venerdì 24 ottobre 2008

Gandhi, la scuola e le televisioni

di Peter Gomez

Non c'è nulla di casuale
nelle dichiarazioni seguite da smentita di Silvio Berlusconi sulla polizia nelle scuole. Il Cavaliere quando parla segue una strategia precisa. Da una parte vuole saggiare le reazioni dell'opinione pubblica abituandola a poco a poco all'idea che contro gli studenti si può utilizzare la forza, dall'altra tenta di distogliere l'attenzione dal nocciolo del problema: ai tagli di spesa nella scuola si è provveduto con un decreto legge senza consultare nessuno.

Il decisionismo, del resto, in giorni in cui cinque telegiornali su sei si limitano a fare da megafono del potere, paga. Quello che la maggior parte degli italiani hanno capito del decreto Gelmini è infatti semplice: alle elementari si ritornerà a mettere il grembiule e nelle classi si tornerà ad avere un solo maestro. Tutto il resto passa in secondo piano. Ovvio che in un paese di anziani come il nostro la controriforma, raccontata così, raccolga ampi consensi. Il grembiule (che oltretutto non è un'idea da buttar via) e il maestro unico riportano alla mente della gente i bei tempi andati. Tempi che, man mano si va avanti con gli anni, sono sempre migliori dei presenti.
Non bisogna quindi farsi ingannare dalle manifestazioni. Chi protesta, per quanto numerosi siano i cortei, per il momento rappresenta solo la minoranza dei cittadini. La situazione può però cambiare rapidamente. La controriforma, per come è stata concepita, è destinata a toccare ampi strati della popolazione, a incidere direttamente sulla vita delle famiglie. Ma, nella gran parte dei casi, non lo farà subito. Molti cambiamenti avverranno lentamente. Per questo Berlusconi si lamenta dei giornali e a parole sminuisce la portata degli interventi (il maestro unico, per esempio, nei discorsi del premier diventa maestro prevalente): il suo obiettivo è prendere tempo e far sì che non si conoscano troppo bene gli esatti contenuti delle nuove norme.

Col passare dei giorni e il crescere delle proteste la probabilità che si verifichi qualche incidente (quasi inevitabile quando migliaia di persone molto giovani scendono in piazza) aumenta. E gli incidenti, che Berlusconi con i suoi interventi sembra voler evocare, rappresenterebbero per lui una vittoria. Le tv ci metterebbero un secondo ad amplificarne la portata innescando una serie di reazioni a catena difficilmente prevedibili.

Che fare allora? Quattro cose: ricordarsi di Gandhi che con la non violenza liberò una nazione, non accettare provocazioni, organizzare proteste sempre più "mediatiche" che possano trovar spazio nei telegiornali, presentare poche e chiare controproposte. Che nel mondo della scuola e delle università si disperdano inutilmente molti capitali è un fatto. Che sia necessaria una razionalizzazione delle spese è un altro fatto (pensiamo, per esempio, alle norme che hanno consentito l'apertura di nuovi atenei in quasi ogni capoluogo di provincia e la creazione di corsi di laurea in materie che non permetteranno a nessuno di trovare occupazione).

Insomma anche manifestando studenti e docenti dovranno continuare a lavorare. Serve subito una piattaforma precisa. Un programma per punti sul quale il governo sia costretto ad aprire la discussione.

leggi anche:
"Conferenza stampa Veltroni - Fioroni in risposta al Ministro Gelmini ed al Premier" - da Radio Radicale

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