martedì 24 giugno 2008

Adesso basta: i reati ce li facciamo da noi


di Renzo Butazzi

Tutte le leggi per garantire maggior sicurezza agli italiani erano state rigorosamente applicate. Gli stranieri presenti nel paese erano regolari, con un permesso di soggiorno con obbligo di domicilio fisso, un lavoro sottopagato per legge, le impronte digitali presso gli archivi delle questure e su un cartellino plastificato che dovevano portare al collo.
Per scoraggiare ancor più gli stranieri dal compiere un reato, anche se residenti, la legge prevedeva un aggravante che arrivava a triplicare la pena che sarebbe stata comminata a un indigeno per la medesima colpa. L'aggravante era graduata in base alla nazionalità ed era massima per gli extracomunitari.
I residenti di colore erano suddivisi in categorie secondo la tonalità e i più scuri non potevano uscire di notte se non con una striscia rifrangente bianca intorno alla fronte,
in modo che fossero chiaramente individuabili
Inoltre, come quando chi vuol prendere la cittadinanza degli Stati Uniti deve dimostrare che conosce la Costituzione di quel paese, qualunque extracomunitario, chiaro o scuro che fosse, prima di avere il permesso di soggiorno doveva superare la prova principe: mangiare una intera salsiccia di maiale.

Il governo era molto soddisfatto dei risultati raggiunti perché i reati compiuti da stranieri erano scomparsi. Ormai gli assassini, i rapinatori, gli scippatori, gli stupratori, i figli che uccidevano i genitori o viceversa, i compagni di scuola che violentavano e torturavano le compagne, erano tutti dei nostri.
Secondo gli ultimi sondaggi gli italiani si sentivano un poco più sicuri, ma, soprattutto, si sentivano orgogliosi. Almeno in questo campo la concorrenza era stata battuta.

da Micromega Online (24 giugno 2008)

giovedì 19 giugno 2008

La conversione impossibile

di FRANCO CORDERO


NEL DIALETTO subalpino circolava una metafora romanesque: "l'hanno cambiato a balia"; forse lo dicono ancora d'uno che improvvisamente risulti diverso (i dialetti e relativa sapienza vanno estinguendosi); l'ubriacone diventa asceta, il codardo compie gesta eroiche et similia.

Stanno nel fisiologico le metamorfosi lente operate da lunghi esercizi (Freud le chiama forme reattive, Reaktionsbildungen). Qui è innaturalmente fulminea. Tale appariva la conversione del Caimano in homme d'Etat pensoso, equanime, altruista. Impossibile, natura non facit saltus. Nessuno cambia d'un colpo a 72 anni, tanto meno l'egomane insofferente delle regole (etica, legalità, grammatica, buon gusto), specie quando sia talmente ricco in soldi e voti da mettersele sotto i piedi. Era molto chiaro dall'emendamento pro Rete4, in barba alla disciplina della concorrenza, ma i cultori del cosiddetto dialogo perdonano tutto o quasi.

Nell'aria del solstizio, lunedì sera 16 giugno, Leviathan (nome biblico del coccodrillo archetipico) batte due colpi. Partiamo dall'arcinoto retroscena. Come gli capita spesso, soffre d'antipatiche rogne giudiziarie: in un dibattimento milanese prossimo all'epilogo è chiamato a rispondere del solito vizio, definibile lato sensu "frode"; stavolta l'accusa è d'avere pagato David Mills, avvocato londinese, affinché dichiarasse il falso su fondi neri esteri; l'aveva incautamente svelato l'accipiens. Inutile dire quanto gli pesi la prospettiva d'una condanna: il massimo della pena è otto anni, art. 317 ter c. p., o sei, se fosse applicato l'art. 377 (indurre al falso chi abbia la facoltà d'astenersi); appare anomala l'ipotesi d'un presidente del Consiglio interdetto dai pubblici uffici, né sarebbe pensabile l'insediamento al Quirinale nell'anno 2013; punta lì, lo sappiamo, in un'Italia ormai acquisita, patrimonio familiare, dépendance Mediaset. La posta è enorme. Altrettanto i mezzi con cui risponde al pericolo.

