendo l’anidride carbonica sotto terra. In realtà nessuno dice quanto tempo debba restare, eppure la CO2 dura in media fino a 30 mila anni, contro i 22 mila del plutonio. No, il ritorno al carbone sarebbe drammatico, disastroso”.

“C'è un impianto per la produzione di energia solare, costruito nel deserto del Nevada su progetto spagnolo. Costa 200 milioni di dollari, produce 64 megawatt e per realizzarlo occorrono solo 18 mesi. Con 20 impianti di questo genere, si produce un terzo dell’elettricità di una centrale nucleare da un gigawatt. E i costi, oggi ancora elevati, si potranno ridurre considerevolmente quando verranno costruiti in gran quantità. Basti pensare che un ipotetico quadrato di specchi, lungo 200 chilometri per ogni lato, potrebbe produrre tutta l’energia necessaria all’intero pianeta. E un’area di queste dimensioni equivale appena allo 0,1 per cento delle zone desertiche del cosiddetto sun-belt. Per rifornire di elettricità un terzo dell’Italia, un’area equivalente a 15 centrali nucleari da un gigawatt, basterebbe un anello solare grande come il raccordo di Roma”.

"I nuovi impianti solari termodinamici a concentrazione catturano l’energia e la trattengono in speciali contenitori fino a quando serve. Poi, attraverso uno scambiatore di calore, si produce il vapore che muove le turbine. Né più né meno come una diga che, negli impianti idroelettrici, ferma l’acqua e al momento opportuno la rilascia per alimentare la corrente”.

Se è così semplice, perché allora non si fa?

“Il sole non è soggetto ai monopoli. E non paga la bolletta. Mi creda questa è una grande opportunità per il nostro Paese: se non lo faremo noi, molto presto lo faranno gli americani, com’è accaduto del resto per il computer vent’anni fa”. (30 marzo 2008)

mercoledì 28 maggio 2008

Roma, anno zero


Intervista di Stefano Corradino

Poche settimane fa Verona e Viterbo. Negli ultimi giorni Roma: dal Pigneto all’Università La Sapienza. Gli episodi di intolleranza dilagano. “Quando una parte della destra radicale viene sdoganata politicamente molti si sentono autorizzati e compiono gesti che probabilmente prima non avrebbero fatto”. Lo afferma ad Articolo21 il giornalista regista Claudio Lazzaro, autore del film Nazirock, che le sale cinematografiche non hanno proiettato per paura di ritorsioni. E che anche le librerie nascondono. Questa sera proietterà la pellicola nel quartiere Garbatella di Roma. Nel suo film, tra i personaggi descritti c’è Martin Avaro, uno dei protagonisti del grave episodio di ieri all’Università La Sapienza.


Questa sera proietterai nel quartiere della Garbatella di Roma il tuo film Nazirock. Da Verona a Viterbo, dal Pigneto agli scontri di ieri all’Università La Sapienza. C’è un fil rouge, anzi un fil noir che lega questi avvenimenti?
C’è un clima preoccupante. E le aggressioni continue di questo periodo trovano purtroppo un terreno fertile anche da un punto di vista politico. Che viene da lontano e riguarda varie città nel nord e nel sud e nel Paese. Pensiamo a Verona: ero lì a proiettare il mio film. Tre proiezioni in un giorno in una città in cui il sindaco, Tosi, voleva mettere nell’Istituto Storico per la Resistenza un personaggio come Andrea Miglioranzi, ultrà dello stadio condannato a tre mesi di galera per istigazione razziale e tra i leader del gruppo “Nazirock”. In un posto dove il leghismo più estremista si intreccia con la destra più radicale tutto purtroppo diventa possibile....

C’è una latente accondiscendenza politica dietro queste forme di intolleranza?
Nessun esponente politico dell’attuale governo ha spinto i giovani in questa direzione. E molti a cominciare dal neo sindaco di Roma hanno preso formalmente le distanze, stigmatizzando ad esempio l’episodio del Pigneto. Ma non ci dimentichiamo che, sebbene abbia fatto ammenda lo stesso Alemanno ha una storia giovanile di militanza in ambienti non propriamente pacifici e tolleranti… Con ciò non voglio dire che siano stati "aizzati" ma che nel momento in cui una parte della destra radicale viene sdoganata politicamente molti si sentono autorizzati e vengono allo scoperto e compiono gesti che probabilmente prima non avrebbero fatto.

Un clima che impensierisce gli stessi distributori del film. Nazirock ha avuto seri problemi a passare nelle sale…
Non è stato praticamente possibile diffonderlo al cinema per le diffide arrivate da Forza Nuova. D’altronde quando un esercente riceve una diffida legale da qualcuno che è stato condannato a sei anni e mezzo per banda armata capisco che si preoccupi. Fortunatamente il film ha avuto anche una distribuzione in libreria ma io volevo raggiungere un gruppo di giovani meno preparati, che magari le librerie non le frequentano. Quelli che possono essere vittima di queste trappole ideologiche che dovrebbero essere pattumiere della storia. In ogni caso perfino le librerie hanno paura di esibire Nazirock e lo nascondono. C’è gente che ha dovuto chiedere per dieci minuti il film prima di vederselo consegnare…

Uno dei giovani di Forza Nuova responsabile delle aggressioni all’università di Roma era uno dei protagonisti del tuo film.
Sì, è il federale di Roma est Martin Avaro, già coinvolto lo scorso anno nell'inchiesta sul raid avvenuto nel parco di Villa Ada a giugno.

Hai scritto un editoriale sul nostro giornale on line dal titolo “Come piazzare un giornalista nel mirino delle squadre fasciste”. Sei preoccupato?
Mi preoccupa molto. Tre giorni fa è apparso su YouTube un video che si presenta e si firma col marchio di Forza Nuova. Boicotta Nazirock, è il titolo di testa, su sfondo blu brillante. Poi, con un montaggio di testi e immagini, si cerca di smontare il complotto che avrei ordito contro Forza Nuova. Secondo il video, il grande striscione che si vede nel mio film, sventolato da un gruppo di giovani a braccio teso nel corso del raduno di Forza Nuova, sarebbe un falso: sarei stato io a modificarlo in sede di montaggio per diffamare e infangare il partito di Roberto Fiore. Darmi del falsario, dipingermi come un infame in un clima come questo ti fa diventare un bersaglio. Nella migliore delle ipotesi è un atteggiamento irresponsabile. Nella peggiore un atto di squadrismo.

Articolo21, nella sua campagna contro la mafia ha lanciato il tema della “scorta mediatica”, come uno degli strumenti principali da adottare per isolare la criminalità. Vale solo per chi combatte la mafia o pensi che sia fondamentale che i media diano più voce anche a coloro che contrastano fenomeni di recludescenza neofascista?
La cosa più importante è che i media rappresentino questi fenomeni senza minimizzare . Non per fare antifascismo ma per fare informazione onesta. Per questo dalla stampa non mi sento né protetto né abbandonato. E non chiedo che si discuta di più del mio film. Vorrei che si parlasse di questo contesto sociale dove stanno dilagando intolleranza e aggressività. Purtroppo devo constatare che la tv ha scarsa attenzione su questi temi.

Se di fascismo si può parlare quali sono i caratteri che lo caratterizzano rispetto a quello “storico”?
Non ha molto a che fare con l’originale. Per i giovani sono solo mitologie "orecchiate": questi ragazzi non hanno conoscenza della storia, sono giovani reclutati spesso negli stadi che poi trovano in Forza Nuova o nella Fiamma un partito per incanalare energie. Ma non hanno conoscenza alcuna dei fenomeni storici. Non c’è coerenza ideologica, ma continue contraddizioni.

Magari non solo nei giovani. C’è chi sbandiera l’antiglobalizzazione per poi allearsi con Berlusconi…
E’ il caso di Roberto Fiore. I suoi discorsi appassionati contro la globalizzazione e lo sfruttamento della manodopera, il suo antiamericanismo viscerale e poi l’apertura in campagna elettorale all’attuale presidente del Consiglio che è il più filo americano di tutti. In effetti le contraddizioni sono a più livelli.

E la sinistra che responsabilità ha in questo contesto? Non è riuscita a intercettare il degrado culturale o la rabbia dei giovani?
Ha innanzitutto un difetto di comunicazione, non ha avuto la capacità di intervenire e creare un radicamento. Forse se la sinistra avesse avuto un linguaggio diverso capace di entusiasmare i giovani attraverso i suoi valori, del tutto differenti, di eguaglianza e solidarietà magari a quest’ora quei giovani avrebbero pulsioni più positive.

Una responsabilità che parte da lontano…
Pasolini nel '74 contestava il fatto che la sinistra vedeva i giovani di destra come l’inevitabile raffigurazione del male. E non andava oltre. Forse sarebbe il caso di ripartire da lui…

Gomorra, film importante di denuncia sociale, tratto dal libro di Saviano, ha conquistato un premio molto ambito al festival di Cannes aprendo un dibattito vivo sul tema della criminalità, della delinquenza giovanile, del racket dei rifiuti... Il cinema può essere uno strumento per aprire degli squarci? Per farci riflettere?
Il cinema è lo strumento principale per fare ciò. Due giorni fa ero nella città di Acquapendente a presentare il film. Una sala piena di persone che hanno visto Nazirock e sono rimaste due ore a parlarne. Non è vero che film di questo tipo non possono avere mercato: la gente ha voglia di vedere rappresentata la realtà in cui vivono. Sono le istituzioni della comunicazione a pensare che la gente abbia solo voglia di soap opera e di lucchetti dell’amore...

