lunedì 31 marzo 2008

Vademecum pre-elezioni



Un capitolo del libro "Se li conosci li eviti” di Peter Gomez e Marco Travaglio (ed Chiarelettere, 14,60 euro)


I buoni I- Magnifici Venti della XV legislatura

Bindi Rosy (Pd). Ha sfidato Veltroni alle primarie, riportando un’ottima seconda piazza, ma soprattutto s’è opposta a tutti gli inciuci con Berlusconi, ha sostenuto il governo contro i tanti nemici (anche nell’Unione) di Prodi, ma soprattutto ha scritto insieme alla collega Pollastrini la legge sui Dico (sui diritti alle coppie conviventi, anche omosessuali) sfidando i fulmini del centrodestra e gli anatemi vaticani. Dimostrando che si può essere, coerentemente e contemporaneamente, laici e cattolici.

Colombo Furio (Pd). Ha difeso l’onore del Senato, vilipeso dai continui insulti scagliati dalla destra più becera contro i senatori a vita. Ha difeso il diritto a esistere, da troppi ancora messo in discussione. S’è opposto all’indulto e alla legge-bavaglio di Mastella sulle intercettazioni e il diritto di cronaca. Ha presentato un rigoroso disegno di legge sul conflitto d’interessi e sul sistema televisivo veramente liberale, in alternativa a quello inciucista del duo Franceschini- Violante.

Dalla Chiesa Nando (Pd). Come sottosegretario all’Università e alla Ricerca, ha svolto un lavoro oscuro ma meritorio sull’edilizia residenziale per gli studenti (18mila posti letto in più per i fuori sede), sulle accademie e i conservatori, e soprattutto ha inaugurato un progetto denominato «Ethicamente» per insegnare negli atenei l’etica pubblica e professionale. Intanto ha proseguito le sue battaglie per la legalità, contro mafie e corruzioni. Ciononostante, o forse proprio per questo, il Pd non l’ha ricandidato. Vergognosamente. M2_01_Se li conosci 12-03-2008 12:30 Pagina 21

De Zulueta Tana (Verdi). Promotrice, insieme ad artisti, giornalisti e intellettuali (Sabina Guzzanti in primis) della proposta di legge «Perunaltra tv», con lo scopo di liberare la Rai dal controllo dei partiti, s’è battuta con competenza ed eleganza tutte britanniche per la libertà d’informazione e contro il conflitto d’interessi, inascoltata anche nella sua coalizione. Ciononostante, o forse proprio per questo, l’Arcobaleno non l’ha ricandidata. Vergognosamente.

Giulietti Giuseppe (ex Ds, ora Idv). Ex segretario dell’Usigrai, veterano della Vigilanza Rai (che ha chiesto di abrogare), non ha mai smesso di difendere giornalisti, artisti e intellettuali minacciati di censura, di qualunque orientamento fossero e da qualunque parte provenissero le minacce. Animatore del sito Articolo21 insieme al presidente Federico Orlando, è un punto di riferimento per chiunque voglia liberare l’informazione dalle troppe mani sporche e lunghe che la controllano. S’è battuto, fra i pochissimi, per una legge sul conflitto d’interessi che prevedesse la ineleggibilità dei titolari di concessioni televisive. Il Pd, comprensibilmente, dopo aver nominato Marco Follini responsabile informazione, l’ha silurato. Per fortuna, Di Pietro gli ha messo a disposizione le sue liste per proseguire la battaglia nella prossima legislatura. Lui ha aperto la campagna elettorale con una visita a Europa7, l’emittente di Francesco Di Stefano che non può trasmettere perché derubata delle frequenze dal 1999: «Tutti vanno a rassicurare Mediaset – ha detto provocatoriamente –, io vado a rassicurare Europa7».

Guadagno Vladimir «Luxuria» (Prc). Entrata in Parlamento con la fama di drag queen e dunque trattata come un fenomeno da baraccone nel Paese più ipocrita del mondo, ha saputo farsi valere, evitando di fossilizzarsi sulla materia della diversità, ma combattendo, in Parlamento e in televisione, per i diritti di tutti, con una competenza che chi vive di pregiudizi non avrebbe mai sospettato, ma che molti hanno dovuto riconoscerle, tardivamente, anche negli ambienti più lontani da lei.

