lunedì 31 marzo 2008

Vademecum pre-elezioni



Un capitolo del libro "Se li conosci li eviti” di Peter Gomez e Marco Travaglio (ed Chiarelettere, 14,60 euro)


I buoni I- Magnifici Venti della XV legislatura

Bindi Rosy (Pd). Ha sfidato Veltroni alle primarie, riportando un’ottima seconda piazza, ma soprattutto s’è opposta a tutti gli inciuci con Berlusconi, ha sostenuto il governo contro i tanti nemici (anche nell’Unione) di Prodi, ma soprattutto ha scritto insieme alla collega Pollastrini la legge sui Dico (sui diritti alle coppie conviventi, anche omosessuali) sfidando i fulmini del centrodestra e gli anatemi vaticani. Dimostrando che si può essere, coerentemente e contemporaneamente, laici e cattolici.

Colombo Furio (Pd). Ha difeso l’onore del Senato, vilipeso dai continui insulti scagliati dalla destra più becera contro i senatori a vita. Ha difeso il diritto a esistere, da troppi ancora messo in discussione. S’è opposto all’indulto e alla legge-bavaglio di Mastella sulle intercettazioni e il diritto di cronaca. Ha presentato un rigoroso disegno di legge sul conflitto d’interessi e sul sistema televisivo veramente liberale, in alternativa a quello inciucista del duo Franceschini- Violante.

Dalla Chiesa Nando (Pd). Come sottosegretario all’Università e alla Ricerca, ha svolto un lavoro oscuro ma meritorio sull’edilizia residenziale per gli studenti (18mila posti letto in più per i fuori sede), sulle accademie e i conservatori, e soprattutto ha inaugurato un progetto denominato «Ethicamente» per insegnare negli atenei l’etica pubblica e professionale. Intanto ha proseguito le sue battaglie per la legalità, contro mafie e corruzioni. Ciononostante, o forse proprio per questo, il Pd non l’ha ricandidato. Vergognosamente. M2_01_Se li conosci 12-03-2008 12:30 Pagina 21

De Zulueta Tana (Verdi). Promotrice, insieme ad artisti, giornalisti e intellettuali (Sabina Guzzanti in primis) della proposta di legge «Perunaltra tv», con lo scopo di liberare la Rai dal controllo dei partiti, s’è battuta con competenza ed eleganza tutte britanniche per la libertà d’informazione e contro il conflitto d’interessi, inascoltata anche nella sua coalizione. Ciononostante, o forse proprio per questo, l’Arcobaleno non l’ha ricandidata. Vergognosamente.

Giulietti Giuseppe (ex Ds, ora Idv). Ex segretario dell’Usigrai, veterano della Vigilanza Rai (che ha chiesto di abrogare), non ha mai smesso di difendere giornalisti, artisti e intellettuali minacciati di censura, di qualunque orientamento fossero e da qualunque parte provenissero le minacce. Animatore del sito Articolo21 insieme al presidente Federico Orlando, è un punto di riferimento per chiunque voglia liberare l’informazione dalle troppe mani sporche e lunghe che la controllano. S’è battuto, fra i pochissimi, per una legge sul conflitto d’interessi che prevedesse la ineleggibilità dei titolari di concessioni televisive. Il Pd, comprensibilmente, dopo aver nominato Marco Follini responsabile informazione, l’ha silurato. Per fortuna, Di Pietro gli ha messo a disposizione le sue liste per proseguire la battaglia nella prossima legislatura. Lui ha aperto la campagna elettorale con una visita a Europa7, l’emittente di Francesco Di Stefano che non può trasmettere perché derubata delle frequenze dal 1999: «Tutti vanno a rassicurare Mediaset – ha detto provocatoriamente –, io vado a rassicurare Europa7».

Guadagno Vladimir «Luxuria» (Prc). Entrata in Parlamento con la fama di drag queen e dunque trattata come un fenomeno da baraccone nel Paese più ipocrita del mondo, ha saputo farsi valere, evitando di fossilizzarsi sulla materia della diversità, ma combattendo, in Parlamento e in televisione, per i diritti di tutti, con una competenza che chi vive di pregiudizi non avrebbe mai sospettato, ma che molti hanno dovuto riconoscerle, tardivamente, anche negli ambienti più lontani da lei.

Licandro Orazio (Pdci). Autore, come vedremo più avanti, dell’emendamento alla legge istitutiva della commissione Antimafia per escluderne almeno i parlamentari condannati (ovviamente bocciato dalla Camera), si è battuto in commissione Affari costituzionali per inserire nella legge sul conflitto d’interessi il concetto di ineleggibilità per i titolari di concessioni tv (proposta ovviamente respinta non solo dalla Cdl, ma anche dal resto dell’Unione).

Meloni Giorgia (An). Leader di Azione Giovani, vicepresidente della Camera a ventinove anni, non ha scontato nemmeno per un giorno il prezzo della prevedibile inesperienza, presiedendo con fierezza e autorevolezza l’aula di Montecitorio. Non usa l’auto blu da ben prima che si cominciasse a parlare di «casta». Ha aperto le feste dei giovani di An anche a personaggi lontanissimi da loro. Ha presentato proposte di legge per i giovani e per incentivare la natalità. Si è battuta per l’autodeterminazione del Sahara occidentale. Ha saputo dire parecchi no ai vertici del suo partito. Ha dichiarato di aver iniziato a fare politica a quindici anni grazie a Mani Pulite e alla lezione di Paolo Borsellino: non accade di frequente, a quell’età e in quel partito. Una delle poche donne che esisterebbero in politica anche senza quote rosa.

Mura Silvana (Idv). Tesoriera dell’Italia dei valori, si è opposta praticamente da sola (insieme al radicale Fabrizio Turco) al tentativo dei segretari amministrativi di tutti gli altri partiti di ripristinare il finanziamento pubblico dei partiti, dichiarato o mascherato dietro fantomatiche «fondazioni», e alla fine li ha costretti a ritirare una legge già bell’e fatta, con l’accordo bipartisan di destra e sinistra, facendo infuriare il cassiere Ds Ugo Sposetti. Nemica di sperperi, aumenti di stipendio, arrotondamenti di indennità, privilegi assortiti, ha firmato insieme agli onorevoli Buonfiglio e Alemanno di An una proposta decisamente alternativa, per tagliare i parlamentari, i ministri e i relativi emolumenti.

Napoli Angela (An). È l’altra mosca bianca di An: piemontese ma residente ed eletta in Calabria, è sempre stata in prima fila nella lotta alla ’ndrangheta e al malcostume nella regione. Ha difeso il pm di Catanzaro Luigi De Magistris dagli attacchi sferratigli da destra e sinistra (anche da An), pur se De Magistris l’aveva inquisita (e poi fatta archiviare) in un’inchiesta di qualche anno fa. Ha chiesto per prima le dimissioni di Totò Cuffaro, quando fu rinviato a giudizio e quando molti, anche a sinistra, facevano finta di nulla. Ha aderito alla proposta del Centro Lazzati di Lamezia Terme, animato dal giudice di Cassazione Romano De Grazia, che punta a togliere la possibilità di fare campagna elettorale ai presunti mafiosi sottoposti a misure di prevenzione.

Palomba Antonio (Idv). Magistrato in aspettativa, è uno dei pochi ex giudici che non hanno perso il senso dell’orientamento una volta entrati in Parlamento. Nella giunta per le elezioni della Camera, ha tenuto dritta la barra della legalità contro i continui assalti dei colleghi di destra e di sinistra per assicurare l’impunità ai membri della casta toccati da procedimenti giudiziari. E quasi sempre ha votato a favore dell’autorizzazione all’arresto e all’uso delle intercettazioni a carico di parlamentari. Particolarmente preziosa la sua opera in occasione del dibattito sulle telefonate inoltrate dal gip Clementina Forleo sulle scalate bancarie del 2005.

Prodi Romano (Pd). Ha sbagliato molto, a partire da quando non capitalizzò i 4 milioni e mezzo di voti delle primarie del 2005 facendo una sua lista e rinunciò a coprirsi le spalle dagli agguati dei presunti «alleati». Per proseguire con la scelta sciagurata di nominare Mastella ministro della Giustizia e di cedere alle pressioni dei partiti che gli imposero un governo di 102 fra ministri, vice-ministri e sottosegretari. Ma, grazie anche a Padoa Schioppa e Visco, ha avviato una seria lotta all’evasione fiscale e ha rimesso in ordine i conti dello Stato facendo revocare la procedura d’infrazione europea aperta contro l’Italia grazie allo sfascio berlusconiano. Poi, battuto in Parlamento, ha evitato compromessi al ribasso ed è uscito elegantemente di scena. Finora è l’unico leader del centrosinistra ad aver sconfitto (due volte su due) Berlusconi. Ci mancherà.

Rame Franca (ex Idv, poi Gruppo misto). Ha vissuto la sua esperienza in Senato come una missione, lottando come una leonessa per i princìpi in cui crede. S’è opposta all’indulto extra-large, ha avviato una campagna contro i privilegi della casta e gli sperperi della spesa pubblica. Ha partecipato alle manifestazioni contro la base Usa di Vicenza, contro il Tav in Valsusa e in difesa della libertà d’informazione. Ha preso a cuore – fra i pochissimi – il dramma dei soldati colpiti da tumore per l’uranio impoverito nelle missioni di guerra. Di Pietro l’avrebbe rivoluta in lista, ma lei, stanca e delusa, ha declinato. Peccato. Le dobbiamo tutti un grazie.