Da Articolo21.info

L'intervento di G.Giulietti sul caso - da Articolo21

martedì 27 maggio 2008

Mostro

An infamous photo showing a Nazi shooting a Polish woman--most likely a Jew--clutching her child.  It is impossible to comprehend the evil


" E voi, imparate che occorre vedere e non guardare in aria; occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo!
I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo vittoria troppo presto:
il grembo da cui nacque è ancor fecondo. "

(Bertold Brecht)

da Guerrilla Poetry

lunedì 26 maggio 2008

Diretta blog, la registrazione di oggi

Balle spaziali

Riporto di seguito la trascrizione della diretta video di Marco Travaglio di oggi.


"Volete farvi quattro risate? Leggete Francesco Alberoni - sociologo del nulla, scalatore delle discese, esperto dell'ovvio - sul Corriere di oggi. Sulla prima pagina del Corriere, dove una volta scriveva Pasolini; oggi Alberoni. Dice Alberoni: "Sono convinto che l'Italia si riprenderà rapidamente. Prima di quanto tutti credano. E si riprenderà perché finalmente ha riacquistato il senso della realtà. Oggi tutti chiedono sicurezza, vogliono i termovalorizzatori, trovano giusto che il capo del Governo si incontri con il capo dell'opposizione, condannano i minorenni che stuprano o uccidono le adolescenti - (prima invece eravamo tutti solidali con gli stupratori) - e accettano che un ministro proponga che i funzionari che non lavorano possano venire licenziati. I giornali e la televisione cominciano a descrivere oggettivamente i fatti di cronaca nera, di corruzione e di povertà, senza ubriacarci con cento pareri politico-ideologici". - (È bastato che Berlusconi vincesse le elezioni, guardate quanti miracoli in due settimane) - "La gente può riflettere e giudicare con la sua testa, usare il suo buon senso. Naturalmente ci sono personaggi che non hanno ancora capito che la società è cambiata e si comportano come quei giapponesi che, a guerra finita, continuano a combattere. Ma spariranno." Parola di Francesco Alberoni. Insomma, il titolo è "Il Paese sta riconquistando il senso della realtà".
E vediamo subito qualche esempio di questo riconquistato senso della realtà. Per esempio l'abolizione dell'ICI. Che peraltro, per le case più modeste, era stata già abolita prima. Ma quelli che l'avevano abolita non ce lo avevano nemmeno raccontato, perché non sapevano comunicare. Bene, adesso l'hanno abolita anche per i ricchi e dicono di voler fare il federalismo fiscale. In realtà non c'è tassa più federale di una tassa comunale come l'ICI, che essendo basata sul patrimonio e non sul reddito, costringeva a pagare un po' di tasse anche quelli che sul reddito evadono completamente o parzialmente. E soprattutto era il polmone che finanziava i comuni. Cioè era la tassa più federale che si potesse immaginare. I federalisti l'hanno cancellata e adesso ci diranno che vivremo tutti in un mondo migliore perché risparmieremo tutti un sacco di soldi. In realtà non è vero niente, perché se sparisce l'ICI si aprono voragini nei bilanci dei comuni. Il governo ha già detto che rimborserà i comuni dei mancati introiti dell'ICI e che cosa farà? Aumenterà altre tasse per ripianare. Cioè, non pagheremo più una tassa che si chiama ICI, ma ne pagheremo un'altra che si chiamerà "rimborso dell'ICI". Al comune di Palermo, in questi giorni, hanno circa raddoppiato l'IRPEF e il comune di Palermo è una delle avanguardie di questo nuovo modo di fare il federalismo fiscale fregando la gente.
Detassazione degli straordinari. Altra grandissima conquista. E tutti ci credono. E tutti ne discutono. In realtà, come spiegava ieri Scalfari su Repubblica, ci sarà semplicemente uno spostamento nei salari dalla parte fissa alla parte variabile in modo da poter pagare e incassare, diciamo, nella quota che sarà detassata, e questo aumenterà l'elusione e l'evasione fiscale. In ogni caso la detassazione degli straordinari non riguarda gli statali, cioè per esempio le forze dell'ordine, che sono pagate pochissimo e che fanno un lavoro molto spesso difficile non avranno alcun beneficio. Inoltre non saranno coinvolte praticamente le donne, perché le donne di rado fanno straordinari. Non emergerà il nero, perché le aziende quelle in nero continueranno a pagare in nero senza i contributi e senza pagare le tasse. Ci sarà un effetto che bloccherà ancora di più le assunzioni e farà ancora di più ricorso al precariato e agli straordinari di quelli che sono già assunti...

Altro annuncio che non ha nessuna attinenza con i fatti. Il grande risparmio che avremo con la rinegoziazione dei mutui. In realtà, come le associazioni dei consumatori hanno già dimostrato, tornare al tasso fisso del 2006 e rinegoziare i mutui non significherà che risparmieremo, significherà che pagheremo rate per più tempo e quindi alla fine il nostro mutuo ci costerà molto di più di quello che ci costa adesso. Le banche non fanno niente in perdita, quindi ci guadagneranno. Solo che pagheremo a lunga scadenza e non ce ne renderemo conto. Forse qualcuno si farà anche l'idea di avere risparmiato mentre gli viene prelevato qualche centinaio, migliaio di euro di più dalle tasche.
L'annuncio del nucleare: "Avremo quattro nuove centrali nucleari". Nessuno fa caso al fatto che le avremo forse fra quindici anni, che quando nasceranno saranno già vecchie o morte perché useranno tecnologie di terza generazione mentre in tutto il mondo si sta già parlando della quarta generazione. Non si sa dove mettere le scorie. Perché noi le riforme le facciamo a costo zero, senza prevedere le conseguenze di quello che facciamo. Tutto ciò ammesso e non concesso che poi queste centrali nascano perché pare che costino circa 30 miliardi, che ci daranno un'energia costosissima e assolutamente fuori mercato e alla fine, se anche nascessero, coprirebbero il 7% del nostro fabbisogno energetico. Insomma, un altro annuncio buttato all'aria che tutti prendono sul serio, ma che probabilmente non si realizzerà.
È tutto finto. Tutto finto, come il ponte. Il Ponte sullo Stretto, che ancora una volta viene rilanciato per buttare un po' di soldi in progettazione e in opere preparatorie e che poi non si sa nemmeno se starà in piedi, ma possiamo tranquillamente dirci - così inter nos - che il ponte non ci sarà mai. Servirà semplicemente a buttare dell'altro denaro pubblico. Del resto, a vincere l'appalto è stata l'Impregilo, quella che si è comportata così bene nel non smaltimento dei rifiuti a Napoli.
Infine, apoteosi della ricomparsa dei fatti, come ci racconta il professor Alberoni: il reato di clandestinità per gli immigrati, che dovrà garantire grande sicurezza ai cittadini italiani, perché finalmente adotterà la linea dura nei confronti di chi circola per l'Italia senza i documenti e il permesso di soggiorno. Non lo dico io, perché io sono un noto mascalzone, uno di quei giapponesi che sono destinati a sparire, secondo il prof. Alberoni. Ma lo dicono il professor Valerio Onida, che è l'ex presidente della Corte Costituzionale e, il giudice, procuratore aggiunto di Torino, Bruno Tinti, in un articolo che abbiamo pubblicato nel blog www.voglioscendere.it e in un altro articolo che oggi sta su La Stampa di Torino. Bene, che cosa dicono? Che il reato di clandestinità di cui tutti parlano, discutono, si accapigliano, si dividono, pro/contro, ecc. in realtà non esiste. È stato annunciato, ma nell’articolato di legge che è stato presentato da Maroni e dal governo Berlusconi non c'è il reato di clandestinità, cioè di permanenza clandestina in Italia. Ce n'è un altro che sembra la stessa la cosa ma è completamente diverso. Dice l'articolo incriminato: "Ingresso illegale nel territorio dello Stato. Lo straniero che fa ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni della legge Bossi-Fini è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e deve essere obbligatoriamente arrestato e processato per direttissima. Intanto non sarà mai processato per direttissima perché per le direttissime nei tribunali sono intasate per reati ben più gravi, tipo spaccio di droga, tipo omicidi ecc. e poi soprattutto non prevede la presenza sul territorio. Prevede l'ingresso da uno Stato straniero all'Italia. Che cosa vuol dire l'ingresso? Che, o lo prendi mentre entra, l'immigrato, e allora non si vede per quale motivi lo devi arrestare e processare andando a intasare la macchina della giustizia: lo respingi direttamente alla frontiera. Basta la polizia. Basta la guardia di frontiera. Non c'è bisogno che intervengano la magistratura, gli avvocati, gli interpreti, i cancellieri, ecc. Se lo prendi mentre entra, lo rimandi indietro. Viceversa, se lo trovi già mezz'ora dopo che è entrato, come fai a sapere che è entrato dopo l'entrata in vigore di questa legge, e che quindi ha commesso il reato? Perché naturalmente il reato è nuovo e si applica solo da oggi in poi, non può essere applicato retroattivamente. Lui naturalmente non avendo un bollino di ingresso sulla pelle, per fortuna, potrà raccontare di essere entrato in Italia, un mese fa, 6 mesi fa, 2 anni fa, quando non era ancora reato entrare clandestinamente in Italia. E quindi che cosa succederà? Che non sarà né processato, né arrestato, né condannato. Semplicemente gli verrà detto di andarsene. Lui non se ne andrà perché o il Paese d’origine non lo vuole, visto che non si riesce a dimostrare che lui arrivi proprio da lì, oppure non se ne andrà perché gli dicono di andarsene e lui non ha i mezzi per pagarsi il biglietto aereo per tornarsene al suo Paese, dovrebbe pagarglielo una questura, o una prefettura ma come è noto non hanno i mezzo per finanziare tutti quelli che se ne devono andare. E quindi resterà qua a ingrossare le schiere dei clandestini che molto spesso sono semplici irregolari perché poi lavorano cono l'unica differenza che appunto sono al nero.
Ecco questo è un esempio tipico di come si fa a prendere in giro la gente raccontandole una cosa che non esiste. È l'effetto placebo per i gonzi, per coloro che non leggono le leggi ma ne parlano. E questo riguarda molti politici di destra e di sinistra che hanno esultato o che hanno maledetto questa legge senza mai andare a vedere che cosa succede. Lo hanno fatto l'ex presidente della Corte Costituzionale e il giudice Tinti e ne hanno ricavato l'impressione che non cambierà nulla se non aggravare un po’ la macchina della giustizia che è già al collasso. Berlusconi da questo punto di vista è un maestro. Lui ogni giorno prende un lepre e la lancia essendo sicuro che tutti andranno all’inseguimento della lepre.
È un incantesimo. E intanto lui ci guadagna anche se non risolve nessuno dei problemi. Ma continua a fare spot, continua a fare annunci e la gente, compreso il povero Alberoni, scambia lo spot per la realtà.
Ecco, se molti mi chiedono che cosa dobbiamo fare, che cosa possiamo fare: informarci. Quando uno si informa è molto più difficile prenderlo per il culo."