Licandro Orazio (Pdci). Autore, come vedremo più avanti, dell’emendamento alla legge istitutiva della commissione Antimafia per escluderne almeno i parlamentari condannati (ovviamente bocciato dalla Camera), si è battuto in commissione Affari costituzionali per inserire nella legge sul conflitto d’interessi il concetto di ineleggibilità per i titolari di concessioni tv (proposta ovviamente respinta non solo dalla Cdl, ma anche dal resto dell’Unione).

Meloni Giorgia (An). Leader di Azione Giovani, vicepresidente della Camera a ventinove anni, non ha scontato nemmeno per un giorno il prezzo della prevedibile inesperienza, presiedendo con fierezza e autorevolezza l’aula di Montecitorio. Non usa l’auto blu da ben prima che si cominciasse a parlare di «casta». Ha aperto le feste dei giovani di An anche a personaggi lontanissimi da loro. Ha presentato proposte di legge per i giovani e per incentivare la natalità. Si è battuta per l’autodeterminazione del Sahara occidentale. Ha saputo dire parecchi no ai vertici del suo partito. Ha dichiarato di aver iniziato a fare politica a quindici anni grazie a Mani Pulite e alla lezione di Paolo Borsellino: non accade di frequente, a quell’età e in quel partito. Una delle poche donne che esisterebbero in politica anche senza quote rosa.

Mura Silvana (Idv). Tesoriera dell’Italia dei valori, si è opposta praticamente da sola (insieme al radicale Fabrizio Turco) al tentativo dei segretari amministrativi di tutti gli altri partiti di ripristinare il finanziamento pubblico dei partiti, dichiarato o mascherato dietro fantomatiche «fondazioni», e alla fine li ha costretti a ritirare una legge già bell’e fatta, con l’accordo bipartisan di destra e sinistra, facendo infuriare il cassiere Ds Ugo Sposetti. Nemica di sperperi, aumenti di stipendio, arrotondamenti di indennità, privilegi assortiti, ha firmato insieme agli onorevoli Buonfiglio e Alemanno di An una proposta decisamente alternativa, per tagliare i parlamentari, i ministri e i relativi emolumenti.

Napoli Angela (An). È l’altra mosca bianca di An: piemontese ma residente ed eletta in Calabria, è sempre stata in prima fila nella lotta alla ’ndrangheta e al malcostume nella regione. Ha difeso il pm di Catanzaro Luigi De Magistris dagli attacchi sferratigli da destra e sinistra (anche da An), pur se De Magistris l’aveva inquisita (e poi fatta archiviare) in un’inchiesta di qualche anno fa. Ha chiesto per prima le dimissioni di Totò Cuffaro, quando fu rinviato a giudizio e quando molti, anche a sinistra, facevano finta di nulla. Ha aderito alla proposta del Centro Lazzati di Lamezia Terme, animato dal giudice di Cassazione Romano De Grazia, che punta a togliere la possibilità di fare campagna elettorale ai presunti mafiosi sottoposti a misure di prevenzione.

Palomba Antonio (Idv). Magistrato in aspettativa, è uno dei pochi ex giudici che non hanno perso il senso dell’orientamento una volta entrati in Parlamento. Nella giunta per le elezioni della Camera, ha tenuto dritta la barra della legalità contro i continui assalti dei colleghi di destra e di sinistra per assicurare l’impunità ai membri della casta toccati da procedimenti giudiziari. E quasi sempre ha votato a favore dell’autorizzazione all’arresto e all’uso delle intercettazioni a carico di parlamentari. Particolarmente preziosa la sua opera in occasione del dibattito sulle telefonate inoltrate dal gip Clementina Forleo sulle scalate bancarie del 2005.

Prodi Romano (Pd). Ha sbagliato molto, a partire da quando non capitalizzò i 4 milioni e mezzo di voti delle primarie del 2005 facendo una sua lista e rinunciò a coprirsi le spalle dagli agguati dei presunti «alleati». Per proseguire con la scelta sciagurata di nominare Mastella ministro della Giustizia e di cedere alle pressioni dei partiti che gli imposero un governo di 102 fra ministri, vice-ministri e sottosegretari. Ma, grazie anche a Padoa Schioppa e Visco, ha avviato una seria lotta all’evasione fiscale e ha rimesso in ordine i conti dello Stato facendo revocare la procedura d’infrazione europea aperta contro l’Italia grazie allo sfascio berlusconiano. Poi, battuto in Parlamento, ha evitato compromessi al ribasso ed è uscito elegantemente di scena. Finora è l’unico leader del centrosinistra ad aver sconfitto (due volte su due) Berlusconi. Ci mancherà.