Salvi Cesare (ex Ds, ora Sinistra arcobaleno). È riuscito a far dimenticare il suo passato dalemiano e bicamerale con una campagna contro gli sprechi della casta (denunciati per primo nel libro I costi della democrazia, scritto a quattro mani con Villone, vedi sotto). Ha difeso i magistrati attaccati anche dai compagni, come De Magistris e la Forleo. Ha chiesto, insieme a Fabio Mussi, lo scioglimento delle giunte screditate e inquisite della Calabria, della Campania e della Sicilia. È stato fra i primi a scoprire gli effetti devastanti del famigerato «comma Fuda», che di fatto assicurava la prescrizione a tutti i reati contabili dinanzi alla Corte dei conti, poi cancellato in tutta fretta dal governo.

Sodano Tommaso (Prc). In controtendenza con il suo partito, Rifondazione comunista, troppo portato alle battaglie parolaie e inconcludenti, ha presieduto con competenza e rigore la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti in Campania, che già nella scorsa legislatura portò alla luce il ruolo ambiguo dell’Impregilo e del commissariato straordinario, presieduto anche da Antonio Bassolino, segnalando alla Procura di Napoli i reati per i quali, di recente, si è giunti a una trentina di rinvii a giudizio. Averne, di comunisti così preparati e rigorosi.

Tabacci Bruno (Rosa bianca). Nel 2005 è stato fra i pochi (anzi fra gli unici, nel centrodestra) a opporsi alle manovre del governatore di Bankitalia Antonio Fazio e ai tanti sponsor dei furbetti del quartierino, respingendo ogni tentativo di avvicinamento per ammorbidire la sua posizione sulla legge sul risparmio e sul mandato a termine del governatore. Critico da sempre sul conflitto d’interessi di Berlusconi, ne ha contestato la leadership, fino al punto di abbandonare l’Udc, mesi prima che Casini e il suo partito rompessero con la dittatura berlusconiana.

Vacca Elias (Pdci). Insieme al suo corregionale Palomba (sardo come lui), questo giovane avvocato alla prima esperienza parlamentare è stato un punto di riferimento nella giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, opponendosi a tutti i tentativi di impunità della casta. A volte votava a favore delle autorizzazioni, a volte contro, ma senza mai guardare in faccia «amici» e «nemici»: sempre secondo la legge e la coscienza. È stato relatore della pratica D’Alema a proposito della richiesta del gip Forleo sulle intercettazioni Unipol e, contro ogni pressione diessina, ha messo nero su bianco che il vicepremier non godeva di alcuna particolare immunità europea. Dunque i giudici di Milano potevano procedere senza chiedere alcun permesso a Strasburgo.

Villone Massimo (ex Ds, ora Sinistra arcobaleno). In tandem con Cesare Salvi, ha anticipato le denunce contro i privilegi e gli sprechi della casta politica, calcolando, nel libro scritto a quattro mani con il suo collega, che ormai, in Italia, vivono di politica 400mila persone, che costano alla collettività circa 4 miliardi all’anno. Anche lui ha chiesto le dimissioni dei governatori inquisiti del Sud, cioè Cuffaro, Bassolino e Loiero, e lo scioglimento delle rispettive giunte regionali.

Vizzini Carlo (FI). I lettori troveranno il suo nome anche nella lista degli impresentabili, a causa di una vecchia prescrizione per un pezzo della maxitangente Enimont. Ma, dopo quel brutto episodio di 18 anni fa, Vizzini s’è un po’ riscattato: da anni propone, unico in Forza Italia, la cacciata dal partito di tutti i personaggi collusi o chiacchierati. Sua la proposta, poi fatta propria dalla commissione Antimafia (di cui fa parte), di un codice di autoregolamentazione dei partiti per escludere dalle liste i condannati almeno nelle elezioni amministrative. Non è moltissimo, ma in Forza Italia Vizzini è un mezzo rivoluzionario.

Zaccaria Roberto (Pd). Già presidente della migliore Rai degli ultimi vent’anni, è stato uno dei più fieri avversari della controriforma costituzionale della Cdl, poi bocciata nel referendum del 2006, ma verso la quale molti anche nel centrosinistra manifestavano più di un’indulgenza. E, dichiarando in aula il proprio dissenso di costituzionalista, è stato uno dei pochissimi deputati ad astenersi, sulla legge Mastella che mirava a imbavagliare i giornalisti, impedendo loro di raccontare intercettazioni e atti di indagine. Approvata da una vastissima maggioranza bipartisan, si è poi fortunatamente arenata in Senato.



No al bavaglio Mastella

Il 17 aprile 2007, la Camera dei deputati vota sulla legge Mastella, sostenuta da tutti i gruppi parlamentari, nessuno escluso, per proibire ai giornalisti di pubblicare o anche soltanto raccontare per «riassunto» e nel «contenuto» intercettazioni e atti d’indagine (non quelli top secret, già proibiti, ma quelli non più coperti da segreto investigativo perché depositati alle parti) fino al termine dell’udienza preliminare, o – per il fascicolo del pm – addirittura fino alla sentenza di appello. I Sì sono 447, i No nessuno, gli astenuti e i non partecipanti al voto per espresso dissenso con la legge o con le sue parti più liberticide sono 9: Giuseppe Caldarola, Giuseppe Giulietti, Franco Grillini, Marisa Nicchi (Ds) Salvatore Cannavò (Prc) Enzo Carra, Roberto Zaccaria (Margherita) Tana de Zulueta, Roberto Poletti (Verdi).



Lista Libera Stampa

Ferdinando Adornato (FI): «Montanelli? È moderato immaginario pluridecorato al valor giornalistico con licenza di straparlare» («il Giornale», 29 marzo 2001).

Massimo Baldini (FI): «Il Fatto di Enzo Biagi si può eliminare: non serve a niente» (Ansa, 3 ottobre 2001 ).

Silvio Berlusconi (FI): «Il mio genio imprenditoriale l’ho utilizzato spendendo un mucchio di miliardi perché lui [Montanelli, nda] potesse scrivere sul “Giornale” quel che voleva. Ora lui spenda per me il suo genio polemico, scrivendo contro Scalfari e altri quel che può essere utile anche a me» (In una telefonata con Federico Orlando del 1993, riportata in Il sabato andavamo ad Arcore). «Quella di Biagi, Santoro e della Rai di Zaccaria è stato un attentato alla democrazia: mi hanno fatto perdere 17 punti in campagna elettorale» (Vertice internazionale di Caceres, Spagna, Ansa, 9 febbraio 2002). «In questi giorni la Rai ha cambiato i responsabili dei tg e delle reti. Tornerà finalmente a essere una tv pubblica, cioè di tutti, cioè oggettiva, cioè non partitica, cioè non faziosa come è stata con l’occupazione manu militari da parte della sinistra. L’uso che i Biagi, i Santoro e i... come si chiama quello là... ah sì, Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, è stato criminoso. Preciso dovere della nuova dirigenza Rai è di non permettere più che questo avvenga» (conferenza stampa a Sofia, 18 aprile 2002). «Sulle intercettazioni telefoniche introdurremo pene severe: cinque anni per chi le diffonde, e due milioni di euro di multa per gli editori che le pubblicheranno» (Ansa, 17 gennaio 2008). «Mi sono battuto perché Biagi non lasciasse la televisione, ma alla fine prevalse in Biagi il desiderio di poter essere liquidato con un compenso molto elevato» (Ansa, 18 febbraio 2008).

Michele Bonatesta (An): «Come volevasi dimostrare, nessuno ha fatto il favore alla sinistra di far fuori Enzo Biagi dalla Rai. Presentandosi come martire della libertà e del pluralismo dell’informazione nell’era del tiranno Berlusconi, egli si è assicurato l’intangibilità nei secoli dei secoli. Anche se gli italiani avrebbero dormito pure se Biagi non avesse più lavorato in Rai. E ora che Biagi non è stato epurato e che la tv pubblica non ha obbedito ai “diktat bulgari” di Berlusconi, come direbbero Giulietti o Falomi, di cosa parlerà l’opposizione? Come farà a liberare il cavallo di viale Mazzini? Vediamo una paurosa penuria di argomenti non propagandistici» (Ansa, 30 ottobre 2002).

Roberto Calderoli (Lega Nord): «Biagi e Santoro fanno le verginelle candide e rispondono a Berlusconi parlando di intimidazione del potere. Ma i veri potenti sono stati proprio loro per anni, dando vita a trasmissioni faziose, schierate dalla parte della sinistra contro la Lega e il Polo, senza dare diritto di replica e addirittura preparando trappoloni incresciosi, come avvenne nella puntata dedicata a Marcello Dell’Utri. Biagi sottolinea che dovrà essere il Cda a licenziarlo e non il premier. Per fortuna il contratto di Biagi è in scadenza e sarà sufficiente ai vertici Rai non rinnovarglielo» (Ansa, 19 aprile 2002).

Roberto Castelli (Lega Nord): «Qui ormai siamo alla commedia. Mi spiace che persone come Biagi abbiano venduto se stesse a una parte politica» (Ansa, 27 marzo 2001).

Massimo D’Alema (Ds): «Voi parlate di tremila euro, di cinquemila euro: ma li dobbiamo chiudere, quei giornali (che pubblicano atti di indagine, nda)... Ci sono stati episodi scandalosi in cui materiale senza nessuna attinenza con l’inchiesta è andato a finire sui giornali. E anch’io ne sono stato vittima » («la Repubblica», 29 luglio 2007).