domenica 25 maggio 2008

Emergenza xenofoia

Zanotelli: “La criminalizzazione dei poveri”
Don Mazzi: “Con la politica della paura non c’è più spazio per la solidarietà”


Pubblico il commento di Don Luigi Ciotti alla foto pubblicata sullo sgombero dei rom di Ponticelli, da l'Unità del 16 maggio 2008


"Io chiedo scusa"

Cara signora,
ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae. Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa. Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati, e l'altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie. Accanto a Lei la figura di un uomo, di spalle: suo marito, presumo. Nel suo volto, signora, si legge un'espressione di imbarazzo misto a rassegnazione. Vi stanno portando via da Ponticelli, zona orientale di Napoli, dove il campo in cui abitavate è stato incendiato. Sul retro di quel furgoncino male in arnese – reti da materasso a fare da sponda – una scritta: "ferrovecchi". Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie. Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza, ma anche quanta umanità e dignità in quei volti.

Nel nostro paese si parla tanto, da anni ormai, di sicurezza. E' un'esigenza sacrosanta, la sicurezza. Il bisogno di sicurezza ce lo abbiamo tutti, è trasversale, appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo. E' il bisogno di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità e collaborazione nel nostro prossimo. Per tutelare questo bisogno ogni comunità, anche la vostra, ha deciso di dotarsi di una serie di regole. Ha stabilito dei patti di convivenza, deciso quello che era lecito fare e quello che non era lecito, perché danneggiava questo bene comune nel quale ognuno poteva riconoscersi. Chi trasgrediva la regola veniva punito, a volte con la perdita della libertà. Ma anche quella punizione, la peggiore per un uomo – essendo la libertà il bene più prezioso, e voi da popolo nomade lo sapete bene – doveva servire per reintegrare nella comunità, per riaccogliere. Il segno della civiltà è anche quello di una giustizia che punisce il trasgressore non per vendicarsi ma per accompagnarlo, attraverso la pena, a un cambiamento, a una crescita, a una presa di coscienza.

Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando. Sta franando di fronte alle paure della gente. Paure provocate dall'insicurezza economica – che riguarda un numero sempre maggiore di persone – e dalla presenza nelle nostre città di volti e storie che l'insicurezza economica la vivono già tragicamente come povertà e sradicamento, e che hanno dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore.

Cercherò, cara signora, di spiegarmi con un'immagine. E' come se ci sentissimo tutti su una nave in balia delle onde, e sapendo che il numero delle scialuppe è limitato, il rischio di affondare ci fa percepire il nostro prossimo come un concorrente, uno che potrebbe salvarsi al nostro posto. La reazione è allora di scacciare dalla nave quelli considerati "di troppo", e pazienza se sono quasi sempre i più vulnerabili. La logica del capro espiatorio – alimentata anche da un uso irresponsabile di parole e immagini, da un'informazione a volte pronta a fomentare odi e paure – funziona così. Ci si accanisce su chi sta sotto di noi, su chi è più indifeso, senza capire che questa è una logica suicida che potrebbe trasformare noi stessi un giorno in vittime.

Vivo con grande preoccupazione questo stato di cose. La storia ci ha insegnato che dalla legittima persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità, alla criminalizzazione del popolo, della condizione esistenziale, dell'idea: ebrei, omosessuali, nomadi, dissidenti politici l'hanno provato sulla loro pelle.

Lo ripeto, non si tratta di "giustificare" il crimine, ma di avere il coraggio di riconoscere che chi vive ai margini, senza opportunità, è più incline a commettere reati rispetto a chi invece è integrato. E di non dimenticare quelle forme molto diffuse d'illegalità che non suscitano uguale allarme sociale perché "depenalizzate" nelle coscienze di chi le pratica, frutto di un individualismo insofferente ormai a regole e limiti di sorta. Infine di fare attenzione a tutti gli interessi in gioco: la lotta al crimine, quando scivola nella demagogia e nella semplificazione, in certi territori può trovare sostenitori perfino in esponenti della criminalità organizzata, che distolgono così l'attenzione delle forze dell'ordine e continuano più indisturbati nei loro affari.

Vorrei però anche darLe un segno di speranza. Mi creda, sono tante le persone che ogni giorno, nel "sociale", nella politica, nella amministrazione delle città, si sporcano le mani. Tanti i gruppi e le associazioni che con fatica e determinazione cercano di dimostrare che un'altra sicurezza è possibile. Che dove si costruisce accoglienza, dove le persone si sentono riconosciute, per ciò stesso vogliono assumersi doveri e responsabilità, vogliono partecipare da cittadini alla vita comune.

La legalità, che è necessaria, deve fondarsi sulla prossimità e sulla giustizia sociale. Chiedere agli altri di rispettare una legge senza averli messi prima in condizione di diventare cittadini, è prendere in giro gli altri e noi stessi. E il ventilato proposito di istituire un "reato d'immigrazione clandestina" nasce proprio da questo mix di cinismo e ipocrisia: invece di limitare la clandestinità la aumenterà, aumentando di conseguenza sofferenza, tendenza a delinquere, paure.

Un'ultima cosa vorrei dirLe, cara signora. Mi auguro che questa foto che La ritrae insieme ai Suoi cari possa scuotere almeno un po' le nostre coscienze. Servire a guardarci dentro e chiederci se davvero questa è la direzione in cui vogliamo andare. Stimolare quei sentimenti di attenzione, sollecitudine, immedesimazione, che molti italiani, mi creda – anche per essere stati figli e nipoti di migranti – continuano a nutrire.

La abbraccio, dovunque Lei sia in questo momento, con Suo marito e le Sue bambine. E mi permetto di dirLe che lo faccio anche a nome dei tanti che credono e s'impegnano per un mondo più giusto e più umano.

Luigi Ciotti
presidente del Gruppo Abele e di "Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie"

(23 maggio 2008)
Thx to Micromega online

venerdì 23 maggio 2008

Carlo Rubbia - Intervista sull'energia nucleare

GINEVRA - Petrolio alle stelle? Voglia di nucleare? Ritorno al carbone? Fonti rinnovabili? Andiamo a lezione di Energia da un docente d'eccezione come Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica: a Ginevra, dove ha sede il Cern, l'Organizzazione europea per la ricerca nucleare. Qui, a cavallo della frontiera franco-svizzera, nel più grande laboratorio del mondo, il professore s'è ritirato a studiare e lavorare, dopo l'indegna estromissione dalla presidenza dell'Enea, il nostro ente nazionale per l'energia avviluppato dalle pastoie della burocrazia e della politica romana.

Prima di rispondere alle domande dell'intervistatore, da buon maestro Rubbia inizia la sua lezione con un prologo introduttivo. E mette subito le carte in tavola, con tanto di dati, grafici e tabelle.
Il primo documento che il professore squaderna preoccupato sul tavolo è un rapporto dell'Energy Watch Group, istituito da un gruppo di parlamentari tedeschi con la partecipazione di scienziati ed economisti, come osservatori indipendenti. Contiene un confronto impietoso con le previsioni elaborate finora dagli esperti della IEA, l'Agenzia internazionale per l'energia. Un "outlook", come si dice in gergo, sull'andamento del prezzo del petrolio e sulla produzione di energia a livello mondiale. Balzano agli occhi i clamorosi scostamenti tra ciò che era stato previsto e la realtà.