Esiste un dl sulla sicurezza pubblica. Palazzo Madama lavora alla conversione in legge. Gli emendamenti presentati dai soliti yes men prevedono la sospensione d'un anno dei processi su fatti ante 1 luglio 2002, la cui pena massima non ecceda i 10, pendenti tra udienza preliminare e chiusura del dibattimento; così tribunali e corti sbrigheranno il lavoro grosso. Lo dicono senza arrossire i presentatori del capolavoro e lo ripete Leviathan nella lettera al presidente del Senato, sua devota creatura, annunciando un secondo passo, ripescare l'immunità dei cinque presidenti, dichiarata invalida dalla Consulta quattro anni fa.

Sarà sospeso anche uno dei processi inscenati a suo carico "da magistrati d'estrema sinistra": gliel'hanno detto gli avvocati; che male c'è?; un perseguitato politico deve difendersi; e ricuserà il presidente del tribunale, lo rende noto en passant. Ma è puro caso che l'emendamento gli riesca comodo. La ratio sta nell'interesse collettivo. Discorso molto berlusconiano, chiunque glielo scriva. Tra un anno sarà immune: se non lo fosse ancora, basterebbe allungare la sospensione; tra cinque da palazzo Chigi scala Monte Cavallo, sono due passi; nel frattempo vuol essersi riscritta la Carta vestendo poteri imperiali (davanti a lui, Charles-Louis-Napoléon, III nell'ordine dinastico, è un sovrano legalitario). In sede tecnica riesce arduo definire questo sgorbio, tanto straripa dalla sintassi legale. Ciurme parlamentari sfigurano il concetto elementare della legge: va al diavolo la razionalità immanente i cui parametri indica l'art. 3 Cost.; l'atto rivestito d'abusiva forma legislativa soddisfa solo l'interesse personale del futuro padrone d'Italia.

Vengono in mente categorie elaborate nel diritto amministrativo: "le détournement du pouvoir"; mezzo secolo fa Francesco Carnelutti configurava l'ipotesi "eccesso di potere legislativo". Siamo nel regno dei mostri, studiato dal naturalista Ulisse Aldrovandi. L'espediente appare così sguaiatamente assurdo in logica normativa, da sbalordire l'osservatore: perché sospendere i processi su fatti ante 1 luglio 2002, mentre seguitano i posteriori?; e includervi i dibattimenti alla cui conclusione manchi un giorno?; tra 12 mesi l'ingorgo sarà più grave, appena ricadano nei ruoli. Che nel frattempo il taumaturgo d'Arcore abbia quadrato il cerchio allestendo una giustizia rapida, è fandonia da imbonitori: la pratica abitualmente, quando non adopera le ganasce; o forse sottintende una tacita caduta nella curva dell'oblio; spariscono e non se ne parla più, amnistia anonima. Oltre alla patologia amministrativa, l'incredibile pastiche ne richiama una civilistica: il dolo, nella forma che Accursio chiamava "machinatio studiosa", stretta parente della frode, tale essendo la categoria sotto cui è definibile l'epopea berlusconiana (avventuriero piduista, impresario delle lanterne magiche, grimpeur d'affari risolti con trucchi penalmente valutabili, intanato in asili fiscali a tenuta ermetica, spacciatore d'illusioni elettorali): gli emendamenti galeotti hanno come veicolo un dl firmato dall'ignaro Presidente della Repubblica su materie nient'affatto analoghe, e s'era guardato dal dire cosa covasse; in nomenclatura romana, dolus malus.