Rame Franca (ex Idv, poi Gruppo misto). Ha vissuto la sua esperienza in Senato come una missione, lottando come una leonessa per i princìpi in cui crede. S’è opposta all’indulto extra-large, ha avviato una campagna contro i privilegi della casta e gli sperperi della spesa pubblica. Ha partecipato alle manifestazioni contro la base Usa di Vicenza, contro il Tav in Valsusa e in difesa della libertà d’informazione. Ha preso a cuore – fra i pochissimi – il dramma dei soldati colpiti da tumore per l’uranio impoverito nelle missioni di guerra. Di Pietro l’avrebbe rivoluta in lista, ma lei, stanca e delusa, ha declinato. Peccato. Le dobbiamo tutti un grazie.

Salvi Cesare (ex Ds, ora Sinistra arcobaleno). È riuscito a far dimenticare il suo passato dalemiano e bicamerale con una campagna contro gli sprechi della casta (denunciati per primo nel libro I costi della democrazia, scritto a quattro mani con Villone, vedi sotto). Ha difeso i magistrati attaccati anche dai compagni, come De Magistris e la Forleo. Ha chiesto, insieme a Fabio Mussi, lo scioglimento delle giunte screditate e inquisite della Calabria, della Campania e della Sicilia. È stato fra i primi a scoprire gli effetti devastanti del famigerato «comma Fuda», che di fatto assicurava la prescrizione a tutti i reati contabili dinanzi alla Corte dei conti, poi cancellato in tutta fretta dal governo.

Sodano Tommaso (Prc). In controtendenza con il suo partito, Rifondazione comunista, troppo portato alle battaglie parolaie e inconcludenti, ha presieduto con competenza e rigore la commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti in Campania, che già nella scorsa legislatura portò alla luce il ruolo ambiguo dell’Impregilo e del commissariato straordinario, presieduto anche da Antonio Bassolino, segnalando alla Procura di Napoli i reati per i quali, di recente, si è giunti a una trentina di rinvii a giudizio. Averne, di comunisti così preparati e rigorosi.

Tabacci Bruno (Rosa bianca). Nel 2005 è stato fra i pochi (anzi fra gli unici, nel centrodestra) a opporsi alle manovre del governatore di Bankitalia Antonio Fazio e ai tanti sponsor dei furbetti del quartierino, respingendo ogni tentativo di avvicinamento per ammorbidire la sua posizione sulla legge sul risparmio e sul mandato a termine del governatore. Critico da sempre sul conflitto d’interessi di Berlusconi, ne ha contestato la leadership, fino al punto di abbandonare l’Udc, mesi prima che Casini e il suo partito rompessero con la dittatura berlusconiana.

Vacca Elias (Pdci). Insieme al suo corregionale Palomba (sardo come lui), questo giovane avvocato alla prima esperienza parlamentare è stato un punto di riferimento nella giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, opponendosi a tutti i tentativi di impunità della casta. A volte votava a favore delle autorizzazioni, a volte contro, ma senza mai guardare in faccia «amici» e «nemici»: sempre secondo la legge e la coscienza. È stato relatore della pratica D’Alema a proposito della richiesta del gip Forleo sulle intercettazioni Unipol e, contro ogni pressione diessina, ha messo nero su bianco che il vicepremier non godeva di alcuna particolare immunità europea. Dunque i giudici di Milano potevano procedere senza chiedere alcun permesso a Strasburgo.

Villone Massimo (ex Ds, ora Sinistra arcobaleno). In tandem con Cesare Salvi, ha anticipato le denunce contro i privilegi e gli sprechi della casta politica, calcolando, nel libro scritto a quattro mani con il suo collega, che ormai, in Italia, vivono di politica 400mila persone, che costano alla collettività circa 4 miliardi all’anno. Anche lui ha chiesto le dimissioni dei governatori inquisiti del Sud, cioè Cuffaro, Bassolino e Loiero, e lo scioglimento delle rispettive giunte regionali.