Dalla fine degli anni Novanta a oggi, la forbice tra l'outlook della IEA e l'effettiva dinamica del prezzo del petrolio è andata sempre più allargandosi, nonostante tutte le correzioni apportate dall'Agenzia nel corso del tempo. In pratica, dal 2000 in poi, l'oro nero s'è impennato fino a sfondare la quota di cento dollari al barile, mentre sulla carta le previsioni al 2030 continuavano imperterrite a salire progressivamente di circa dieci dollari di anno in anno. "Il messaggio dell'Agenzia - si legge a pagina 71 del rapporto tedesco - lancia un falso segnale agli uomini politici, all'industria e ai consumatori, senza dimenticare i mass media".

Analogo discorso per la produzione mondiale di petrolio. Mentre la IEA prevede che questa possa continuare a crescere da qui al 2025, lo scenario dell'Energy Watch Group annuncia invece un calo in tutte le aree del pianeta: in totale, 40 milioni di barili contro i 120 pronosticati dall'Agenzia. E anche qui, "i risultati per lo scenario peggiore - scrivono i tedeschi - sono molto vicini ai risultati dell'EWG: al momento, guardando allo sviluppo attuale, sembra che questi siano i più realistici". C'è stata, insomma, una ingannevole sottovalutazione dell'andamento del prezzo e c'è una sopravvalutazione altrettanto insidiosa della capacità produttiva.

Passiamo all'uranio, il combustibile per l'energia nucleare. In un altro studio specifico elaborato dall'Energy Watch Group, si documenta che fino all'epoca della "guerra fredda" la domanda e la produzione sono salite in parallelo, per effetto delle riserve accumulate a scopi militari. Dal '90 in poi, invece, la domanda ha continuato a crescere mentre ora la produzione tende a calare per mancanza di materia prima. Anche in questo caso, come dimostra un grafico riassuntivo, le previsioni della IEA sulla produzione di energia nucleare si sono fortemente discostate dalla realtà.

Che cosa significa tutto questo, professor Rubbia? Qual è, dunque, la sua visione sul futuro dell'energia?

"Significa che non solo il petrolio e gli altri combustibili fossili sono in via di esaurimento, ma anche l'uranio è destinato a scarseggiare entro 35-40 anni, come del resto anche l'oro, il platino o il rame. Non possiamo continuare perciò a elaborare piani energetici sulla base di previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori strada. Dobbiamo sviluppare la più importante fonte energetica che la natura mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo zero: e cioè il sole che ogni giorno illumina e riscalda la terra".

Eppure, dagli Stati Uniti all'Europa e ancora più nei Paesi emergenti, c'è una gran voglia di nucleare. Anzi, una corsa al nucleare. Secondo lei, sbagliano tutti?

"Sa quando è stato costruito l'ultimo reattore in America? Nel 1979, trent'anni fa! E sa quanto conta il nucleare nella produzione energetica francese? Circa il 20 per cento. Ma i costi altissimi dei loro 59 reattori sono stati sostenuti di fatto dal governo, dallo Stato, per mantenere l'arsenale atomico. Ricordiamoci che per costruire una centrale nucleare occorrono 8-10 anni di lavoro che la tecnologia proposta si basa su un combustibile, l'uranio appunto, di durata limitata. Poi resta, in tutto il mondo, il problema delle scorie".

Ma non si parla ormai di "nucleare sicuro"? Quale è la sua opinione in proposito?

"Non esiste un nucleare sicuro. O a bassa produzione di scorie. Esiste un calcolo delle probabilità, per cui ogni cento anni un incidente nucleare è possibile: e questo evidentemente aumenta con il numero delle centrali. Si può parlare, semmai, di un nucleare innovativo".

In che cosa consiste?

"Nella possibilità di usare il torio, un elemento largamente disponibile in natura, per alimentare un amplificatore nucleare. Si tratta di un acceleratore, un reattore non critico, che non provoca cioè reazioni a catena. Non produce plutonio. E dal torio, le assicuro, non si tira fuori una bomba. In questo modo, si taglia definitivamente il cordone fra il nucleare militare e quello civile".

Lei sarebbe in grado di progettare un impianto di questo tipo?

"E' già stato fatto e la tecnologia sperimentata con successo su piccola scala. Un prototipo da 500 milioni di euro servirebbe per bruciare le scorie nucleari ad alta attività del nostro Paese, producendo allo stesso tempo una discreta quantità di energia".

Ora c'è anche il cosiddetto "carbone pulito". La Gran Bretagna di Gordon Brown ha riaperto le sue miniere e negli Usa anche Hillary Clinton s'è detta favorevole...

"Questo mi ricorda la storia della botte piena e della moglie ubriaca. Il carbone è la fonte energetica più inquinante, più pericolosa per la salute dell'umanità. Ma non si risolve il problema nascondendo l'anidride carbonica sotto terra. In realtà nessuno dice quanto tempo debba restare, eppure la CO2 dura in media fino a 30 mila anni, contro i 22 mila del plutonio. No, il ritorno al carbone sarebbe drammatico, disastroso".

E allora, professor Rubbia, escluso il petrolio, escluso l'uranio ed escluso il carbone, quale può essere a suo avviso l'alternativa?

"Guardi questa foto: è un impianto per la produzione di energia solare, costruito nel deserto del Nevada su progetto spagnolo. Costa 200 milioni di dollari, produce 64 megawatt e per realizzarlo occorrono solo 18 mesi. Con 20 impianti di questo genere, si produce un terzo dell'elettricità di una centrale nucleare da un gigawatt. E i costi, oggi ancora elevati, si potranno ridurre considerevolmente quando verranno costruiti in gran quantità".

Ma noi, in Italia e in Europa, non abbiamo i deserti...

"E che vuol dire? Noi possiamo sviluppare la tecnologia e costruire impianti di questo genere nelle nostre regioni meridionali o magari in Africa, per trasportare poi l'energia nel nostro Paese. Anche gli antichi romani dicevano che l'uva arrivava da Cartagine. Basti pensare che un ipotetico quadrato di specchi, lungo 200 chilometri per ogni lato, potrebbe produrre tutta l'energia necessaria all'intero pianeta. E un'area di queste dimensioni equivale appena allo 0,1 per cento delle zone desertiche del cosiddetto sun-belt. Per rifornire di elettricità un terzo dell'Italia, un'area equivalente a 15 centrali nucleari da un gigawatt, basterebbe un anello solare grande come il raccordo di Roma".

Il sole, però, non c'è sempre e invece l'energia occorre di giorno e di notte, d'estate e d'inverno.

"D'accordo. E infatti, i nuovi impianti solari termodinamici a concentrazione catturano l'energia e la trattengono in speciali contenitori fino a quando serve. Poi, attraverso uno scambiatore di calore, si produce il vapore che muove le turbine. Né più né meno come una diga che, negli impianti idroelettrici, ferma l'acqua e al momento opportuno la rilascia per alimentare la corrente".

Se è così semplice, perché allora non si fa?

"Il sole non è soggetto ai monopoli. E non paga la bolletta. Mi creda questa è una grande opportunità per il nostro Paese: se non lo faremo noi, molto presto lo faranno gli americani, com'è accaduto del resto per il computer vent'anni fa".

(30 marzo 2008)

giovedì 22 maggio 2008

23/05/1992


Domani riocrrono i 16 anni dalla scomparsa, durante l'attentato di Capaci, di Giovanni Falcone. Per ricordarlo pubblico un'articolo molto intenso di Roberto Scarpinato (Procuratore Aggiunto a Palermo) scritto proprio per questa occasione sei anni or sono, ma che vale la pena di rileggere.


In memoria delle vittime di Capaci - R.Scarpinato


In questi giorni a tratti mi veniva da pensare che il modo migliore di commemorare le vittime di Capaci sarebbe stato quello di organizzare una manifestazione in cui il protagonista assoluto fosse il silenzio. Immaginavo delle persone che si riuniscono in un teatro dove la scena e vuota e dove il pubblico rimane in silenzio non per i pochi minuti previsti dal cerimoniale, ma per ore, per quel numero di ore che in genere viene riempito dalle parole. Vi sono dei casi in cui il silenzio diventa una forma di etica della comunicazione, il modo per dire, con l’astinenza dalle parole, quello che le parole non riescono più a dire o non possono.

Un modo per conservare dei valori, valori importanti di giustizia, verità e buon senso. In un intervista ad un giornale in questi giorni Rita Borsellino ha detto “Chi c’è oggi alle manifestazioni, alle commemorazioni? Sono rimasti quelli delle auto blu, il vestito blu, presenze obbligate, gente che non vede l’ora che sia tutto finito, anche quest’anno abbiamo ricordato Falcone e Borsellino; fatto”. E proprio ieri mi diceva: “Queste commemorazioni sono diventate un po’ come il natale e anneghi nella stessa tristezza che viene a natale.” Questa frase mi ha fatto riflettere: perché a volte a natale diventiamo tristi? Per 364 giorni l’anno viviamo la vita in una corsa dominata dall’egoismo, dalla sopraffazione, dalla competitività che ci spreme come limoni e poi a natale si recita tutti insieme la commedia falsa del buonismo, degli abbracci dei baci sotto l’icona dimenticata di un gesù bambino, icona comprata e venduta da vecchi e nuovi mercanti del tempio.