Gli sta a pennello l'aggettivo tedesco "folgerichtig", nel senso subrazionale: ha dei riflessi costanti (finto sorriso, autocompianto, barzelletta, morso, digestione); non tollera le vie mediate; sceglie d'istinto la più corta, come il caimano quando punta la preda. Con questa sospensione dei processi sotterra l'azione obbligatoria: Dio sa cos'avverrà nei prossimi cinque anni ma gli obiettivi saltano all'occhio: la vuole a' la carte; carriere distinte, ovvio; Procure agli ordini del ministro, sicché il governo disponga della leva penale; procedere o no diventa scelta politica (se ne discorreva nella gloriosa Bicamerale sotto insegna bipartisan: Licio Gelli, fondatore della P2, rivendicava i diritti d'autore riconoscendo le idee del suo "Piano" d'una "rinascita democratica" anno Domini 1976; l'ancora invisibile demiurgo frequentava la loggia in quarta o quinta fila). A quel punto nessuno lo smuoverebbe più se fosse il superuomo cantato dai caudatari, invulnerabile dal tempo. Le altre due mete è chiaro quali siano: prima, uscire dall'Unione europea, compagnia scomoda; seconda, moltiplicare lo smisurato patrimonio. Sul quale punto nessuno con la testa sul collo ha dubbi: anni fa gli contavano 40 mila vecchi miliardi; crescono come la vorace materia prima evocata da Anassimandro.

da Repubblica(19 giugno 2008)


Scodinzolini - M.Travaglio, da Ora d'Aria 19/06/08

mercoledì 18 giugno 2008

Lo statista


Marco Travaglio
l' Unità
18-06-2008

Bisogna ringraziare come sempre il cavalier Berlusconi per la sua tetragona coerenza. Mentre i commentatori di chiara fama, ma soprattutto fame,lo scambiano per uno statista, l’opposizione lo prende per un riformatore e i magistrati associati applaudono addirittura Mortimer Alfano perché è così ammodo, lui tiene subito a precisare che dello Stato, delle riforme e del dialogo non gliene può fregar di meno. A lui interessano le sue tv e i suoi processi, cioè le due ragioni sociali della discesa in campo del ’94, quando confidò a Montanelli e Biagi: «Se non entro in politica, finisco in galera e fallisco per debiti». Ora bisognerà allestire comunità di recupero con terapie d’avanguardia per aiutare i vedovi del dialogo a superare lo choc e riabituarli a trattare il Cainano per quello che è: un impunito. Le loro lacrime crepuscolari meritano il massimo rispetto. Come non intenerirsi dinanzi agli strazianti appelli sul Corriere di Paolo Franchi e Massimo Franco, detti anche Franco & Ciccio, a «non chiudere la stagione del confronto»? Come non commuoversi al pensiero dei cronisti dell’inciucio sempre a caccia dei 2-3 giapponesi asserragliati nella trincea del «confronto costruttivo»? Basti pensare che il Messaggero riesuma addirittura Franco Debenedetti, entusiasta per la legge bavaglio; il Corriere interpella la Merloni, e financo Calearo in gran fregola per «ottimi ministri come Brunetta, Sacconi, Zaja, Tremonti». C’è ancora chi non vuole arrendersi alla cruda realtà e continua a raccontarsi le fiabe, tipo il «ritorno dell’antiberlusconismo», senz’accorgersi del ritorno di Berlusconi, che peraltro non se n’era mai andato. Panebianco lancia l’allarme contro chi parla di «regime», «deriva autoritaria», «attentato alla Costituzione», ma contro chi li pratica nemmeno una parola: non lo preoccupa l’azione, ma l’eventuale reazione. Un vero liberale. Altri, come il geniale Nicola Rossi e l’acuto Enrico Letta, sono «preoccupati per le riforme istituzionali». Ma il Cainano le sta già facendo, le sue riforme istituzionali: la salva-Rete4 e le blocca-processi. Che altro dovrebbe fare un premier titolare di una tv abusiva e di quattro processi? Infatti lui continua a ripetersi, sempre uguale a se stesso, anche se tutti lo trovano cambiato. Abolisce i suoi processi, replica il lodo incostituzionale per le alte cariche (soprattutto quella bassa), strilla alle toghe rosse. Ultima della serie: quella che lo processa sul caso Mills, guardacaso il più prossimo a sentenza. Si chiama Nicoletta Gandus, non ha macchie sulla coscienza (a parte forse aver assolto Formigoni per la discarica di Cerro), ma un giorno firmò un appello contro le leggi ad personam. Fra la Costituzione e chi la calpesta, ha scelto la prima. Ergo è sospetta, prevenuta. «Mi ha accusato di aver determinato atti legislativi a me favorevoli», tuona il Cainano. Il quale, per rieducarla, le blocca il processo con altri due atti legislativi a lui favorevoli. Ma, s’intende, lo fa «per il bene del Paese». Se poi, incidentalmente, vi rientrano anche i suoi processi, pazienza. Tantopiù che l’ha appena saputo, di essere imputato a Milano da 4 anni per la corruzione giudiziaria del teste Mills. «I miei legali mi hanno informato che tale previsione normativa sarebbe applicabile a uno fra i molti fantasiosi processi che magistrati di estrema sinistra hanno intentato contro di me per fini di lotta politica». Sono fatti così, i suoi avvocati: sebbene siano tutti e tre in Parlamento, non gli avevano mai detto niente. Volevano fargli una sorpresa. Non una parola nemmeno sulla rossa Gandus, che lo processa da due anni. O forse han voluto fare una sorpresa anche a lei: anziché ricusarla all’inizio, la ricusano alla fine. Tanto la corruzione giudiziaria non desta «allarme sociale»: è solo il reato di chi paga il giudice o il testimone per essere assolto anche se è colpevole. Che sarà mai. Proprio ieri la Procura di Palermo ha scoperto alcuni mafiosi che, per ritardare o aggiustare i loro processi, si rivolgevano a un cancelliere perché parlasse con un gesuita perché parlasse con una poliziotta. Benedetti ragazzi: non sapevano che, per bloccare i propri processi basta molto meno. Si va al governo e si fa un emendamento al decreto sicurezza. E, se non basta, si allungano 600 mila dollari al testimone Mills perché dimentichi tutto. Poi si spiega che quello è un reato minore e si abolisce il processo per il nostro bene. Alla peggio, ci si sente dire che non bisogna tirare troppo la corda, se no il dialogo rischia e torna l’antiberlusconismo. Non sia mai.