Carlo Giovanardi (Udc): «Enzo Biagi ha 84 anni, leggo che il sindaco di Bologna gli ha offerto un incarico. Credo sia benestante, non mi sembra che sia discriminato. Francamente mi preoccuperei di più di quei tanti giornalisti di 20-30 anni che trovano le porte delle redazioni chiuse o non riescono a lavorare. Io credo che ci sia bisogno di professionalità nuove e non mi sembra straordinario che a quell’età siano state interrotte delle forme di collaborazione per far posto a professionalità più giovani» (Ansa, 18 agosto 2004).

Giorgio Lainati (FI): «Le parole di Biagi sono frutto di una incredibile carica di odio e livore personale che porta quello che è stato un autorevole e prestigioso giornalista italiano a manifestare un assoluto e irreversibile disprezzo per il capo del governo del proprio Paese» (Ansa, 5 giugno 2005).

Giuliano Ferrara: «Caro Biagi, non faccia il martire, ci risparmi la solita sceneggiata (...). Lei ha fatto campagna elettorale con i quattrini di tutti, anche degli elettori del centrodestra (...). Quando si sparge l’incenso conformista lei è sempre il primo. Spostare Il Fatto in un altro orario non sarà come violare una vergine o sgozzare un agnello sull’altare dell’informazione» (Giuliano Ferrara, lettera aperta a Enzo Biagi su «Panorama», 1° febbraio 2002). «Biagi è un mostro sacro degli affari suoi e un ipocrita» («Il Foglio », 23 maggio 2002).

Maurizio Gasparri (An): «Montanelli è stato un uomo sempre dalla parte di chi comandava: fascista durante il fascismo, antifasci- sta appena in tempo quando il regime stava cadendo, mantenuto da Berlusconi, adesso sta con la sinistra» (Ansa, 25 marzo 2001). Gasparri inserisce poi Enzo Biagi in una lista di personaggi «faziosi » dettata da lui e da altri esponenti del Polo al giornalista Daniele Vimercati nel programma Iceberg, su Telelombardia, il 26 marzo 2001. La lista di proscrizione comprende anche Santoro, Luttazzi e il Tg3 in blocco.

Giancarlo Gentilini (Lega Nord): «Gli alberi quando invecchiano si seccano e perdono il colore, vivacchiano. Montanelli è uno così. Il 13 maggio mi auguro di mandarli tutti in esilio, quelli del centrosinistra. Conquisteremo Roma per la seconda volta. Sarà una marcia su Roma» (31 marzo 2001).

Paolo Guzzanti (FI): «È così imbarazzante quest’odio personale di quest’uomo dalla penna facile e dalla vita lunga [Montanelli, nda] che si comporta come quei giovanotti della Belle époque che, avendo dissipato il patrimonio al casinò, dedicavano poi la loro vita a distruggere o deridere quella di chi li aveva sostenuti. E non parliamo di patrimoni di denaro, ma morali» («il Giornale», 16 febbraio 2001).

Agostino Saccà (FI): «La Rai depreca il fatto che un collaboratore autorevole dell’azienda come Enzo Biagi usi espressioni e toni offensivi nei confronti di un giornalista, quale Fabrizio Del Noce, stimato da sempre per la sua indiscussa attività professionale e che ora è stato chiamato dal consiglio di amministrazione, su proposta del direttore generale, a dirigere una delle più importanti strutture editoriali dell’azienda stessa. Il presidente e il direttore generale esprimono solidarietà al direttore di Rai1 Fabrizio Del Noce, confermandogli la stima e la fiducia da sempre riposta in lui» (24 maggio 2002).

Claudio Scajola (FI): «Montanelli fa il critico di Berlusconi per motivi di senilità» (Ansa, 22 aprile 2001).

Walter Veltroni (Pd): «Il divieto assoluto di pubblicare tutta la documentazione relativa alle intercettazioni e delle richieste e delle ordinanze emesse in materia di misura cautelare fino al termine dell’udienza preliminare e delle indagine serve a tutelare i diritti fondamentali del cittadino e le stesse indagini» (Ansa, 16 febbraio 2008).

domenica 30 marzo 2008

Antonio Ingroia


Sulla scia virtuale dei post in cui ho riportato gli articoli di Elio Veltri e Roberto Saviano a riguardo della collusione delle criminalità organizzate con la politica, vi propongo adesso un articolo di Antonio Ingroia, Sostituto Procuratore presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Per chi non lo conoscesse (ahimè), Ingroia si è occupato di numerosi e delicati processi di mafia, essendo stato pubblico ministero, tra gli altri, nel processo Dell'Utri e nel processo Contrada. Per presentarlo forse basterebbe dire che è stato stretto collaboratore di Paolo Borsellino. A seguire aggiungo anche una sua intervista rilasciata al quotidiano "La Stampa" in cui discute del caso De Magistris, indice della crisi dello Stato di diritto e delle pressioni esercitate da poteri occulti sui magistrati.

L'intervento di A.Ingroia sull'evoluzione della mafia e il suo nuovo rapporto con le istituzioni:

“Della mafia ci sono narrazioni fuorvianti, mistificate e semplicistiche. Penso ad esempio alle numerose fiction televisive, che non rendono un buon servizio ai cittadini. La storia della mafia è storia di verità negate. Penso alle stragi di mafia, le quali sono in gran parte impunite. O non sufficientemente punite. Nella migliore delle ipotesi si sono scoperti gli esecutori materiali e gli organizzatori, ma non si è individuata la trama più complessa. Quella trama che permette di individuare le menti delle operazioni, di mettere in fila i singoli episodi stragisti, di percepire il filo che li lega al di là delle singole contingenze.
E qual è verosimilmente questa trama? Una classe dirigente – e la mafia è parte della classe dirigente siciliana – che ha contrattato, usando la violenza, spazi di potere, autorevole, potere centrale.
La “trattativa” tra mafia e Stato è una costante, viene da lontano. Possiamo dire che lo stragismo mafioso, fin dalle origini della prima Repubblica, ha a che fare con una lunga e costante trattativa che ha per oggetto la spartizione del potere sul territorio. La mafia è un fenomeno interclassista: i suoi cervelli sono spesso appartenenti alla buona borghesia. Non è un caso che tra i capi famiglia o capi mandamento di cosa nostra vi siano stati medici, ingegneri, avvocati, professionisti, politici. E non sorprende che la “borghesia mafiosa” abbia avuto un ruolo fondamentale nel dettare le strategie militari della mafia stragista. E’ dunque un’intollerabile semplificazione parlare oggi, di fronte ai pur importanti risultati raggiunti sul piano repressivo, cioè la cattura di molti boss, di crisi della mafia o di mafia in ginocchio. Non solo i dati investigativi di cui può disporre un magistrato come me, ma i dati che sono sotto gli occhi di tutti ci dicono al contrario che siamo di fronte ad una fase di trasformazione del sistema di potere mafioso. Una trasformazione che passa anche attraverso l’esaurimento della fase precedente, incentrata sulla logica della trattativa e della contrapposizione violenta per la conquista di spazi di potere, la cosiddetta “fase corleonese”.
La storia dei Riina, dei Provengano, dei Bagarella, cioè dei capi più sanguinari dell’organizzazione mafiosa, è solo una parentesi in una storia lunga varie generazioni. È una fase che ha avuto un inizio e una fine. Una fase che ha avuto un esito fallimentare dal punto di vista dei protagonisti, i quali sono tutti in galera, seppelliti da numerosi ergastoli. Ma non del tutto negativo sul piano generale, dal punto di vista degli interessi dell’organizzazione mafiosa, perché le ha consentito di superare un periodo di crisi e di difficoltà, traghettandola in una nuova fase, l’attuale, che in parte è di ritorno al passato. Non c’è più il delirio di onnipotenza antagonista che aveva caratterizzato l’azione di Riina, poi superato da Provenzano, il quale secondo le risultanze più attendibili è uno dei registi della “trattativa”.
Oggi la mafia è mafia degli affari e della finanza. Questa mafia, è vero, attraversa una fase di difficoltà sul piano militare e del controllo del territorio, come pure sul piano internazionale (la ‘ndrangheta, per esempio, oggi è più forte di cosa nostra nei traffici internazionali di droga). E tuttavia ha conquistato una maggiore capacità di investimento dei capitali illeciti. Cosa nostra investe di più e meglio rispetto a venti anni fa, quando investiva soprattutto in beni immobili. Come notava già Falcone, la mafia è entrata in Borsa negli anni ottanta. E in Borsa ci è rimasta investendo e ricapitalizzando sempre meglio gli immensi flussi di denaro. Per questo è più stretta la dipendenza dai consulenti, dai professionisti della “borghesia mafiosa”, la quale oggi ha un ruolo strategico molto più forte.
Ecco perché, se possiamo stare più tranquilli sul piano dell’ordine pubblico, siamo invece in una fase più insidiosa, poiché si è rafforzata la capacità di inquinamento della politica e dell’economia.
Dare messaggi tranquillizzanti è sbagliato. La mafia non è affatto alle corde. Semmai è il momento di rilanciare con decisione l’azione di contrasto, anche repressivo.
E qui i nodi vengono al pettine: il rapporto fra mafia e politica è, prima di tutto, la promiscuità fra mafia ed economia. I voti della mafia servono alla politica, i soldi della mafia servono all’economia. In tempi di globalizzazione dei mercati è in corso un processo di integrazione e globalizzazione dell’economia mafiosa.
Ma una mafia che non spara, limitandosi a fare affari, è forse più accettabile? Inutile dire che così non è, ma occorre incidere su un clima di diffusa acquiescenza e indifferenza rispetto a questo problema. L’altra domanda che non si può eludere è questa: possiamo edificare un futuro credibile per il nostro Paese senza fare i conti con le verità negate delle stragi mafiose che stanno alla base sia della prima (Portella della Ginestra), sia della seconda Repubblica (biennio stragista 92-93)?
Personalmente non credo molto alle verità emergenti dalle commissioni parlamentari. Tuttavia è un dato di fatto inquietante che mai si è pensato di costituire una commissione parlamentare con il compito di indagare sul biennio stragista e sulla “trattativa”. Io non credo che si possa costruire una repubblica dalle fondamenta solide se non si fa chiarezza sul sangue delle stragi del 92-93 e sulla trattativa fra cosa nostra e pezzi dello Stato.