E così, in queste commemorazioni delle stragi per 364 giorni l’anno ci mettiamo sotto i piedi la cultura della legalità e pi il 23 maggio e il 19 luglio si pretende di celebrare la cultura delle legalità; si dicono parole che sono farse perché incoerenti con la realtà e con le pratiche di vita. Sì, ha ragione Rita Borsellino: molti, troppi uomini dalle auto blu adempiono un rito stanco e la gente sempre più gente avverte istintivamente il carattere retorico di queste manifestazioni. Una gincana di parole al termine della quale veniamo restituiti alla stessa indecenza. E allora mi veniva da pensare che forse la via era quella di una manifestazione in cui fosse protagonista il silenzio, un silenzio che dura ore e che vuol dire più di mille parole.

Un silenzio che dice ad esempio che le cose più importanti sono quelle che non vengono dette e non si possono dire, le cose oscene che restano fuori dalla scena. La parola “osceno” significa fuori dalla scena. Da sempre il potere, il potere reale, è osceno, vive e si esercita fuori dalla scena del visibile sulla scena vi è solo la rappresentazione delle maschere del potere, dei suoi riti; è nelle segrete stanze, nella trama sotterranea dei rapporti personali che si esercita il potere.

Tanto più la democrazia si svuota tanto più lo spettacolo rappresentato sulla scena è falso, diventa la versione ufficiale e cloroformizzatala della realtà autorizzata e filtrata dal potere; e che il potere reale agisca fuori dalla scena Giovanni Falcone fu tra i primi a comprenderlo e a viverlo sulla propria pelle. Quando – come è stato ricordato – Tommaso Buscetta gli disse che di certe cose non si poteva parlare perché nel paese non vi erano le condizioni politiche e culturali, devono restare oscene, fuori dalla scena. E dopo l’attentato all’Addaura Giovanni Falcone comprese e misurò che proprio il potere dell’osceno, ciò del potere che non si manifesta e che agisce oggi con la maschera dei macellai di Cosa Nostra e ieri dietro la maschera degli stragisti di destra e domani chissà. È proprio sul terreno dell’osceno che si giocava la partita della sua vita e della sua morte all’interno di quello che lui definiva “il gioco grande”, il gioco osceno del potere che inghiotte chiunque voglia metterlo sulla scena.

E forse proprio per questo motivo che sulla scena dei processi –ieri come oggi – finiscono solo gli esecutori materiali delle stragi e degli omicidi eccellenti. Dalla strage di Portella della Ginestra, alla strage di Piazza Fontana, a quella di Brescia, di Bologna, fino ad arrivare ai nostri giorni, i mandanti in doppio petto restano sempre fuori scena. La storia della giurisdizione è la storia dell’eterna impotenza e dell’eterna sconfitta della giustizia democratica, della giustizia uguale per tutti, davanti al potere osceno. E se qualcuno tenta a volte di portare sulla scena il potere accade che improvvisamente su quella scena principale cala l’oscurità, il silenzio e mille riflettori si accendono improvvisamente su chi osa indagare sul potere, mettendo lui in scena come artefice del male.

Questo improvviso cambiamento di scena Falcone fu costretto a viverlo tante volte. Quanti di quelli che oggi lo ricordano lo misero in scena, come ammalato di protagonismo, artefice di oscure trame, fino al punto di accusarlo di aver utilizzato Contorno in Sicilia come killer di stato; oppure di avere utilizzato un falso attentato all’Addaura per fare carriera e risalire la china della notorietà. E quanti dopo di lui hanno vissuto la stessa sorte, ostracizzati, spezzati, lasciati soli per viltà, per opportunismo,per semplice smarrimento della memoria, ridotti al silenzio.

E per tornare all’immagine di donne e uomini che restano in silenzio per ore, io credo che quel silenzio dovrebbe ospitare e dire i tanti silenzi che in questi anni sono cresciuti. Il silenzio di chi in questi giorni è costretto ad assistere impotente ad uno spettacolo in cui la mafia ha messo in scena il seguente: “Cos’è la mafia? Cos’è la mafia nel 2002? Una storia di bassa macelleria criminale, fatta di contadini semi-illetterati che puzzano ancora di stallatico. Noi, colletti bianchi, noi brave persone con questa storia non c’entriamo nulla, anzi siamo state vittime tre volte: vittime della violenza mafiosa, vittime poi delle calunnie dei collaboratori, vittime infine dei magistrati che, non avendo la professionalità di Falcone, nel migliore dei casi si sono fatti abbindolare.”

Questa è la storia pacificata che ci andiamo a raccontare. Una storia oscena, nel senso che lascia fuori scena il lato ombra, la parte oscura di una società che non ha la maturità democratica e culturale per fare i conti al di là delle responsabilità penali dei singoli, con il proprio difficile passato e che non esita a strumentalizzare i morti contro i vivi e a rifugiarsi ogni alibi o di calare una saracinesca di silenzio su questo passato. Il ritratto segreto di Dorian Grey resta dunque in soffitta nel fuori scena, anzi il ritratto deve essere lacerato perché è falso perché dipinto da magistrati falsificatori o pittori della domenica.

Qualcuno ha osservato che la storia non è mai semplice narrazione di eventi ma rappresentazione del passato in funzione del potere del presente. Forse per controllare il presente oggi è necessario raccontare così la storia della mafia. E dunque dopo tanti morti, dopo tanto sangue, dopo tanto dolore, raccontiamocela così questa storia, come una storia infantile di orchi cattivi da una parte di bambini innocenti come nella casa di Hansel e Gretel dall’altra: alla fine l’orco cattivo è stato sconfitto e i bambini possono mangiarsi la casa di pan di zucchero come meritato premio. Anzi no, qualcuno deve essere messo in castigo, quelli che avevano detto che l’orco no stava soltanto fuori dalla casa ma anche dentro,mascherato da bravo bambino.

E per tornare al silenzio, penso al silenzio di tutti quei giovani magistrati che dopo le stragi sono venuti qui da tutte le parti d’Italia e che hanno lavorato in silenzio in questi anni dando testimonianza di impegno e di testimonianza e che in quest’ultimo periodo hanno deciso di ritornare nei luoghi d’origine non perché la loro missione fosse compiuta ma perché ogni giorno di più sembrava svuotarsi di senso, di impegno e di sacrificio quotidiano. E che dunque con dolore, con sofferenza, hanno scelto di riprendersi la propria vita e tornare dai propri cari, dai propri affetti. Quanti magistrati ho visto andare via così, con le lacrime agli occhi! Il silenzio di quei magistrati della procura che sono rimasti e che continuano a lavorare nel chiuso delle loro stanze, nutrendosi dei ricordi di un tempo in cui sembrava che l’intera società civile dovesse svoltare definitivamente quella pagina. I corridoi della Procura la sera sono vuoti, non perché i magistrati se ne stiano a casa, ma perché ciascuno di noi si sente solo, chiuso nella stanza del proprio ufficio e con una mano costretta a lottare per avere un risultato e per non essere consegnato ai macellai di Cosa Nostra. E ancora, il silenzio di coloro che dopo aver nutrito la speranza di un cambiamento vivono la cocente delusione dell’eterno ritorno e la razione di una realtà che sembra immutabile che per questo si sono rinchiuse in una rassegnazione fatalistica che alimenta e dà slancio alla vecchia cultura dell’avversario omertà,un’omertà che si alimenta di sfiducia. Cresce ogni giorno di più l’area del silenzio, del silenzio dei collaboratori, dei cittadini che come sempre non hanno visto e non hanno sentito niente e che se pure si sono lasciati sfuggire qualcosa se lo rimangiano nel dibattimento; un silenzio che dice con la concretezza dei fatti la rinnovata forza del sistema di potere mafioso.

In questi anni ho fatto collezione di lettere piene di insulti indicibili; e ci ho fatto pure l’abitudine. Ma la lettera che più mi ha fatto male è la lettera di una persona che con toni accorati mi raccontava come la sua vita fosse stata distrutta dopo aver deciso di rendere testimonianza, come fosse stata lasciata sola, abbandonata, ostracizzata nel lavoro; e questa persona mi implorava di non alimentare più nelle persone che ascoltavo l’illusione di uno stato forte e presidio di cittadini senza potere; mi invitava a farmi carico del dolore che avevo causato e che potevo ancora causare alimentando quella che questa persona definiva solo un’illusione.

E a questo proposito vi invito a pensare al silenzio colpevole e vile che circonda l’odissea personale di cittadini, che per aver osato testimoniato contro potenti sono sottoposti per anni ad una denigrazione violenta che potrebbe spezzare chiunque, esposti al linciaggio, violentati nelle loro vite private, ignorate per una cultura politica che ormai ha occhi solo (...)

E ancora il silenzio di tutti quelli che hanno perduto figli, padri, fratelli, nelle stragi che hanno insanguinatoil nostro paese; i familiari delle vittime delle stragi si sono perfino stancati di chiedere giustizia, così come accadeva sino a qualche anno fa. E del resto, come fai a mantenere la speranza quando lo stato decide di non rinnovare in questa legislatura la Commissione Stragi? Come confessare che non solo sono inadempienti sul piano della giustizia ma che non possiamo neppure permetterci di fare auto coscienza in Parlamento.

