di Ilvo Diamanti
Non si è capito molto, in Italia, della drammatica crisi che ha scosso la Georgia in questi giorni. I nostri occhi, d'altronde, sono puntati quasi esclusivamente sul cortile di casa. E ci riesce difficile capire anche quel che avviene intorno a noi. Perché siamo un Paese complicato, con una scena politica labirintica e fantasmatica. Ma anche perché non abbiamo un'idea chiara dei confini. Esterni e, ancor prima, interni.
L'abbiamo scritto tempo fa, in una precedente "bussola": dovremmo studiare e insegnare meglio la geografia, nelle nostre scuole. Serve: almeno quanto la "buona condotta". Invece, io continuo a incontrare colleghi (professori universitari) che mi decantano la qualità della vita e dell'ambiente in Umbria. Perché sono convinti che Urbino, dove io insegno e - per una buona parte dell'anno - vivo, sia in Umbria. E quando li smentisco, con un po' di tatto, succede che alcuni si correggano. E spostino Urbino in Toscana. Poco male. Tanto la geografia, in Italia, conta poco. E si studia poco. Con la scusa che cambia di continuo. Fra province e regioni che sorgono ogni anno. Con la scusa che tanto c'è la globalizzazione. I confini non contano. Con internet, i cellulari, le distanze spazio-temporali si annullano. Se vuoi raggiungere una meta, basta usare un navigatore satellitare. Ti guidano dovunque. Anche se ti costringono a itinerari strani e, talora, ti conducono in un luogo diverso dal previsto. Ma tanto, in un mondo senza geografia non c'è alternativa. Devi essere guidato.
Pochi, d'altronde, conoscono il linguaggio e la scrittura del territorio. Per cui è difficile comprendere cosa e perché stia capitando in Georgia. Perché la Russia vi sia intervenuta in modo tanto violento. Lo sconcerto, inoltre, si trasforma in vertigine di fronte alla scoperta dell'Ossezia e dell'Abkhazia. Perché, ad eccezione dei lettori abituali di liMes, quasi nessuno fino ad oggi sospettava dell'esistenza di queste entità. Nel caso dell'Abkhazia, peraltro, è perfino sconveniente nominarne gli abitanti, in pubblico.
Tuttavia, la geografia non è mai stata così importante, proprio perché non è mai stata incerta, aperta, mobile come oggi. Senza più muri certi e invalicabili a tracciare divisioni. Nell'era della comunicazione senza confini: i confini e i contesti - locali e nazionali - sono divenuti di nuovo essenziali. Lotte sempre più dure si combattono nel nome di un nome. E di un "dove". Per conquistare un'identità territoriale. Un nome legato a un dove. Per potersi chiamare osseti oppure (ci si perdoni) abkhazi. Anche se dietro a queste rivendicazioni ci sono, spesso, altri interessi e altri poteri. Altre potenze. La Russia, in questo caso, intenzionata a ostacolare l'intesa della Georgia con l'Occidente. E con gli Usa. E a mantenere saldo il controllo su aree strategiche dal punto di vista dell'energia (petrolio, gas). La Russia, impegnata a ricostruire l'Impero, dopo il crollo del sistema sovietico.
Ma in Italia la geografia e la geopolitica sono assenti: nella scuola, nel senso comune e dalla cultura politica. Come dimostra il dibattito di questi giorni. Fra il comico e il grottesco. La sinistra tace. Afasica. Reticente e imbarazzata come su - troppi - altri argomenti. Berlusconi è impegnato a mettere d'accordo gli amici George W. e Vladimir. Per telefono, dalla sua residenza reale di Villa Certosa. Ricorrerà alla proverbiale capacità di tessere relazioni informali. La "diplomazia della barzelletta", come l'ha definita Edmondo Berselli. Ma dovrà, prima, convincere la Lega, che, per bocca di Calderoli, ha invitato il governo a schierarsi con la Georgia e contro l'aggressione della Russia. Però, anche l'Ossezia del sud denuncia l'aggressione della Georgia; da cui, insieme all'Abkhazia, rivendica l'autonomia. D'altronde, entrambe - Ossezia e Abkhazia - sono, di fatto, Repubbliche indipendenti (con il sostegno attivo e interessato della Russia).
Tuttavia, la Lega ha sempre avuto un atteggiamento eclettico sui conflitti che mirano a ridisegnare la geografia e i confini. Come nelle sanguinose guerre balcaniche dello scorso decennio. Quando si è schierata apertamente per Milosevic. Dalla parte della Serbia e contro il Kosovo. Forse per ostilità verso gli albanesi. O, più probabilmente, verso la Nato, l'Europa e gli Usa. Garanti dell'unità nazionale dell'Italia e dunque nemici della Padania. Ma erano altri tempi e la Lega era all'opposizione di tutti. Ai margini del sistema politico italiano. Mentre oggi sta al governo e si è convertita a un atteggiamento realista. Tuttavia resta il dubbio. Quando Bossi alza il dito medio contro l'inno di Mameli. E, quindi, contro l'unità nazionale. Quando rammenta che quel dito è sempre levato. Intende ribadire, marcare con forza che anche la nostra geografia è provvisoria. Che siamo un Paese provvisorio. Che l'Italia non esiste. O meglio: a Nord c'è la Padania, mentre l'Italia comincia sotto il Po. Sempre più a Sud, però. Perché anche in Emilia Romagna e nelle Marche si levano forti i richiami alla liberazione: da Roma e dagli stranieri che ci invadono. Espressi e amplificati dal crescente successo elettorale della Lega. La Padania, cioè, si espande. E l'Italia si riduce.
In Italia non c'è una comune idea della geopolitica internazionale né dell'interesse nazionale. Tanto meno in questa maggioranza di governo. Anche per questo il nostro peso sulla scena globale è così leggero. E mentre Berlusconi è intento a telefonare agli Amici, Sarkozy negozia e conclude un accordo fra Presidenti.
Il fatto è che l'Italia è confinata ai confini del mondo; e i suoi stessi confini interni sono mobili. Ipotetici e negoziabili. Come il numero delle province, che cresce di anno in anno. E' unita dalle sue divisioni. Divisa dai suoi miti unificanti (presto cancelleremo anche Garibaldi). La sua classe politica e intellettuale è, in gran parte, incapace di scrivere una storia comune. Anzi, ne contesta i pochi elementi condivisi. Perché dovrebbe credere e riconoscersi nella geografia? Per muoversi e orientarsi basta un navigatore satellitare.
(13 agosto 2008) da Repubblica.it
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