Mi si domanda con quale stato d’animo, da uomo dello Stato, io viva questo impegno di magistrato antimafia, se una parte dello Stato è colluso con la mafia. E rispondo: io credo che si possa operare anche dentro uno Stato che ha tali connivenze e timidezze nei confronti della mafia, innanzitutto con un senso di consapevolezza di fondo che la questione del confronto fra mafia e antimafia non è uno scontro fra Stato e antistato. L’impostazione di rappresentare la mafia come qualcosa di estraneo allo Stato, nella logica del rapporto fra guardia e ladri, è vecchia e fuorviante. Non essere lucidamente consapevoli che la mafia ha forte capacità di infiltrazione nello Stato espone al rischio di inevitabili fallimenti. Noi però dobbiamo guardare anche fuori dallo Stato, alle componenti sane della società che sono ugualmente fondamentali, certo in una prospettiva di non breve scadenza, per la costruzione di qualcosa di nuovo.

Certo, l’azione repressiva non basta, occorrono serie riforme legislative. Se mi si chiede un parere sulle priorità, provo a rispondere in questo modo.
1 – I tempi della giustizia sono intollerabilmente lunghi. Soltanto con una giustizia efficiente si può sperare di ottenere risultati sul fronte repressivo e di conquistare la fiducia dei cittadini. Fino ad ora nessun governo ha fatto qualcosa di serio per incidere su questo problema.
2 – Il Testo Unico delle norme antimafia: se ne discute da decenni, credo che sia ora che il nuovo Parlamento – se c’è la volontà politica di farlo – si assuma la responsabilità di aggiornare e unificare tutto lo strumentario normativo antimafia che ormai è vecchio e superato. Per esempio tutta la normativa in materia di riciclaggio e di contrasto all’economia mafiosa è assolutamente insufficiente e inadeguata, ed è il motivo per cui in Italia ci sono pochissimi procedimenti per riciclaggio.
3 – Nel Testo Unico andrebbe riformulata tutta la gestione dei beni confiscati, con l’istituzione dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati.

Ma al di là delle pur necessarie riforme normative, occorre ritrovare la volontà collettiva di fare verità e giustizia, a cominciare dalle stragi di mafia, perché senza questa volontà collettiva, come dimostra la storia dell’antimafia, neanche la magistratura riesce a scoprire la verità sui fatti stragistici. Tutti i momenti nei quali si sono raggiunti dei risultati sul piano giudiziario sono stati momenti di conquista collettiva, il frutto di un ampio movimento di opinione, di pressione. Senza volontà collettiva non c’è verità e giustizia; senza verità e giustizia siamo di fronte a una società che non ha futuro.”


L'intervista per "La Stampa" sul caso De Magistris:

Dottor Ingroia, cosa rappresenta, per lei, il caso De Magistris?
«Il caso in cui, nella maniera più emblematica, si sono evidenziati i guasti della riforma Mastella dell’ordinamento giudiziario».

Si riferisce alla richiesta di trasferimento?
«Non solo. Ha contribuito a incrementare un clima “pesante” attorno all’azione della magistratura, creando condizioni ostili all’autonomia e indipendenza della magistratura. Il provvedimento di avocazione, che ha tolto l’indagine al collega De Magistris, è un provvedimento che in altri tempi avrebbe incontrato ben altre resistenze e critiche. Evidentemente, i tempi sono cambiati».

Qual è la sua analisi in merito?
«Definirei il caso De Magistris come una vicenda emblematica di quel che accade quando un magistrato si ritrova, isolato e sovraesposto, a gestire un’indagine estremamente complessa e delicata su un grumo di intrecci, di interessi leciti e illeciti, riferibili a soggetti e ambienti diversificati, sul crinale dove s’incontrano i versanti criminali con i versanti politici e istituzionali. Come spesso accade nei territori dove operano sistemi criminali integrati. E mi riferisco, ovviamente, ai sistemi criminali riferibili alla mafia in Sicilia e alla ‘ndrangheta in Calabria».

Come giudica la posizione dell’A.N.M. rispetto al caso De Magistris?
«Timida e inadeguata. In generale, soprattutto preoccupata di far apparire il governo Prodi meno ostile nei confronti dell’autonomia e indipendenza della magistratura del governo Berlusconi».

Che mi dice dei “poteri occulti”? Influenzano la nostra democrazia?
«Purtroppo sì. Il connubio tra poteri occulti e mafia è il famoso “gioco grande” sul quale stava lavorando Giovanni Falcone. E sul quale probabilmente è morto: e i veri mandanti della strage di Capaci, in fondo, non sono mai stati trovati».

Può spiegarmi meglio cosa intende per poteri occulti?
«Intendo – genericamente – quell’intreccio fra poteri criminali, come il potere delle grandi organizzazioni criminali mafiose, e altri poteri. Intreccio che molte indagini degli anni passati, in Sicilia ma anche in Calabria, hanno messo in luce, per esempio, tra le mafie e spezzoni della massoneria, così come con settori della destra eversiva o di ambienti politico-istituzionali, compresi appartenenti ad apparati dello Stato deviati».

Quanto incidono nella magistratura?
«Non è facile rispondere. In passato, ai tempi di Falcone e Borsellino, la magistratura, soprattutto i suoi vertici, era spesso fortemente condizionata dai poteri occulti. Negli ultimi anni si sono fatti grossi passi avanti anche per la maggiore autonomia e indipendenza che la magistratura ha conquistato. Ecco perché è importante difendere lo status di autonomia e indipendenza della magistratura. Se si fanno passi indietro su questo fronte, rischiamo di ripiombare nel passato più buio della nostra democrazia (...)».

Su questi argomenti, che paiono in qualche modo pressanti, è stata mai aperta una discussione all’interno dell’A.N.M.?
«L’A.N.M. attraversa una grave crisi di rappresentanza, che è poi la stessa crisi della politica, la stessa sensazione di scollamento fra rappresentati e rappresentanti. Il dibattito interno all’A.N.M. su questo punto è aperto e la parte più sensibile a questo problema lo ha avviato con interventi interni e pubblici. Ma l’A.N.M. è ancora ben lontana dall’avere superato questa crisi».

Quanto è credibile l’ipotesi che i “poteri occulti”, secondo lei, abbiano agito, indirizzando la vicenda De Magistris?
«L’indagine di De Magistris, per quanto abbiamo potuto apprendere, andava ben al di là di ciò che è divenuto più noto. Ben oltre quindi le intercettazioni di Mastella o l’iscrizione di Prodi nel registro degli indagati. Penso che il cuore dell’indagine fosse proprio l’intreccio tra poteri criminali e altri poteri sul territorio. Credo che il suo caso non possa essere affrontato se non si tiene conto della realtà in cui De Magistris, spesso in solitudine istituzionale, ha operato. (...) E’ certo, però, che De Magistris s’è messo contro certi poteri, ed è altrettanto certo che la reazione nei suoi confronti è stata forte ...».

Una delle accuse, per De Magistris, è stata quella di aver parlato in tv. Lei che ne pensa? Purché non entrino nel meritò delle indagini, i magistrati possono parlare?
«Prendiamo, per esempio, il rapporto tra Paolo Borsellino e la stampa: appartiene alla storia del nostro Paese. (...) Ricordo un’intervista storica: volle lanciare l’allarme sul calo di tensione nella lotta alla mafia. (...) Sono passati tanti anni. E credo sia stato conquistato il diritto, da parte della magistratura, d’intervenire. Fermo restando il riserbo sul contenuto delle indagini».

Parliamo dell’avocazione di Why Not a De Magistris.
«De Magistris la definisce illegittima, io la definisco impensabile. (...) La mia sensazione è che noi ci siamo trovati in una situazione in cui l’autonomia e l’indipendenza, interna ed esterna, è arrivata a un punto di rottura. Davvero siamo in un momento di crisi dello Stato di diritto».


venerdì 28 marzo 2008

Mafia? Mai sentita dire.

I programmi dei partiti (tutti) sorvolano sulla mafia. E non mi riferisco a quella delle fiction televisive e dei romanzi rosa. Parlo della mafia SpA (Ndrangheta, Camorra, Cosa Nostra, Sacra Corona Unita), la più grande multinazionale europea, con un fatturato valutato almeno 140 miliardi di Euro (Fonte Confesercenti; Procura nazionale antimafia, Commissione antimafia del Parlamento) che investe in 18 paesi del mondo e che a detta della relazione della Commissione antimafia del Parlamento sulla Ndrangheta (febbraio 2008), ha “colonizzato” Milano. La relazione lo dice perché sa che saremo pochissimi a leggerla, altrimenti non sarebbe stata approvata alla unanimità, e dopo averla letta non potremo fare nulla perché gli organi di informazione hanno per l’argomento un rifiuto maggiore dei politici.