Evidentemente le cose oscene, che non si possono dire e che stanno dietro lo stragismo sono talmente enormi e attuali che l’unica via è quella della rimozione, quella di nascondere la polvere sotto il tappeto e di nascondere gli scheletri nell’armadio. Come l’armadio nel 1996 fu ritrovato nei corridoi della Procura Militare di Roma, dove erano appuntati decine di procedimenti che riguardavano le responsabilità dei nazi-fascisti autori di stragi efferati, di centinaia e centinaia di civili. La ragion di stato imponeva di insabbiare quei processi.

E la via italiana – e qui concludo – assomiglia molto a quella sudamericana: in Cile non è possibile processare Pinochet, in Argentina non è possibile condannare il generale Videla e gli altri militari che trucidarono una generazione di giovani, perché Pinochet, Videla e gli altri sono la maschera visibile sulla scena, il braccio armato di borghesie, quella cilena e argentina, che non hanno esitato a fare stragi e omicidi, non hanno esitato a ricorrere a una violenza più brutale pur di difendere il lo sistema di privilegi. Processare quegli uomini significherebbe dunque processare una parte della società cilena, una parte della società argentina determinando un destabilizzazione politica.

Tutto questo è fuori scena che tutti sanno ma che nella versione ufficiale della realtà non può e non deve essere detta; e questo fuori scena è messo in scena dal silenzio delle madri, da quelle donne che hanno visto sterminare i loro figli, i loro nipoti e che da anni ormai ogni giovedì, sfilano tutte in silenzio nella Plaza de Mayo di Buenos Aires perché si ricordi che le ferite sono aperte. Quelle deboli donne ai tempi della dittatura militare venivano chiamate le Los locas, le pazze di Piazza de Mayo. Chi non si accoda alla versione ufficiale del mondo e della storia ammannita dal potere è condannato come pazzo e condannato al silenzio. Il silenzio dunque sembra essere la cifra comune di tutti coloro che hanno subito la violenza del potere, di un potere che non si fa processare, che non si fa condannare o comunque non paga mai le sue colpe.

Ma in Cile, come in Argentina, come in Italia quando un popolo non ha la maturità democratica e culturale per fare i conti con il proprio passato per guardarsi allo specchio ed è costretta a rimuovere, allora è condannato a non crescere, a restare immobilizzato, a vivere l’eterno ritorno di fascismo e delle mafie. Nell’acqua stagna si forma il veleno, che corrompe la vita collettiva e quella individuale.

Ho letto recentemente che in Africa esiste una tribù il cui linguaggio, anno dopo anno si va impoverendo.in quella tribù esiste una strana tradizione:ogni volta che un membro della tribù muore viene interdetto per sempre l’uso di una parola, la parola che il morto usava dire più spesso. Le parole vengono seppellite con le persone. Strana tradizione, vero? Come si fa ad impoverire una lingua?

Noi civilizzati siamo molto più raffinati: non interdiciamo l’uso delle parole, non le sotterriamo con i morti; noi preferiamo farle morire a poco a poco, privandole di senso, di significato, di spessore; facciamo morire le parole non di morte violenta ma per eutanasia. Eutanasia delle parole e dei valori che esprimono. No, decisamente noi non siamo selvaggi: non impoveriamo il nostro linguaggio, ci limitiamo a impoverire la nostra vita e il senso del nostro stare insieme.

Prove di regime - La querela

Da Articolo 21.info

La notizia è breve. Il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, querela l'onorevole Roberto Zaccaria, ex presidente della Rai. Perchè? "Nel suo intervento di stamattina alla Camera, l'onorevole Roberto Zaccaria - spiega in una nota Confalonieri - ha usato nei miei confronti parole diffamatorie accusandomi in pratica del reato di aggiotaggio. Naturalmente è un falso e per questo motivo oggi stesso partirà una mia querela con richiesta di danni".

Infatti questa mattina a Montecitorio Zaccaria ha dichiarato che ci sarà dura opposizione se resta l'emendamento del Governo sulle frequenze tv. "Il governo - ha detto Zaccaria - ha presentato un provvedimento a notte fonda, sul quale nella passata legislatura si è discusso per oltre un anno in commissione e che ora si vuole introdurre con un decreto. Il vero regista della norma è Fedele Confalonieri che ieri da Cannes ha parlato dell'emendamento quando era ancora sconosciuto a molti dei deputati".

Non sappiamo se è aggiotaggio. Certo è che Confalonieri sapeva di questa decisione del governo ancor prima che il Governo l'avesse comunicata al Parlamento. Confalonieri non è Parlamentare ma è il Presidente di Mediaset che, guarda caso, è azienda che forse inconsapevolmente andrà a beneficiare di questo emendamento.

Insomma, non sarà aggiotaggio ma certamente qualcuno si è sentito in dovere di avvisare Confalonieri che ci sarebbe stata una norma che avrebbe impedito a Retequattro di finire sul Satellite, all'Italia di non rispettare le indicazioni della Ue e, ancora una volta, non fare giustizia sulla vicenda che ormai da troppo tempo impedisce ad Europa 7 di trasmettere.

mercoledì 21 maggio 2008

Andiamo sempre meglio


Ora d'aria
M.Travaglio

Non per disturbare il dialogo tra maggioranza e opposizione, meritato premio a questo meraviglioso governo e al suo premier, noto statista. Ma forse, parlando con pardòn e chiedendo scusa alle signore, specie a quelle di nome Anna, va segnalato che lo splendido governo in questione, prim’ancora di cominciare, è già riuscito ad aprire una mezza dozzina di crisi diplomatiche. Ricapitolando, sulla scorta dell’ottimo articolo di Umberto de Giovannangeli.

Il Libano ci guarda in cagnesco perchè l’ottimo Antonio Martino propone di ritirare la missione Unifil e lo Statista di Milanello annuncia nuove regole d’ingaggio, poi smentito dal neoministro La Rissa. Il quale però apre subito un nuovo fronte in Afghanistan, annunciando una bella “missione di guerra”. Poi c’è la Libia, che non dimentica la decina di morti a Bengasi a causa della brillante t-shirt di Calderoli. Il quale, puntualmente promosso ministro, si scusa. Ma poi provvede Bossi a riaprire il fuoco (“Gli immigrati? Sono i libici che li mandano. La lingua di Gheddafi è sempre stata lunga”).

La Romania è allarmatissima per i raid e le ronde nei campi rom, nonché per gli annunci di espulsioni di massa. Frattini, esauriti gli estintori, corre ai ripari. Ma intanto gli scappa la Spagna, che accusa l’Italia di xenofobia. Maroni ci mette una pezza, ma riecco Bossi col fuciletto a tappo: “Sono gli spagnoli che sparano sugli immigrati”. Una ministra spagnola, memore della sparata del Cainano sulle “troppe donne nel governo Zapatero”, sostiene che gli servirebbe un bravo psichiatra, mentre altri suoi colleghi insistono sul clima razzista in Italia. Apriti cielo: ambasciatori convocati, tensione diplomatica, Frattini intima Zapatero di “richiamare all’ordine i suoi ministri”. Si risente persino Piercasinando: gli spagnoli si facciano i fatti loro. Strano: ogni qualvolta Zapatero osa legiferare senza il permesso del Vaticano, Piercasinando dichiara guerra alla Spagna. E nel 2003 i suoi alleati di An e Il Foglio diedero il benvenuto al neopremier Zapatero dicendo che con lui aveva vinto Al Qaeda. A questo punto, per non restare solo, anche Frattini dà fuoco alle polveri: rivedere il trattato di Schengen sulla libera circolazione in Europa. La Commissione europea manda a dire che se lo può scordare. Ma lo spensierato ministro degli Esteri, noto moderato, ha già pronta una nuova dichiarazione di guerra, e non, per dire, alle Isole Andemane o alla Lapponia, due nemici che sarebbero persino alla nostra portata. No, Frattini attacca l’Iran. Da solo. Così, pacatamente, en passant.

Restiamo nella sgomenta attesa del prossimo obiettivo: esauriti in una settimana tutti i paesi più a tiro, temiamo che ora tocchi alla Cina, già più volte massaggiata da Tremonti e Bossi con terribili minacce di dazi doganali (un miliardo e mezzo di cinesi sta ancora tremando) e sistemata dal Cainano, che nel 2006 rivelò come i cinesi fossero specializzati nel bollire bambini neonati per farne concimi per i campi. L’aveva letto sul Libro Nero del Comunismo, a cura di Gabriella Carlucci. Ora, per carità, non ci sogneremmo mai di turbare il bucolico clima di dialogo tra governo e opposizione (si fa per dire). Ma vorremmo sommessamente e pacatamente invitare il nostro meraviglioso governo a darsi una calmata: avete cinque anni davanti, non potete sparare tutte le cartucce in una settimana. Per la dichiarazione di guerra alla Cina aspettate qualche giorno, se no poi fino al 2013 ci si annoia. Oltretutto, son passati solo due anni dagli ultimi successi internazionali del Cainano e, almeno all’estero, non sono ancora dimenticati.

In Danimarca è sempre vivo il ricordo di quando il Cavaliere di Hardcore offrì la sua signora al premier Rasmussen, “molto più bello di Cacciari”. In Turchia non si scordano i suoi tentativi, alle nozze del figlio del presidente Erdogan, di dare una toccatina alla sposa tutta fasciata di veli e, per il rito islamico, assolutamente inavvicinabile. In Finlandia la presidente Tarja Halonen non può scordare quando il Latrin Lover brianzolo svelò di averle “fatto la corte, riesumando le mie doti di playboy”, perché lei cedesse all’Italia l’Agenzia alimentare europea; poi tentò di rimediare, raddoppiando la gaffe: “Io corteggiare una così? Ma l’avete vista bene?”. Ci resta, per ora, l’amico Putin. A meno che gli sovvenga quel che accadde in una fabbrica Merloni vicino a Mosca, dove l’amico Silvio tentò di baciare un’operaia, che purtroppo fuggì terrorizzata. Ma pacatamente. E sempre dialogando.