AltraChiesa - Chiesa affarista, concubina e opportunista, di Aldo Antonelli

domenica 15 giugno 2008

Du' risate

daniele luttazzi per il manifesto
-Petrolieri in sciopero contro il rincaro dei barili di legno
-Incidente nucleare a Krsko, gli sloveni d'accordo: «Spostare le centrali atomiche in Italia»
-Nuova provocazione di Ahmadinejad: «L'Olocausto? Sono morte più persone in formula 1!»
-Le ceneri di Kurt Cobain ritrovate nel naso di Keith Richards
-Sacconi: «Lo schiavismo è una risorsa per il Paese»
-Nuova discarica di Chiaiano, sarà vietato gettarci femori.
-Alfano: «Gran parte del paese intercettata al telefono con Saccà».
-Usa, approvata la «pillola del giorno dopo» per l'uomo

(Daniele Luttazzi)

Arrestateci tutti


l'Unità, 15 giugno 2008
M.Travaglio

L’altro giorno, fingendo di avanzare un’”ipotesi di dottrina”, Giovanni Sartori ha messo in guardia sulla Stampa dai ”dittatori democratici” e ha spiegato: “Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita. Perché non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno. Si impacchetta la Corte costituzionale, si paralizza la magistratura… si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e contrappesi. E di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla fine rimane un potere ‘transitivo’ che traversa tutto il sistema politico e comanda da solo”. Non poteva ancora sapere quel che sarebbe accaduto l’indomani: il governo non solo paralizza la magistratura, ma imbavaglia anche l’informazione abolendo quella giudiziaria. E, per chi non avesse ancora capito che si sta instaurando un regime, sguinzaglia pure l’esercito per le strade.