D’altronde, negli atti del Parlamento da anni è depositato un documento della DIA (Direzione investigativa antimafia) che indica il numero degli affiliati in 1.800.000, mentre le televisioni parlano di 10-15 mila affiliati e secondo diverse fonti attendibili il patrimonio consolidato delle mafie ha un valore di 1000 miliardi, un po’ meno del debito pubblico. Dell’argomento si occupano cattedre di prestigiose università, il Senato degli Stati Uniti, l’Onu, l’Unione Europea. Ma i politici italiani promettono: diminuzione delle tasse, maggiore sicurezza sul lavoro, riduzione del precariato e più posti di lavoro, pur sapendo che gli investitori di altri paesi da noi non investono i loro capitali perché abbiamo in casa una delle cinque mafie più potenti del mondo, ma anche la più rispettata perché ha fornito alle altre culture modelli di comportamento ed esempi rari di accordi con la politica, con l’economia e la finanza. Quindi, i programmi e i comizi elettorali, anche televisivi, sono falsi perché oltre il 40 per cento della ricchezza prodotta è illegale e criminale e non paga né tasse né contributi. Il silenzio serve anche a convincere i cittadini, che il problema rimane confinato alle quattro regioni meridionali, nonostante MAFIA SpA ricicli e investa il denaro principalmente da Roma in su e all’estero.

IL Senatore Kerry ha titolato il suo rapporto al Senato degli Stati Uniti ”The new war”, quella contro il crimine organizzato che è uscito vincente dalla globalizzazione, dall’uso di Internet, dalla caduta delle frontiere. Luise I. Shelley, direttore del Transnational Crime and Corruption della Università di Washington ha osservato:” la criminalità transnazionale sarà per i legislatori il problema dominante del ventunesimo secolo, così come lo fu la guerra fredda per il ventesimo e il colonialismo per il diciannovesimo”. Se ne sono accorti tutti tranne i nostri leader politici e i nostri organi di informazione.

Poiché da mesi leggo sull’argomento libri e documenti mi sono chiesto il perché di tanto silenzio, interrotto solo da due intellettuali, Sartori e Saviano, che hanno intuito il problema ma non sono entrati nel merito più di tanto. So bene che qualche altro giornalista ogni tanto ne scrive, ma purtroppo per chi scrive e per noi, non provoca dibattito, perché se il dibattito occupasse le trasmissioni tv si dovrebbe chiedere lo scioglimento di consigli comunali del Nord Italia, con una attenzione particolare al comune di Milano, e, soprattutto, si dovrebbe dire che la legge sulla confisca dei beni non funziona, che i paradisi fiscali andrebbero posti sotto embargo, che le banche italiane non dovrebbero aprirvi sedi e che non dovrebbero farlo nemmeno le società quotate in borsa. Inoltre banche e società finanziarie con tracce di denaro criminale andrebbero punite almeno con la sostituzione dei dirigenti e va da sé che analoga misura dovrebbe riguardare tutti gli uomini politici coinvolti. Quindi, in un paese come il nostro, non si può.

Ma, tornando alle domande, credo che le uniche risposte possibili siano queste:
1) I dirigenti dei partiti sanno, ma non hanno il coraggio di aprire una voragine dagli esiti imprevedibili. Quindi si comportano come se non sapessero, per viltà.
2) I dirigenti dei partiti sono collusi direttamente o per interposte persone. Come lo fu Andreotti a suo tempo.
3) I dirigenti dei partiti sono ignoranti perché presi dal teatrino della politica e sensibili solo all’informazione televisiva. Il che significa che si circondano di persone che sanno meno di loro;
4) I dirigenti dei partiti sanno, sottovalutano il problema e pensano di evitare il terremoto della verità perché per la durata dei loro incarichi ci penserà lo stellone.

Se il professore americano e con lui tanti altri (ho letto il libro del prof. Masciandaro, docente alla Bocconi e consulente dell’ONU, “La farina del diavolo” del 2000(!), che nella bibliografia riporta 32 voci di autori per la pubblicazione di oltre 50 volumi) avranno ragione, i dirigenti dei nostri partiti un giorno o l’altro saranno processati perché i nostri figli e i nostri nipoti saranno costretti a lavorare con imprese criminali e chissà in quanti lo fanno già senza saperlo. Saranno processati anche se furbescamente delegando il problema alla magistratura e alle forze dell’ordine pensano di potersene lavare le mani. Ma, una classe dirigente che delega il maggior problema politico del paese e ne fa un problema di ordine pubblico, prima o dopo deve pagare il conto.

Elio Veltri

mercoledì 26 marzo 2008

La politica vista da Roberto Scarpinato

In Italia conviviamo con una classe politica strana. O meglio, sconcertante. Ripercorrendo la storia degli ultimi anni, da Tangentopoli sino a arrivare ai giorni nostri, ci si accorge dei danni che hanno arrecato, delle imposture che ci hanno propinato, annichilendo i pochi che ancora vivono la politica come ispirazione e dedizione verso coloro che si vuole rappresentare. La "casta", come è stata appropiatamente definita, è tale di fatto: sempre più lontana dalle persone normali, dai loro problemi, si riempie la bocca di promesse, ma intanto opera solo per acquisire e mantenere sempre più potere e controllo.
La speranza di una nuova stagione per la politica nostrana è sempre maggiore, ma francamente, allo stato attuale delle cose e nonostante timidi tentativi, sembra ancora lontana.

Illuminante per capire meglio come e da chi siamo stati governati, è la descrizione che Roberto Scarpinato, magistrato di Palermo (per la precisione è Procuratore Aggiunto a Palermo), fa con molta chiarezza e profondità, del teatrino politico italiano. Il video è tratto dalla conferenza per la presentazione del libro "Mani Sporche" (che invito caldamente a leggere a chi fosse interessato alla storia della nefandezze della classe politica degli ultimi anni) di Gomez, Travaglio e Barbacetto.

Il filmato dura molto ma consiglio vivamente di vederlo. Nella prima parte è presente anche l'intervento di David Lane, corrispondente per l'Italia dell'autorevole giornale britannico "The Economist".

P.s. A breve posterò un compendio dei "migliori" exploit giudiziari dagli anni 70 a oggi dei nostri "dipendenti". E' sempre bene arivare informati e preparati alle nuove elezioni

Per vedere il filmato di R.Scarpinato andate qui per il video.

lunedì 24 marzo 2008

Carta Canta


"Guardi, l'unica scelta che mi dispiace nelle nostre liste é la figlia di Totò Cardinale. Io l'ho saputo solo a cose fatte" (Walter Veltroni, Corriere della sera, 11 marzo 2008)
"Ciarrapico? Fosse dipeso da noi... ma non è stata una nostra scelta" (Gianfranco Fini, Apcom, 10 marzo 2008)

Da laRepubblica del 21/3/08

"Tutti coloro che sono entrati nel Pdl vogliono che non sia solo una lista elettorale, ma un partito unico che rappresenti i liberali e i riformisti" (Silvio Berlusconi, Adnkronos, 8 marzo 2008).
"Il tassista che paralizzò Roma candidato con il Pdl. Nel Lazio arriva Loreno Bittarelli, presidente della cooperativa radiotaxi 3570, il caporivolta che guidò le manifestazioni dei taxisti contro le liberalizzazioni di Bersani" (ilmessaggero. it, 8 marzo 2008).

Da laRepubblica del 18/03/08

"Il programma di Veltroni è una fotocopia del nostro". (Silvio Berlusconi al Tg4, Ansa, 18 febbraio 2008).
"Il loro programma è solo carta straccia". (Silvio Berlusconi a proposito del programa di Veltroni, facendolo platealmente a pezzettini durante un comizio, repubblica. it, 8 marzo 2008).

Da laRepubblica del 17/03/08

"Quando avevo vent'anni lasciai che la mia ragazza abortisse. E poi fui complice di altri due aborti. Oggi avrei tre figli, sarebbero tre uomini fra i 35 e i 25 anni"
(Giuliano Ferrara, 28 febbraio 2008).
"La mia lista contro l'aborto arriverà all'8 per cento e anche di più in Lazio e in Lombardia" (Giuliano Ferrara, Corriere della sera, 14 febbraio 2008).
"Le mie liste prenderanno il 6-7 per cento in tutte le regioni in cui si presenteranno" (Giuliano Ferrara, Rai3, 17 febbraio 2008).
"Abbiamo tra il 4 e il 6 per cento" (Giuliano Ferrara, Il Giornale, 28 febbraio 2008).
"Si va verso un accordo con il Pdl" (Giuliano Ferrara, Il Giornale, 17 febbraio 2008).
"Corriamo da soli" (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 28 febbraio 2008).