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Immigrati? Si ma solo quelli ricchi
Ieri mattina a Omnibus Maria Laura Rodotà ha detto di aver provato imbarazzo per la vera e propria «ispezione» nei campi nomadi operata da Bruno Vespa a fianco di Gianni Alemanno. In effetti, il ruolo del conduttore di Porta a porta è istituzionale da tempo e va da sé che è di grado superiore a quello dello stesso sindaco di Roma. Come ha dimostrato anche il tono di supponenza usato da Vespa nei confronti dell’ambasciatore rumeno in Italia, interrogato come un imputato di reato. Per fortuna, peggiorare i rapporti con la Romania è impossibile, visti i primi atti del governo leghista in carica, che è riuscito a urtare proprio i Paesi cruciali per risolvere i problemi dell’immigrazione. Ma c’è stato un altro momento notevole in Porta a porta: quando Maroni ha chiarito che gli immigrati privi di reddito vanno espulsi. Sono queste le radici cristiane dell’Europa: solo ricchi o abbienti possono varcare le frontiere. E visto il vento che tira, tra poco parleranno di espellere anche i poveri nostrani, che oltretutto sono pure terroni.

Maria N. Oppo

martedì 20 maggio 2008

Disinformatija



Le parole di Bertold Brecht:


Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare.

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La zattera della medusa - Barbara Spinelli

Si è parlato molto, negli ultimi anni, della casta politica e delle sue cecità, dei suoi privilegi. Si è parlato della distanza che la separa dal cittadino, dal suo quotidiano tribolare. Si è parlato assai meno della malattia, vasta, che affligge l’informazione e il compito che essa ha nelle democrazie. Compito di chiamare i poteri a render conto, tra un voto e l’altro. Compito d’abituare l’opinione pubblica non a inferocirsi, ma a capire le complicazioni, a esplorarne le radici, a scommettere con razionalità su rimedi non subito spettacolari. Compito di formare quest’opinione, cosa che spetta all’informazione in quanto «mezzo che mette il cittadino a contatto con l’ambiente che sta al di fuori del suo campo visuale»: lo scriveva Walter Lippmann nei primi Anni 20, e la missione è sempre quella. La malattia non è solo italiana, sono tante le democrazie alle prese con un’informazione che fallisce la prova, che al cittadino non rende visibile l’invisibile, che dal potere politico si fa dettare l’agenda, le inquietudini, gli interessi prioritari. Che è vicina più ai potenti o alle lobby che ai lettori. Che alimenta il clima singolare che regna oggi nelle democrazie: come se vivessero un permanente stato di necessità - di guerra - dove per conformismo si sospendono autonomie, libertà di dire.

La grande stampa Usa si è fatta dettare l’agenda da Bush, per anni. La stampa francese per anni s’è dedicata ai temi prediletti da Sarkozy. Quel che ci rende originali non è dunque la malattia. È il fallire del sistema immunitario, che altrove generalmente funziona. Non sappiamo liberarci dalle patologie, dalle loro cellule.

Siamo immersi in esse con compiacimento, con il senso di potenza che dà l’ebbro sentirsi in branco: lo straordinario conformismo che disvelò Jean-François Revel (Pour l’Italie, 1958) non è scemato. In Italia c’è poca auto-stima ma anche poca analisi di sé. Un romanzo spietato come Madame Bovary è da noi impensabile. Quanto all’informazione, nulla che somigli alle autocritiche dei giornalisti Usa sull’Iraq, emerse quando Katrina travolse New Orleans.

L’informazione italiana non produce anticorpi atti a ristabilire un contatto con la società. Il risultato è palese, oggi, e lo storico Adriano Prosperi lo descrive con nitidezza: nel Palazzo «un venticello dolce di mutuo rispetto tra maggioranza e opposizione, un gusto della correttezza (...) un’aria di intesa e di pace». Fuori, intanto: una guerra tra poveri, e pogrom moltiplicati contro rom e diversi (la Repubblica, 16-5). Il guaio è che anche la stampa è Palazzo: incensa serenità politiche ritrovate e scopre, d’improvviso, una società inferocita da tempo, ormai indomabile dalla destra che l’ha sobillata.

L’enorme polemica suscitata da alcune affermazioni televisive del giornalista Marco Travaglio è sintomo di questa malattia, assieme alla violenza, impressionante, con cui alcuni si scagliano contro di lui (in primis un grande professionista d’inchieste giudiziarie come Giuseppe D’Avanzo). Il Paese traversa tifoni, e i giornalisti trovano il tempo di scannarsi a vicenda come fossero nell’ottocentesca Zattera della Medusa. Chi ha visto il quadro di Géricault, al Louvre, ricorderà la cupa zattera, dove pochi naufraghi pensarono di salvarsi a spese di altri. Su simile zattera sono oggi i giornalisti, mangiandosi vivi. L’istinto della muta è forte in tempi di necessità, di Ultimi Giorni dell’Umanità.

Ignoranza e mancanza di memoria sono tra i mali che impediscono di smettere il cannibalismo tra giornalisti e di suscitare un’opinione pubblica informata. Si ignora quel che succede nel Paese, e da quanto tempo. Il pogrom di Ponticelli non è un evento nuovo. Violenze di mute cittadine contro il capro espiatorio già sono avvenute il 2 novembre 2007, quando squadracce picchiarono i romeni dopo l’assassinio di Giovanna Reggiani. Già il 21-22 dicembre 2006 presidi cittadini incendiarono un campo nomadi a Opera presso Milano, approvati da un consigliere comunale leghista, Ettore Fusco, ora sindaco. E non erano violenze nate da niente, avevano anch’esse album di famiglia che chi ha memoria conosce: la tortura di manifestanti no-global a Genova nel 2001; gli sgomberi dei campi Rom attuati brutalmente dal Comune di Milano nel giugno 2005; le parole del presidente del Senato Pera contro i meticci nell’agosto 2005; le complicità del governo Berlusconi nel rapimento di Abu Omar e nella sua consegna ai torturatori egiziani.

Erano pogrom anche quelli del 2006-2007, e gli oppositori di allora non sapevano che a forza di aizzarli avrebbero suscitato i mostri che adesso, grazie all’allarme europeo, devono condannare. La perdita di memoria è stupefacente, ramificandosi s’espande. D’un tratto Berlusconi è «un’altra persona», al pari di suoi amici come Dell’Utri, Schifani. Non hanno dovuto fare ammenda: sono altre persone perché il conformismo fa letteralmente magie. Non si ricorda quel che è stato Berlusconi ancora ieri: come quotidianamente ha delegittimato Prodi, trascinando dietro di sé l’informazione. Di conflitto d’interesse non si parla più. Non si ricordano i trascorsi dei suoi uomini. I rapporti con la mafia o il vivere vicino a essa sono pur sempre una loro macchia. Travaglio ha avuto il cattivo gusto di non uniformarsi, di dirlo a Fabio Fazio su Rai3. Sta pagando per questo.

Fa parte del conformismo giornalistico il fascino per il potere (il vizio infantile descritto nel libro di Scalfari: non solo i buoni vincono ma chi vince è buono). E anche se il fascino esiste altrove, in Italia è diverso: proprio perché lo Stato è debole, la massima irriverenza verso le cariche repubblicane si mescola non di rado a riverenze esagerate (verso il presidente del Senato, anche verso il Capo dello Stato). L’usanza non esiste in regimi presidenziali come America e Francia.

Travaglio è un professionista che ha molto investigato, ma ve ne sono altri: Abbate che ha indagato su mafia e politica, o Peter Gomez, Gian Antonio Stella, Elio Veltri, Carlo Bonini, Francesco La Licata. Anche D’Avanzo è fra essi, e per il lettore non è chiaro perché si sia tanto accanito contro Travaglio, il cui carattere non è più spigoloso di altri astri giornalistici. Travaglio si è chiesto come mai un politico dal passato non specchiato sia presidente del Senato. Non è illegittimo. Ha violato il sacro della carica, ma la prossimità di Schifani alla mafia è già stata descritta da Lirio Abbate e Peter Gomez ne I Complici - in libreria dal marzo 2007 - senza che mai sia stata sporta querela. Berlusconi s’avvia a esser osannato allo stesso modo, metamorfizzandosi in tabù. L’antiberlusconismo non è più una normale presa di posizione politica; sta divenendo un insulto che disonora oppositori e giornalisti. Qui è l’altra originalità italiana. Nessuno si sognerebbe in America di accusare il New York Times o i democratici di anti-bushismo, nessuno in Francia denuncerebbe l’anti-sarkozismo di Libération o dei socialisti. Da noi lo spirito dell’orda è tale che ieri era indecente difendere Prodi, oggi è indecente attaccare Berlusconi.