Nei giorni scorsi abbiamo illustrato i danni che il ddl Berlusconi-Ghedini-Alfano sulle intercettazioni provocherà sulle indagini e i processi. Ora è il caso di occuparci di noi giornalisti e di voi cittadini, cioè dell’informazione. Che ne esce a pezzi, fino a scomparire, per quanto riguarda le inchieste della magistratura. Il tutto nel silenzio spensierato e irresponsabile delle vestali del liberalismo e del garantismo un tanto al chilo. Che, anzi, non di rado plaudono alle nuove norme liberticide. Non si potrà più raccontare nulla, ma proprio nulla, fino all’inizio dei processi. Cioè per anni e anni. Nemmeno le notizie “non più coperte da segreto”, perché anche su quelle cala un tombale “divieto di pubblicazione” che riguarda non soltanto gli atti e le intercettazioni, ma anche il loro “contenuto”. Non si potrà più riportarli né testualmente né “per riassunto”. Nemmeno se non sono più segreti perché notificati agli indagati e ai loro avvocati. Niente di niente.

L’inchiesta sulla premiata macelleria Santa Rita, con la nuova legge, non si sarebbe mai potuta fare. Ma, anche se per assurdo si fosse fatta lo stesso, i giornali avrebbero dovuto limitarsi a comunicare che erano stati arrestati dei manager e dei medici: senza poter spiegare il perché, con quali accuse, con quali prove. Anche l’Italia, come i regimi totalitari sudamericani, conoscerà il fenomeno dei desaparecidos: la gente finirà in galera, ma non si saprà il perché. Così, se le accuse sono vere, le vittime non ne sapranno nulla (i famigliari dei pazienti uccisi nella clinica milanese, che stanno preparando una class action contro i medici assassini, sarebbero ignari di tutto e lo resterebbero fino all’apertura del processo, campa cavallo). Se le accuse invece sono false (come nel caso di Rignano Flaminio, smontato dalla libera stampa), l’opinione pubblica non potrà più sapere che qualcuno è stato ingiustamente arrestato, né come si difende: insomma verrà meno il controllo democratico dei cittadini sulla Giustizia amministrata in nome del popolo italiano.

Chi scrive qualcosa è punito con l’arresto da 1 a 3 anni e con l’ammenda fino a 1.032 euro per ogni articolo pubblicato. Le due pene - detentiva e pecuniaria - non sono alternative, ma congiunte. Il che significa che il carcere è sempre previsto e, anche in un paese dov’è difficilissimo finire dentro (condizionale fino a 2 anni, pene alternative fino a 3), il giornalista ha ottime probabilità di finirci: alla seconda o alla terza condanna per violazione del divieto di pubblicazione (non meno di 9 mesi per volta), si superano i 2 anni e si perde la condizionale; alla quarta o alla quinta si perde anche l’accesso ai servizi sociali e non resta che la cella. Checchè ne dica l’ignorantissimo ministro ad personam Angelino Alfano.

E non basta, perché i giornalisti rischiano grosso anche sul fronte disciplinare: appena uno viene indagato per aver informato troppo i suoi lettori, la Procura deve avvertire l’Ordine dei giornalisti affinchè lo sospenda per 3 mesi dalla professione. Su due piedi, durante l’indagine, prim’ancora che venga eventualmente condannato. A ogni articolo che scrivi, smetti di lavorare per tre mesi. Se scrivi quattro articoli, non lavori per un anno, e così via. Così ti passa la voglia d’informare. Anche perché, oltre a pagare la multa, finire dentro e smettere di lavorare, rischi pure di essere licenziato.