Da laRepubblica del 05/03/08

Tutte le citazioni vengono dalla rubrica "Carta Canta" di M.Travaglio su Repubblica

domenica 23 marzo 2008

M.Travaglio a Firenze

Vi segnalo che il giornalista M.Travaglio sarà a Firenze, ecco l'annuncio completo:
1 aprile, Firenze - Incontro con Marco Travaglio e Piercamillo Davigo. Teatro Cantiere Florida, via Pisana 111 - ore 21

Io salvo problemi dell'ultimo minuto, dovrei esserci.

sabato 22 marzo 2008

Nessuno vincerà le elezioni

Vi posto un articolo di Roberto Saviano, autore di "Gomorra", libro che non ha bisogno di presentazioni (spero), con cui ha ottenuto un biglietto di sola andata per non tornara più a casa, vivendo difatti attualmente sotto scorta lontano da Napoli. Saviano ci illustra ancora una volta e con disarmante consapevolezza come la politica italiana sia intrecciata a doppio nodo con le Organizzazioni criminali, quelle degli "uomini d'onore", di cui non parla quasi nessuno. Questo semplicemente perchè hanno smesso di far valere le proprie ragioni a suon di plateali omicidi (basti pensare all'assassinio di G.Falcone: un intero tratto di autostrada sventrato per l'esplosione), servendosi invece di mezzi più sottili e in definitiva più efficaci. "La più grande impresa italiana", come è stata inquietantemente definita, opera come un parassita, in simbiosi col suo organismo. E questo presuppone che non sia solo lei a riceve benefici da questo rapporto alla pari. La lettura del pezzo chiarirà molte cose.
Voglio solo aggiungere che ora più che mai si sente la necessità di uomini forti nelle istituzioni, che sappiano levare la voce con fermezza per dire "basta!", ma siccome questa è una mera utopia (l'esperienza decennale di mal-governi ci può fare solo sorridere, o piangere, all'idea) forse dobbiamo smettere di rivolgerci con fiducia a chi ci dovrebbe rappresentare, e cominciare anche a contestare, senza demagogie, ma con fatti e memoria, questi politicanti in cerca, alla fine, solo di altro potere.
In sostanza quello di cui abbiamo bisogno sono persone informate. Noi dobbiamo alzare la voce quando è necessario.

Nessuno vincerà le elezioni*


Se un voto si compra con cinquanta euro, nessuno vincerà le elezioni in Italia.

Nessuno. Perché finora tutti sembrano ignorare una questione fondamentale che si chiama “organizzazioni criminali” e ancor più “economia criminale”.

Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l’equivalente di cinque manovre finanziarie.

Il titolo “La mafia s.p.a. è la più grande impresa italiana” fece il giro di tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha parlato ancora.

E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.

Non le vincerà nessuno, queste elezioni.

Perché se non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro.

Indipendentemente da quale schieramento governerà il paese.

Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi gli schieramenti.

Non c’è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un’arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino l’emigrazione verso l’estero. E’ cosa risaputa ma che nessuno osa affrontare.

Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli uffici comunali.

Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno.

Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo.

Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click.

Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato.

Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro.

Quasi come al tempo di Achille Lauro, l’imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria.

Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo.

La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina.

Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata.

Dagli italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica.

Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi.

Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell’arco di una campagna elettorale.

Ma nel vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie prevalgono poteri incompatibili con una democrazia avanzata.

E’ una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa?

O dove dal ‘92 a oggi, le organizzazioni [criminali] hanno ucciso più di 3.100 persone?

Più che a Beirut?

Se vuole essere davvero nuovo, il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non scenda a compromessi per paura di perdere.

Il governo Prodi è caduto in terra di camorra.

Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l’inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini.

Personaggi sconosciuti all’opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata.

Nel frattempo il governo ha permesso al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella gestione dell’emergenza rifiuti.

E non ha capito che quella situazione rappresenta solo l’esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo scacco.

Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a scagionarlo dall’accusa di essere lui stesso un mafioso vero e proprio.

La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese intero.

Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani cattolici i cui voti non sempre vanno al centrosinistra.

Anche questi elettori dovrebbero pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di difendere il proprio interesse.

Pretendano gli elettori di centrodestra che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie imprenditoriali.

E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all’Italia ferita dalle stragi di mafia: “Questo popolo ... talmente attaccato alla vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte ... Mi rivolgo ai responsabili ... Un giorno verrà il giudizio di Dio”.

Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze.

È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa.

Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno più forte che possiedo.

Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro.

Tentare di impedire che il chiasso delle polemiche distolga l’attenzione verso problemi che meno fanno rumore, più fanno danno.

O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso resta nelle mani di un intellettuale.

Credo sia giunto il momento di non permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli.

Che futuri ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non accontentarci.

Nel 1793 la Costituzione francese aveva previsto il diritto all’insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il diritto alla non sopportazione.

A non svendere il proprio voto.

A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce pagata per qualche mese.


*Di R.Saviano, la Repubblica 15/03/08

venerdì 21 marzo 2008

Piersilvio Airways

Super aggiornamento, scusate se non è farina del mio sacco, ma lo studio richiede tempo (sottratto al blog).


Quand’erano un filo più giovani, i due figli di primo letto Marina e Piersilvio servivano al Cainano per giurare il falso sulle loro povere teste. Ora che son cresciuti, vengono adibiti agli usi più disparati. C’è da sistemare una precaria? Che problema c’è, se la sposa Piersilvio (il poveretto non viene nemmeno consultato sui suoi gusti sessuali). C’è da salvare l’Alitalia? Ghe pensi mi, «ci sono i miei figli pronti a rilevarla, insieme a Toto e Banca Intesa». Purtroppo Toto ha già perso la sua chance.


Mentre Banca Intesa, non avendo legami di parentela con la famiglia Berlusconi (ma solo cospicui crediti con Forza Italia e con Toto), ha subito smentito. I due incolpevoli pargoli, invece, non osano nemmeno fiatare.

Del resto papà lo conoscono bene: lui le spara così, a raffica, come gli vengono. Infatti, col venir meno della banca, nonno Silvio fa presente che «la cordata è sempre pronta», ma c’è una piccola postilla: bisogna trovare qualcuno che metta i soldi, che sarà mai. Di qui l’idea geniale: il governo Prodi potrebbe lanciare un «prestito ponte», prelevandolo dalle tasche dei contribuenti, per finanziare l’operazione. In Europa si ride di gusto, visto che le regole comunitarie vietano gli aiuti di Stato. Ancora qualche ora e il Cainano dirà di essere stato frainteso dai soliti comunisti.

Peccato, però, che sia finita così. Intanto perché una compagnia aerea denominata «Piersilvio Airways» («Air Marina» avrebbe ingenerato equivoci col trasporto nautico) non avrebbe guastato affatto, in alta quota. Poi perché il conflitto d’interessi berlusconiano languiva da qualche anno sulle solite cosucce tipo tv, giornali, radio, portali internet, banche, assicurazioni, calcio, cinema, processi penali, insomma poca roba. Inglobare anche una compagnia di bandiera nel gruppo del futuro premier avrebbe conferito al conflitto d’interessi un frizzante tocco di novità, al punto che persino Uòlter, forse, avrebbe dovuto occuparsene. Ma l’operazione Piersilvio Airwaiys avrebbe giovato soprattutto per un terzo motivo: avrebbe inaugurato una nuova via tutto italiana al «fare impresa». Un tizio, uno a caso, mettiamo Berlusconi, diventa presidente del Consiglio nel 2001 e si incarica di mandare definitivamente a picco un’azienda pubblica già cagionevole di salute. Per essere sicuro che non ne resterà più traccia, la affida nelle mani sicure della Lega e di An, che ci giochicchiano per l’intera legislatura con i loro leggendari supermanager. Si comincia con l’ex deputato leghista Giuseppe Bonomi, promosso presidente di Alitalia e rimasto celebre per aver sponsorizzato i mondiali di equitazione indoor salto a ostacoli, ad Assago (Milano), dove lui stesso si esibì in sella al suo cavallo baio. Poi Bonomi viene spedito alla Sea (Linate e Malpensa) e ad Alitalia arriva un fedelissimo di Fini: Marco Zanichelli. Ma subito Tremonti litiga con Fini: «Giù le mani da Alitalia, non c’è più una lira». Zanichelli, preso fra le risse di potere del Cdl, se ne va dopo appena 70 giorni, rimpiazzato dall’ottimo Giancarlo Cimoli, che aveva già fatto così bene alle Ferrovie. Il tempo di scortare la compagnia verso il burrone, poi anche lui leva il disturbo, con una modica liquidazione di 5 milioni di euro.

A quel punto, affondata la flotta, il Cainano se ne va in ferie per un paio d’anni. E al suo posto arriva gente seria, come Prodi e Padoa Schioppa che tentarono di riparare ai guasti suoi. Quando ce la stanno per fare, trovando Airfrance interessata a rilevare un bidone che brucia 1 milione e ha perso 15 miliardi in 15 anni, riecco l’Attila di Arcore che, travestito da Buon Samaritano, tenta di sabotare la trattativa con l’aiuto consapevole di Bobo Formigoni, Bobo Maroni e Morticia Moratti e l’aiuto inconsapevole dei soliti sindacati miopi. Dice che compra tutto lui, anzi «i miei figli», più il celebre Toto, naturalmente coi soldi degli altri: o delle banche, o dello Stato. Perché lui, com’è noto, è un imprenditore che si è fatto da sé, e anche un vero liberale.

Una compagnia della buona morte talmente inguardabile che perfino Bonomi, da Malpensa, prende le distanze e, sotto sotto, si tocca. Basti pensare che ­ come rivelava ieri sulla Stampa Minzolini ­ sul caso Alitalia il consigliere più ascoltato di Berlusconi è il deputato forzista Giampiero Cantoni, già presidente craxiano della Bnl, più volte inquisito e arrestato, dunque titolare delle giuste credenziali per occuparsi della faccenda: per esempio, un patteggiamento di 11 mesi di reclusione per corruzione (con risarcimento di 800 milioni di lire) e un altro di 13 mesi per concorso in bancarotta fraudolenta del gruppo Mandelli. Un esperto. È la via berlusconiana al risanamento. Chi si chiama al capezzale di un’azienda dalla bancarotta? Un bancarottiere. Per dargli un’altra chance.

