di PIERO COLAPRICO
MILANO - "Non posso che essere soddisfatto", dice papà Beppino Englaro, dalla sua casa di Lecco. Oggi il Tar ha depositato la sentenza 214 e ha accolto il ricorso del professor Vittorio Angiolini e dell'avvocato Franca Alessio contro la Regione Lombardia. "Amareggiato", ma "non rassegnato" il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi: "Del resto la sentenza - spiega in una nota - non inficia il mio atto di orientamento generale al Servizio sanitario nazionale, che non era oggetto di giudizio davanti al Tar".
Prima di tutto, il Tar dice quello che decine di giuristi, tranne una minoranza fortemente orientata non solo dal codice, ma anche dalla religione, affermava: e cioè che la decisione della corte d'appello di Milano rappresenta un accertamento definitivo e non più impugnabile.
Ma non solo. Un padre, che in assenza di leggi, ha colmato i vuoti, passaggio legale dopo passaggio legale, dai primi passi mossi insieme all'avvocato Maria Cristina Morelli a questi ultimi che l'hanno portato a vincere anche in cassazione, ha quindi il "diritto-potere" di esercitare come di rifiutare le cure in nome e per conto di sua figlia. Papà Beppino, che dal 2008, diceva di essere "la voce di Eluana", può dunque farla sentire e sostenere che quell'"invasione di mani altrui", dopo 17 anni e otto giorni di stato vegetativo persistente, va rifiutata. "Il rifiuto delle terapie mediche, anche quando conduca alla morte, non può essere scambiato per un'ipotesi di eutanasia, ossia per un comportamento che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte, esprimendo piuttosto tale rifiuto - così si legge nella sentenza del Tar - un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale".
Non si può dunque, come sarebbe potuto accadere in base ad alcune prese di posizione politiche, "essere curati a oltranza". Alimentazione e nutrizione costituiscono terapie e sospenderle non equivale a eutanasia omissiva".
La nota del ministro Maurizio Sacconi, "senza dubbio autorevole perché proveniente dal vertice dell'amministrazione" resta comunque un atto "inidoneo a intaccare il quadro del diritto oggettivo". E la convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità "non contraddice affatto il diritto al rifiuto delle cure".
C'è un passaggio ancora più profondo, che va in contrasto con alcune richieste della curia torinese: l'obiezione di coscienza, dice il Tar, in questo caso non c'è. "Il diritto costituzionale di rifiutare le cure, come descritto dalla suprema corte, è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto s'impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l'ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all'interno di una struttura sanitaria pubblica o privata".
Se questo è il quadro, la Regione Lombardia non può negare di sospendere le cure e deve anche indicare la struttura adeguata. "L'accettazione presso la struttura sanitaria pubblica non può essere condizionata alla rinuncia del malato ad esercitare un suo diritto fondamentale. Né il rifiuto opposto dall'amministrazione alla richiesta del signor Englaro può giustificarsi in base a ragioni attinenti l'obiezione di coscienza". Perciò, "conformandosi alla presente sentenza, l'amministrazione sanitaria in ossequio ai principi di legalità, buon andamento, imparzialità e correttezza, dovrà indicare la struttura sanitaria dotata di requisiti" idonei a rispettare la volontà di Eluana.
Come si vede, il presidente Roberto Formigoni esce sconfitto sul piano del diritto da questa decisione. Esce sconfitto anche quel gruppo di persone collegate al ministero del Welfare che in questi mesi hanno trasformato una tragedia in una guerra senza esclusione di colpi bassi. "Io - dice il professor Angiolini - ho fatto il possibile per affermare quello che il signor Englaro mi ha sempre chiesto, di provare a vivere in uno stato di diritto, facendo ogni cosa alla luce del sole. Non ho mai avuto dubbi della vittoria nei tribunali, ma il prezzo personale che ha pagato e che paga la famiglia che assisto è davvero alto".
La sentenza, aggiunge Sacconi nella nota, "sostiene che il mio atto, per quanto 'autorevole', non è sufficiente a inibire nello specifico caso Englaro una sorta di diritto soggettivo sostenuto dal provvedimento della Corte di Cassazione. Auspico peraltro il ricorso al Consiglio di Stato - continua la nota - da parte della Regione Lombardia, perché rimango convinto che, in assenza di una legge specifica, non vi siano ragioni per far venir meno uno dei contenuti principali dei livelli essenziali di assistenza che vanno garantiti su tutto il territorio nazionale: quello del dovere di idratazione e alimentazione di una persona non in grado di provvedere a se stessa".
(26 gennaio 2009)