D’ora in poi le aziende editoriali dovranno premunirsi contro eventuali pubblicazioni di materiale vietato, con appositi modelli organizzativi, perché il “nuovo” reato vien fatto rientrare nella legge 231 sulla responsabilità giuridica delle società. Significa che l’editore, per non vedere condannata anche la sua impresa, deve dimostrare di aver adottato tutte le precauzioni contro le violazioni della nuova legge. Come? Licenziando i cronisti che pubblicano troppo e i direttori che glielo consentono. Così usciranno solo le notizie che interessano agli editori: quelle che danneggiano i loro concorrenti o i loro nemici (nel qual caso l’editore si sobbarca volentieri la multa salatissima prevista dalla nuova legge, da 50 mila a 400 mila euro per ogni articolo, e accetta di buon grado il rischio di veder finire in tribunale la sua società). La libertà d’informazione dipenderà dalle guerre per bande politico-affaristiche tra grandi gruppi. E tutte le notizie non segrete non pubblicate? Andranno ad alimentare un sottobosco di ricatti incrociati e di estorsioni legalizzate: o paghi bene, o ti sputtano.

Ultima chicca: il sacrosanto diritto alla rettifica di chi si sente danneggiato o diffamato, già previsto dalla legge attuale, viene modificato nel senso che la rettifica dovrà uscire senza la replica del giornalista. Se Tizio, dalla cella di San Vittore, scrive al giornale che non è vero che è stato arrestato, il giornalista non può nemmeno rispondere che invece è vero, infatti scrive da San Vittore. A notizia vera si potrà opporre notizia falsa, senza che il lettore possa più distinguere l’una dall’altra. Tutto ciò, s’intende, se i giornalisti si lasceranno imbavagliare senza batter ciglio.

Personalmente, annuncio fin d’ora che continuerò a informare i lettori senza tacere nulla di quel che so
. Continuerò a pubblicare, anche testualmente, per riassunto, nel contenuto o come mi gira, atti d’indagine e intercettazioni che riuscirò a procurarmi, come ritengo giusto e doveroso al servizio dei cittadini. Farò disobbedienza civile a questa legge illiberale e liberticida. A costo di finire in galera, di pagare multe, di essere licenziato. Al primo processo che subirò, chiederò al giudice di eccepire dinanzi alla Consulta e alla Corte europea la illegittimità della nuova legge rispetto all’articolo 21 della Costituzione e all’articolo 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (“Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche…”, con possibili restrizioni solo in caso di notizie “riservate” o dannose per la sicurezza e la reputazione). Mi auguro che altri colleghi si autodenuncino preventivamente insieme a me e che la Federazione della Stampa, l’Unione Cronisti, l’associazione Articolo21, oltre ai lettori, ci sostengano in questa battaglia di libertà. Disobbedienti per informare. Arrestateci tutti.

sabato 14 giugno 2008

Necessità e Urgenza

Ora d'aria, M.Travaglio
l'Unità, 12 giugno 2008

Ciò che stupisce non è che il Cainano tenti di trasformare in decreto la legge Arsenio Lupin contro le intercettazioni, salvo poi innestare la retromarcia e parlare del solito equivoco. Lui ci prova sempre, per vedere l’effetto che fa. Poi, alla peggio, dice che è stato frainteso. Intanto incassa la patente di moderato, di uomo del dialogo. Ha sempre fatto così: volendo ottenere 10, chiede 100, l’opposizione e il Colle trattano su 50, lui accetta, l’opposizione e il Colle fingono di aver vinto anche loro, mentre in realtà ha vinto solo lui, portando a casa il quintuplo di quel che gli serviva. E fa pure bella figura. Sabato, quando annunciò l’abrogazione delle intercettazioni per tutti i reati tranne mafia e terrorismo, si sapeva benissimo che alla fine –bontà sua- avrebbe incluso anche rapine, omicidi, stupri, estorsioni, traffici di droga e di armi. Tutti reati che lui, di solito, non commette. Infatti ieri ha annunciato che le intercettazioni saranno vietate per i delitti puniti con pene inferiori a 10 anni. Ci sarà anche la concussione (un contentino alla Lega: tanto nessuno gliel’ha mai contestata),ma non la corruzione, l’appropriazione indebita, la frode fiscale, l’aggiotaggio, l’insider trading, cioè i reati di competenza sua e dei suoi amici. Tutto secondo copione.