Di M.Travaglio, l'Unità.it, 21/03/08

"Bei" Ricordi...*

Leggo ogni giorno sulla stampa dichiarazioni di stima e di nostalgia per Bettino Craxi. La capacità della gente di dimenticare è incredibile. Si rimpiange e si loda un uomo che ha trovato un modo di fare politica perverso; per anni, anche per via del socialismo alla Craxi, il nostro è stato un paese non di doppia, ma di tripla, di quadrupla morale, come in un perverso gioco di matrioske, di scatole cinesi: dentro la morale del codice penale c'era quella del partito, e dentro quella del partito c'era ancora quella della segreteria, con dentro quella del clan, chiuso attorno al padrone.
Un clan dove il percettore di tangenti, l'architetto Larini, portava il denaro nell'ufficio di piazza Duomo. E Larini era noto non come uomo di partito, ma come uomo della famiglia, amico personale del segretario di partito da lunga data. "Per quelle cose" si diceva nella direzione socialista "rivolgetevi a Larini".
E' facile dimenticare ma qui si esagera.
Nella sentenza di rinvio a giudizio, i giudici milanesi facevano un osservazione ovvia e valida nel tempo: "Impensabile che il segretario del partito non fosse informato delle tangenti versate da grandi aziende come Montedison". Ma il segretario del partito e il suo clan non si sognavano neppure di sottoporre questi finanziamenti al controllo del partito o della sua direzione.
Nel 1990 dal bilancio del partito risultavano entrate provenienti dai privati per 400 milioni di vecchie lire, ma dalle testimonianze rese ai processi dai dirigenti di aziende si arriva alla cifra di 42 miliardi, di cui solo la metà arrivano effettivamente dalle casse del partito.
Eppure i nostri leader moderati e anche di sinistra hanno continuato a riaffermare stima e fiducia in colui che fu segretario del Partito socialista e nel dare credito alla tesi che il suo processo e la sua condanna furono l'effetto di un'azione "a carattere essenzialmente persecutorio".
Insomma, l'intera Procura di Milano, una ventina di dirigenti di partito, una quarantina di imprenditori, si sarebbero messi d'accordo per inventare accuse "totalmente infondate".
Non sembra però dimenticabile la testimonianza di un banchiere, allora direttore della Banca nazionale del lavoro, che si era rifiutato di prestare 400 miliardi di lire al costruttore Ligresti. Craxi gli disse: "Ti abbiamo dato un impero, e ora ti rifiuti di fare quanto ti ho chiesto, per danneggiare me o perchè non capisci niente. Vai ad imparare come si fa il banchiere".

Da "Fatti nostri" di Giorgio Bocca, il Venerdì di Repubblica 21/3/08.
*Il titolo è mio.
Link al video di P.Ricca con Stefania Craxi (figlia di Bettino, militante nel Pdl, ovviamente.)

Silvio all'orizzonte

Avendo già vinto le prossime elezioni Silvio Berlusconi gioca a perderle. Se ne occupa ogni mattina, quando da via del Plebiscito escono i sondaggisti, gli infermieri, le ragazze, e lui resta finalmente solo. Il gioco consiste nell’assottigliare il vantaggio, dissiparlo il più possibile, scongiurare l’eventualità che dopo il 14 aprile sia di nuovo costretto a governare.

Ha cominciato esibendo il gesto dell’ombrello e raccontando un paio di barzellette sugli ebrei. Ha continuato elogiando la figura morale di Marcello Dell’Utri, suo candidato in Lombardia. Poi scegliendo con mano sicura Sergio De Gregorio silhouette degli italiani all’estero, e Giuseppe Ciarrapico, quello che celebra Mussolini e Andreotti. Lo ha candidato dicendo che non conterà proprio nulla, anche se porta voti, ottimo elogio della democrazia. Quindi ha messo in campo la sua coppia migliore: l’ex liberista Giulio Tremonti e l’ex ministro della Difesa Antonio Martino. Il primo schierandolo sul confine cinese a studiare dazi contro l’invasione dei musi gialli. Il secondo su quello interno iracheno dove ha intenzione di rispedire le truppe italiane per irrorare la nuova democrazia, a Baghdad.

Dopo la squadra, il programma. Alle ragazze precarie ha detto arrangiatevi, o al limite “sposatevi mio figlio che è miliardario”. Ai pensionati ha fatto gli scongiuri. Agli evasori fiscali un sorriso. Agli italiani l’augurio di prossimi sacrifici. A Veltroni ha detto che è la maschera dei comunisti. I quali hanno confezionato un programma copiato dal suo, ma anziché elogiarlo lo ha stracciato in pubblico. Ora ha lanciato l’allarme brogli, perché la sinistra è capace di tutto. Lui solo di vincere. Anche se preferirebbe tanto riposarsi sul lungolago, ha detto, in compagnia di chi sa lui. Ha ancora un mese per riuscirci.

Di Pino Corrias, dal sito "Voglio Scendere" Di Travaglio, Gomez e Corrias

domenica 16 marzo 2008

Basta accendere la tv

Prima di leggere vi invito a guardare questo filmato di M.Travaglio.


Basta accendere la tv.

Basta accenderla per rendersene conto.

Basta parlare con i ragazzi, con gli adulti.

Basta osservare il comportamento dei più giovani per vedere a tal punto sia arrivato il livello di stordimento e omologazione del pensiero e delle idee che la tv è riuscita a inculcarci nella testa.

Siamo totalmente immersi nel mondo delle “opinioni”, i fatti, la memoria non esistono quasi più. I giornalisti scompaiono e al posto loro spuntano gli “opinionisti” come funghi. Sono sempre di più e sono sempre più personaggi incredibili. Nel vero senso della parola: non sono credibili.

Se osserviamo un giorno qualsiasi il palinsesto dei programmi tv (non la domenica per carità, sarebbe come sparare sulla croce rossa) possiamo avere la fortuna di imbatterci sin da subito nei meravigliosi telegiornali delle varie reti, pubbliche e private, che ci propinano una serie di servizi a dir poco clamorosi. Con i dovuti distinguo. Se infatti incappiamo in Studio Aperto possiamo solo aspettarci servizi-gossip con sottofondi musicali, se per caso stiamo guardando il Tg1 o il Tg2 magari abbiamo la fortuna di gustarci un po’ di giornalismo all’anglosassone di Riotta, o un bel commento delirante su B.Grillo da parte di Mazza, dopodichè saranno servizi su quel che ha detto un politico quel tale giorno, sulla risposta totalmente opposta fornita dal politico della parte avversa e le varie reazioni degli schieramenti avversi. E via così senza capire assolutamente come stiano realmente le cose, con nessuno, conduttore compreso, che sia veramente documentato, dati alla mano, su ciò di cui si parla. Nessuno. Scomparsi i fatti. Restano le opinioni di destra e di sinistra. Chi ha ragione? Chi a torto? Vallo a sapere.

Proseguendo può succedere di imbattersi in quelle perle di giornalismo televisivo che ci regala il Tg 4, strumento di nota propaganda politica, che confeziona sempre i soliti tre-quattro servizi "tipo" e li ripropone ogni giorno a chi sta a casa, si spera solo a farsi una risata guardandolo: si parte con il discorso di uno di sinistra prontamente smentito da uno di destra, poi almeno un primo piano del CavalierNano devono farlo per via della "legge di Fede" che impone come un santino l’effige del padrone. Si può passare dunque a far sentire il solito discorso del Papa oppure mandare un po’ di cronaca nera, il più macabra possibile con questi CSI all’italiana che non ne azzeccano manco una, ma fanno tanta audience. E giungiamo quindi ad uno dei servizi più belli, in cui vengono intervistate sempre e dicasi SEMPRE, una dozzina di persone di varia estrazione sociale che ripetono tutte e all’unisono che con le tasse non ci si fa più, gli stipendi/pensioni sono basse, l’Euro è una maledizione perché i prezzi di tutti i generi di bisogno sono aumentati (mentre su l’onestà dei commercianti che li applicano non si discute). Il tripudio del pensiero unificato. Chiudiamo con gli stralci di bella vita mondana di qualche starlette televisiva che ha come unico problema nella vita quello di non avere il fidanzato o di essere paparazzata, facendo passare il messaggio che il migliore dei mondi possibili è quello della divetta televisiva . Celebrità e festini. Che esempio per tutti.

Vengono invece taciute le notizie, le inchieste non esistono più, non si può parlare di nessuna cosa se non c’è il contraddittorio. Anche quando non serve perché ciò di cui si sta trattando è assodato e non può essere smentito. Molta della tv che dovrebbe fare informazione ci propone questo spettacolo e il modo di pensare si adatta: nessuno adesso ha più torto su nulla. Nessuno ammetterebbe mai nulla. Tutti vogliono avere l’ultima parola. Tutti vogliono essere liberi di fare ciò che vogliono, nessuno di meritarselo. Nessuna costrizione, nessuna responsabilità personale. Il furbo vince, l’onesto è un tonto. La legalità e il lavoro non premiano, il divertimento è tutto. I soldi non bastano ma si mostra un’Italia ricca e grassa, capace di spese folli e abbuffate. Le vere, povere realtà (scusate il gioco di parole) le si fanno apparire come lontane, distanti, qualcosa con cui si può fare i conti con la propria coscienza magari cinque minuti prima di andare a letto, ma di fatto intangibili.

Se poi però si spegne l’apparecchio e si dà una occhiata a internet dove fortunatamente vige ancora una libertà totale di espressione, si scopre il risvolto della medaglia.

Si ritrovano i volti dei (veri) giornalisti eliminati dalla tv, gli “scomodi”.

Trovi le parole che ti fanno aprire gli occhi e ti ridanno nuovi stimoli.