Le precipitose scuse di Fabio Fazio non erano necessarie. Più appropriato è quello che ha detto dopo, su La Stampa del 13 maggio: «L’idea che si immagini sempre il complotto, la trama, fa pensare che non possa esistere la normalità; è come se non si riuscisse a concepire che in Italia c’è chi lavora autonomamente. Noi giornalisti non siamo dipendenti della politica. Semmai questo è un atteggiamento proprietario che ha la politica nei confronti dei cittadini». Che cos’è la normalità, per il giornalista? È non farsi intimidire, non lasciarsi manipolare dalla violenza con cui il presidente della Camera Fini giustifica, in aula, gli attacchi a Di Pietro («dipende da quel che dici»). È lavorare solo per i lettori: via maestra per fabbricarsi gli anticorpi che mancano.

P.s.
La notizia è di oggi: il parlamento europeo dedicherà una riunione straordinaria alla politica del governo italiano contro i rom.

P.p.s. Ho aggiunto il link al blog "Odio Studio Aperto", fateci un salto

domenica 18 maggio 2008

Dagli allo straniero!


C'è una pericolosa deriva razzista in Italia e pochi paiono accorgersene. Dopo la vittoria della destra e il sistematico martellamento televisivo-giornalistico sul tema della sicurezza (leggi: gli stranieri ci rendono insicuri) siamo in uno stato di drogaggio mediatico. Di questo passo arriveremo a giustificare gli istinti peggiori e le violenze sul diverso?

"Derattizzare" - da Micromega.it
Oh, non turbate il Santo Padre, che è vecchio e stanco. Ditegli che c'è un guasto nei ripetitori di Ponte Galeria e perciò nei palazzi vaticani per qualche giorno radio e televisori sono in black-out. Ditegli che c'è uno sciopero dei giornalisti di tutto il mondo e quindi non arrivano notizie. Fate che non sappia, insomma, quel che sta succedendo in Italia ai Rom: e cioè che, come molti non-papi e non-VIP sanno, da mesi gli "zingari", in Italia, vedono (e non soltanto a Ponticelli ma in molte città e paesi) i loro campi assaltati da facinorosi o "rimossi", quasi senza preavviso, dalle "forze dell'ordine". È una specie di pulizia etnica, senza morti, per fortuna, ma con valanghe di odio, inasprimento di una miseria già di per sé dolorosa e terribili traumi per centinaia di bambini.
La comunità europea aveva già sanzionato l'Italia come il paese meno accogliente per i Rom: il nuovo governo ha ora deciso una soluzione radicale. Razzista.
Il Papa, tutto questo, non lo sa. Se lo sapesse, certamente Benedetto XVI, "Vicario di Gesù Cristo, Patriarca dell'Occidente e Primate d'Italia", lascerebbe i suoi preziosi paramenti dorati e le sue scarpette rosse, per affrontare il fango dei "campi" contro cui si accaniscono le bottiglie molotov della gente bene; vi andrebbe a gridare su quelle devastazioni la parola del Cristo: "Ciò che viene fatto ai poveri è a me che viene fatto". Papa tedesco, sicuramente Joseph Ratzinger non riesce a dimenticare il genocidio degli zingari compiuto dalla Germania nazista ad Auschwitz, con centinaia di bambini orrendamente torturati dal dottor Mengele; e questo ricordo, se lui sapesse ciò che sta accadendo a pochi chilometri dalla sua finestra domenicale, lo spingerebbe a levare alta la voce per difendere i membri di una etnia dalle vere e proprie persecuzioni in atto. Così attento alle leggi italiane che "violano i diritti del feto", egli mostrerebbe di non essere meno sensibile ai provvedimenti governativi che violano i diritti umani di migliaia di persone colpite in base alla loro nazionalità. Davvero vorreste chiedergli di raggiungere i vescovi entrati nei campi degli zingari bruciati dalla gente pulita, a portare una richiesta di perdono per l'offesa fatta a Dio? Il Signore ha voluto che le genti "da un confine all'altro della Terra" diventassero un solo popolo, radunato dall'amore. Per questo chi odia una stirpe pecca gravemente contro Dio. Questo stanno dicendo i vescovi italiani pellegrini fra le rovine fumanti degli abituri devastati dei Rom... Come dite? Nessun vescovo è là, fra quelle roulottes sfasciate, fra quelle motocarrozzette caricate di poveri suppellettili e avviate verso chissà quale destino, fra quei carabinieri che con i loro pesanti anfibi finiscono di demolire le baracche bruciate dalle molotov?
Ahimè, i vescovi rimangono nei loro palazzi e tacciono o (vedi Bagnasco) condannano con flebili voci e gelide parole quelli che con bell'eufemismo definiscono "estremismi".
Cristo si è fermato in piazza San Pietro? E noi? Noi cittadini abbiamo niente da dire su questa democrazia che diventa, nei confronti dei più poveri, stato di polizia? Dov'è il popolo che due anni fa accorse a votare un referendum per difendere la nostra Costituzione così fortemente impostata sui diritti umani? Dov'è il presidente della Repubblica, galantuomo come pochi altri? Dov'è l'opposizione? Dov'è il governo-ombra? Non vedo una marea di indignazione levarsi contro la criminalizzazione di un popolo che è marcato dai segni più evidenti di un'estrema povertà ma la cui pericolosità sociale è enormemente minore di quella dipinta dai politici della destra. La Caritas, l'unica vera "esperta di umanità" nel settore, definisce "pesantemente fuorviante" il ritratto dei Rom disegnato dai mass-media.

La politica "della paura", che ha avuto un peso tanto grande sui risultati elettorali, sventola statistiche false.
L'Italia è un paese più sicuro della Francia, della Gran Bretagna, degli Stati Uniti. Quanto ai Rom, se la ragazzina che ha tentato di rapire una neonata, a Ponticelli, voleva davvero compiere un reato così nefando, si tratta di un caso isolato. Vi sono stati altri episodi del genere ma si sono sempre rivelati equivoci, dilatati dalla paura della gente e dai pesanti pregiudizi di cui siamo portatori. Può darsi che la storia abbia decretato la fine dei popoli nomadi.
Dai pastori somali a quelli mongoli, dai tuareg agli aborigeni australiani, l'evoluzione culturale e il rimodellamento della Terra (quello fisico e quello politico) sembrano imporre una definitiva stanzialità. Del resto, siamo tutti discendenti da antenati nomadi perché il nomadismo è stato una tappa fondamentale della vicenda umana.
Ma se davvero è finito il tempo di genti sospinte a un cammino ininterrotto dalla necessità e da un'inesauribile voglia di libertà, allora, almeno, esse hanno il diritto di attendersi l'aiuto di una società dominante che ha già compiuto da secoli un trapasso di civiltà. E invece è proprio quello che non vogliamo consentire ai Rom: la stanzialità, l'integrazione. Delle immagini (troppo rare e prudenti) che la televisione ci ammannisce, quelle che colpiscono maggiormente, oltre alle facce piangenti dei bambini, sono quelle del lavandino montato nella baracca demolita, del libro o del quaderno rimasto nel fango; e, dei discorsi della gente, accanto alle parole di odio, la tristezza di qualche insegnante che cerca dove sono finiti i "suoi" alunni. Mi è capitato di entrare qualche volta nel carcere minorile di Casal del Marmo, a Roma, e di vedere (non dico conoscere!) giovani Rom attentissimi a imparare un mestiere. Il carcere come unico apprendistato?
Diavolo vuol dire: colui che disunisce. Maledetto il seminatore di odio. Maledetto il seminatore di falsità.
Falsità è la leggerezza con cui si confondono Rom e Romeni (anche questi ultimi, del resto, oggetti di una pesante disinformazione); falsità è la diversa gravità attribuita a fatti di cronaca. Per esempio: tutti ricordano, giustamente, la povera ragazza romana che, durante un litigio con una prostituta romena, è morta perchè il puntale dell'ombrello della contendente è penetrato in un suo occhio, ma chi ricorda che pochi mesi più tardi una ragazza romena è stata spinta da una squilibrata sotto il convoglio della metropolitana, a Roma, e da otto mesi è in coma profondo?

La storia non sarà più "maestra di vita" come sentenziano in molti, ma certi ricordi sono davvero inquietanti.
Leggo che alcuni commercianti del rione Ponte Milvio, a Roma, hanno fondato un'associazione che finanzierà un gruppo di ex poliziotti addetti alla sorveglianza del rione. Lo fecero (e lo fanno) anche molti commercianti di Rio de Janeiro e di Sâo Paulo. Da queste polizie mercenarie, incaricate di "ripulire le strade" e "dare una lezione" ai piccoli criminali, sono nati un po' alla volta, gli "squadroni della morte". Garantivano rapidità operativa e certezza della pena. Il fatto è che vogliamo vivere tranquillamente, a qualunque costo. La vignetta di Altan, oggi, 16 maggio, su "la Repubblica", mostra un bravo borghese, ben vestito e ben nutrito, che dice: "Basta con le mezze misure. Occorre il boia di quartiere".

Anche i poeti vedono lontano. Scriveva Davide Turoldo quindici anni fa: "Ho paura del nazismo dietro le porte. Ho paura di questi nazionalismi, di questi rigurgiti di politiche negative. Ho sempre combattuto contro tutto questo. L'ho scontato con guerre che sembravano non terminare mai. Ho paura della volgarità di questa classe dirigente". Il direttore di Radio Padania, uno degli organi del nuovo governo, ha detto che è più facile derattizzare una zona che liberarsi dai Rom. Ettore Masina www.ettoremasina.it
 
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