Di stupefacente, in quest’ennesima puntata della saga “Lo chiamavano Impunità”, c’è solo lo stupore del grosso dell’ opposizione e del Quirinale, che ieri si domandavano allibiti: e dove sarebbero i requisiti di necessità e urgenza per un decreto? Ma non si era detto di dialogare per una soluzione bipartisan che tuteli la privacy di Anna Falchi e del piccolo Moggi, ma anche le esigenze dei giudici e della stampa, come tromboneggiano politici, istituzioni, commentatori e giuristi per caso? In effetti si era detto così. Il fatto è che lui del dialogo se ne frega, come della privacy di Anna Falchi e del piccolo Moggi, e soprattutto dei giudici e della stampa. Lui ha problemi più impellenti: i processi.Gliela spiega lui a questi fresconi la necessità e l’urgenza. Lui è imputato per corruzione a Napoli insieme a Saccà, l’udienza preliminare rinviata per le elezioni è partita venerdì scorso, quando gli avvocati dei due imputati, Niccolò Ghedini per il Cainano e Marcello Melandri per Saccà hanno ricevuto il cd-rom con dentro tutte le intercettazioni e le altre fonti di prova sul do ut des contestato dagli inquirenti: ragazze da sistemare a Raifiction (quelle che era proprio impossibile portare in Parlamento) in cambio di contropartite affaristiche.

Noi non sappiamo cosa contenga il dischetto, ma i due avvocati e i rispettivi clienti sì. Il Cainano sapeva benissimo quel che aveva fatto e detto. Ora sa anche quel che è stato registrato. E, a giudicare dalla fretta disperata con cui vuole vietare le intercettazioni,dev’essere roba piuttosto compromettente persino per un uomo senza reputazione. Se si arriva al rinvio a giudizio con la legge attuale, sapremo presto tutto anche noi. Con la nuova legge, di cui si occupa attivamente l’on. avv. Ghedini, un vero esperto, non solo non sapremo più nulla. Ma basterà una norma transitoria retroattiva che dichiari inutilizzabili le intercettazioni fatte secondo la vecchia legge in base alla nuova, per distruggere tutto prima che la gente scopra chi faceva un “uso criminoso della televisione pagata con i soldi di tutti”: proprio colui che da Sofia lanciò quell’accusa a Biagi, Santoro e Luttazzi, in combutta con chi eseguì materialmente l’editto bulgaro.

E’ la solita corsa contro il tempo: fare la legge prima che parta il processo. Venerdì, l’On. Avv. in veste di difensore ha chiesto al gip di Napoli di dichiararsi incompetente e di mandare tutto a Roma, così si perde qualche altro mese. Ma la speranza che gli diano retta è scarsina. Ergo, rientrato a Roma, l’On. Avv. ha indossato i panni del legislatore e s’è messo all’opera per la nuova legge. E’ dalla “discesa in campo” del ‘94 che si replica la stessa scena. Decreto Biondi per non far arrestare il fratello Paolo. Legge sulle rogatorie per cestinare le prove sulle tangenti ai giudici. Legge sul falso in bilancio per depenalizzare il reato. Legge Cirami per spostare i processi da Milano. Lodo Maccanico-Schifani per rendere invulnerabile il premier. Legge ex Cirielli per dimezzare la prescrizione e salvare Previti dalla galera. Legge Pecorella per abrogare il processo d’appello Sme-Ariosto. Indulto extralarge per salvare Previti anche dai domiciliari. Ogni volta lo stesso copione. Tutti si domandano perché lo fa e lui, mentre gli altri dialogano, lo fa.
 
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