Si può per esempio incappare in un articolo di illuminante sullo stato della Disinformatja operata dei media:

“Medici Senza Frontiere (MSF) pubblica oggi il nuovo rapporto sulle crisi umanitarie dimenticate dai media nel 2007. Il rapporto contiene la “top ten” delle crisi umanitarie più ignorate nel mondo e un’analisi realizzata in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia sullo spazio dedicato alle crisi umanitarie dai principali telegiornali della televisione generalista in Italia. Le dieci crisi umanitarie identificate da MSF come le più ignorate sono: Somalia, Zimbabwe, tubercolosi, malnutrizione infantile, Sri Lanka, Repubblica Democratica del Congo, Colombia, Myanmar, Repubblica Centrafricana e Cecenia.

L’analisi delle principali edizioni (diurna e serale) dei telegiornali RAI e Mediaset mostra, innanzitutto, un calo delle notizie sulle crisi umanitarie nel corso del 2007, che passano dal 10% del totale delle notizie (dato 2006) all’8% (6426 notizie su un totale di 83200). Di queste, solo 5 sono quelle dedicate alla Repubblica Democratica del Congo, dove il conflitto continua a infuriare nell’est del paese, e nessuna alla Repubblica Centrafricana, dove la popolazione è intrappolata nella morsa degli scontri tra gruppi armati, e dove lo scorso giugno un’operatrice umanitaria di MSF è stata uccisa in un attacco.

Una tendenza già riscontrata nei precedenti rapporti è quella, da parte dei nostri media, di parlare di contesti di crisi solo laddove riconducibili a eventi e / o personaggi italiani o comunque occidentali. Emblematici in questo senso sono la crisi in Somalia, cui si fa riferimento soprattutto in occasione di vertici politici cui partecipa il governo italiano o dell’omicidio di Ilaria Alpi; la guerra in Sri Lanka di cui si parla esclusivamente in occasione del ferimento dell’ambasciatore italiano; la Colombia che entra nell’agenda dei notiziari soprattutto per il sequestro di Ingrid Betancourt, in questo paese il conflitto tra governo, gruppi guerriglieri come FARC e ELN e gruppi paramilitari ha provocato la fuga di oltre 3 milioni di persone, portando la Colombia al terzo posto tra i paesi con il più alto numero di sfollati dopo Repubblica Democratica del Congo e Sudan. Alla tubercolosi, che ogni anno provoca due milioni di vittime, e a cui nel 2006 erano state dedicate solo tre notizie, nel 2007 i TG hanno dedicato 26 notizie, di cui tuttavia ben 15 sulla vicenda di un americano affetto da una forma di tubercolosi resistente ai farmaci che viaggiava in aereo tra Stati Uniti ed Europa.

Il Darfur, dove il conflitto tra il governo del Sudan e i diversi gruppi di opposizione armata ha provocato lo sfollamento di oltre due milioni di persone dal 2004, ha visto una copertura mediatica maggiore rispetto al 2006. Le notizie, tuttavia, erano soprattutto relative a iniziative di raccolta fondi e di brevi visite di personaggi celebri del mondo dello spettacolo.

Alla malnutrizione, che ogni anno uccide 5 milioni di bambini sotto i 5 anni, sono state dedicate solo 18 notizie, la maggior parte delle quali in relazione a generici appelli del Papa conto la fame nel mondo e alla campagna “Il Cibo non Basta” di MSF per promuovere l’utilizzo degli alimenti terapeutici pronti all’uso per combattere la malnutrizione infantile. All’AIDS, che uccide due milioni di persone ogni anno, 54 notizie.
Alla malaria, che ne causa una ogni 3 secondi, solamente 3.”

Interessante vero?

Sono stato ingiusto però. Non sono solo i video-notiziari i principali omologatori del pensiero di massa, anzi. Ho proprio dimenticato lo strumento principe per questo scopo: la pubblicità. E come scordarsela? Per chi accende la tv è un bombardamento continuo. Forse tale e tanta è la portata che talvolta non ci facciamo neanche più caso. E facciamo male. Questo articolo de l’Unità (non storcete subito il naso, qua la faccenda è apolitica) mostra bene alcuni messaggi che ogni giorno ci vengono lanciati dallo schermo:

“Avete mai notato che negli spot televisivi i benzinai sono quasi sempre dei virgultosi maschi sui quaranta, bianchi e mascelluti? Curioso, visto che nell'esperienza di tutti noi il benzinaio è quasi sempre non italiano, sovente extracomunitario o dell'est europeo. E avete notato che in pubblicità i bebé sono quasi sempre biondi (come quello inquietantissimo della Plasmon in cui a centinaia vanno gattoni verso il Sol dell'Avvenire, che è un pappetta)?

Bizzarro, poi, che ci siano pubblicità che si interrompono a vicenda e altre pubblicità che sembrano delle fiction: il primo caso riguarda le telepromozioni di cui sono infarciti moltissimi programmi, con conduttori e starlettes a magnificare improvvisamente prodotti del tutto improbabili, telepromozioni al cui termine partono altri spot; il secondo è il fenomeno della serializzazione, per cui hai l'immensa serie dell'ex vigile Christian De Sica alle prese coi telefonini, quell'altra con Bonolis che si ritrova in paradiso in nome di una nota marca di caffé, quell'altra con Mike & Fiorello che pubblicizzano anche loro le mitiche gesta di una società di telefonia (...ce ne sono altre, ma sopravvoliamo, come avrebbe detto un tempo Guzzanti Corrado).

Avete notato che le pubblicità dei salvaslip le mandano in onda, disgustosamente, sempre alle ore dei pasti? Avete notato che un tempo le pubblicità tendevano ad essere sempre più sofisticate, sia dal punto dell'immaginario visivo che da quello tecnologico, mentre ora il linguaggio si fa di giorno in giorno più diretto o, per meglio dire, elementare? Avete notato che gli spot delle automobili, in linea generale, tendono sempre al mistico, quasi al soprannaturale, in modo da insinuare nella mente dell'automobilista che ne va della sua stessa identità?E forse avete pure percepito che moltissime pubblicità - come quella recente di una nota marca di gelati - parlano continuamente della «creatività» proprio nel momento in cui stanno codificando la serialità industriale del prodotto che deve essere venduto? Ed è possibile che tutti quelli che hanno mal di testa, mal di pancia o che si lavano i capelli, usano il detergente intimo o il deodorante dell'ultima generazione siano sempre della media borghesia e non vivano mai e poi mai e poi mai in una borgata o in una periferia di quelle toste davvero, né sono di colore e difficilmente parlano un dialetto pesante? (Questo forse perché si ritiene che chi vive in borgata, o è di colore o si esprime in dialetto non ha il mal di testa, né il mal di pancia, né si lava i capelli e figuriamoci se usa un detergente intimo...).

Avete notato che il conduttore che sta per interrompere il programma dice sempre «andiamo in pubblicità», ove quell'«andare in» implica l'immersione in un universo parallelo, l'accettazione di un'altra verità, di un altro mondo?”

La parte sulle pubblicità delle automobili è impressionante, e sarà materia di riflessioni successive, comunque nel complesso il pezzo è esplicativo dei messaggi quasi “subliminali” che ci vengono somministrati. Ci ricordano che il marcato non ha un’etica e che pur di farti acquistare, acquistare, acquistare, farebbero qualunque cosa.

Anche rimbambirti. Anzi in questo ci riescono benissimo.




sabato 15 marzo 2008

Risposta a C.Gullotto

Ritrascrivo il commento aperto ad un post che mi è stato segnalato nel blog di Gullotto Chiara, e che francamente ritengo meritasse una risposta.


Ciao Gullotto Chiara,

io sono Federico Bertini uno di quelli che ha scritto sul suo blog dei post "impegnati" come li definisci tu. Anticipandoti che accetto le critiche al mio lavoro trovo che invece le calunnie gratuite, come dire che sono un lecchino, siano offensive e condannabili(si parlo di me anche se hai indirizzato in modo vago questo aggettivo nel post. Si capisce che ti riferivi a persone precise e io ne faccio parte).
Ti rispondo precisamente in modo da non essere frainteso:
- tu dici che abbiamo scritto post "impegnati" : guarda un po' io ritengo che bisogna coinvolgere le persone sempre maggiormente su questi argomenti invece di vivere nel "mondo delle fate", se tu li avessi letti per bene magari ti avrebbero interessato. Non ritengo invece che scrivere un diario personale o quello che ho in casa sia interessante o costruttivo. Queste sono scelte libere e io nel mio blog ho precisato sin da subito del perchè non avrei scritto nulla del genere: la mia vita privata è privata.
- dici che abbiamo "addirittura" fatto delle riflessioni serie: qui siamo un po' al paradosso; che dovevo scriverci? Cretinate? Argomento "impegnato" e riflessione stupida? mi spiace non siamo a Buona Domenica. Io mi sono attenuto a fatti e fonti precise e ritengo sia l'unica cosa logica che potevo fare.
- dici che per prendere 30 abbiamo fatto finta di "essere impegnati": ma a te chi te lo ha detto? Li hai letti i post? Mi sembra di no visto quello affermi. Se avessi fatto finta avrei scritto delle idiozie e sarei stato sbugiardato da risposte serie ai miei post non da un discorso del genere come fai Tu.

Fortunatamente internet è ancora un posto libero in cui sia io che Te possiamo dire quello che vogliamo, ma un po' di responsabilità non guasta mai nello scrivere male degli altri.

Non vuole essere uno sfogo ma non mi piace quando si butta li un aggettivo come lecchino o una frasina ad effetto tanto per fare.
Ma d'altro canto ti definisci tu stessa una persona poco seria e quindi ti sei già risposta da sola.
Saluti.

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