Vizzini Carlo (FI). I lettori troveranno il suo nome anche nella lista degli impresentabili, a causa di una vecchia prescrizione per un pezzo della maxitangente Enimont. Ma, dopo quel brutto episodio di 18 anni fa, Vizzini s’è un po’ riscattato: da anni propone, unico in Forza Italia, la cacciata dal partito di tutti i personaggi collusi o chiacchierati. Sua la proposta, poi fatta propria dalla commissione Antimafia (di cui fa parte), di un codice di autoregolamentazione dei partiti per escludere dalle liste i condannati almeno nelle elezioni amministrative. Non è moltissimo, ma in Forza Italia Vizzini è un mezzo rivoluzionario.

Zaccaria Roberto (Pd). Già presidente della migliore Rai degli ultimi vent’anni, è stato uno dei più fieri avversari della controriforma costituzionale della Cdl, poi bocciata nel referendum del 2006, ma verso la quale molti anche nel centrosinistra manifestavano più di un’indulgenza. E, dichiarando in aula il proprio dissenso di costituzionalista, è stato uno dei pochissimi deputati ad astenersi, sulla legge Mastella che mirava a imbavagliare i giornalisti, impedendo loro di raccontare intercettazioni e atti di indagine. Approvata da una vastissima maggioranza bipartisan, si è poi fortunatamente arenata in Senato.



No al bavaglio Mastella

Il 17 aprile 2007, la Camera dei deputati vota sulla legge Mastella, sostenuta da tutti i gruppi parlamentari, nessuno escluso, per proibire ai giornalisti di pubblicare o anche soltanto raccontare per «riassunto» e nel «contenuto» intercettazioni e atti d’indagine (non quelli top secret, già proibiti, ma quelli non più coperti da segreto investigativo perché depositati alle parti) fino al termine dell’udienza preliminare, o – per il fascicolo del pm – addirittura fino alla sentenza di appello. I Sì sono 447, i No nessuno, gli astenuti e i non partecipanti al voto per espresso dissenso con la legge o con le sue parti più liberticide sono 9: Giuseppe Caldarola, Giuseppe Giulietti, Franco Grillini, Marisa Nicchi (Ds) Salvatore Cannavò (Prc) Enzo Carra, Roberto Zaccaria (Margherita) Tana de Zulueta, Roberto Poletti (Verdi).



Lista Libera Stampa

Ferdinando Adornato (FI): «Montanelli? È moderato immaginario pluridecorato al valor giornalistico con licenza di straparlare» («il Giornale», 29 marzo 2001).

Massimo Baldini (FI): «Il Fatto di Enzo Biagi si può eliminare: non serve a niente» (Ansa, 3 ottobre 2001 ).

Silvio Berlusconi (FI): «Il mio genio imprenditoriale l’ho utilizzato spendendo un mucchio di miliardi perché lui [Montanelli, nda] potesse scrivere sul “Giornale” quel che voleva. Ora lui spenda per me il suo genio polemico, scrivendo contro Scalfari e altri quel che può essere utile anche a me» (In una telefonata con Federico Orlando del 1993, riportata in Il sabato andavamo ad Arcore). «Quella di Biagi, Santoro e della Rai di Zaccaria è stato un attentato alla democrazia: mi hanno fatto perdere 17 punti in campagna elettorale» (Vertice internazionale di Caceres, Spagna, Ansa, 9 febbraio 2002). «In questi giorni la Rai ha cambiato i responsabili dei tg e delle reti. Tornerà finalmente a essere una tv pubblica, cioè di tutti, cioè oggettiva, cioè non partitica, cioè non faziosa come è stata con l’occupazione manu militari da parte della sinistra. L’uso che i Biagi, i Santoro e i... come si chiama quello là... ah sì, Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata con i soldi di tutti, è stato criminoso. Preciso dovere della nuova dirigenza Rai è di non permettere più che questo avvenga» (conferenza stampa a Sofia, 18 aprile 2002). «Sulle intercettazioni telefoniche introdurremo pene severe: cinque anni per chi le diffonde, e due milioni di euro di multa per gli editori che le pubblicheranno» (Ansa, 17 gennaio 2008). «Mi sono battuto perché Biagi non lasciasse la televisione, ma alla fine prevalse in Biagi il desiderio di poter essere liquidato con un compenso molto elevato» (Ansa, 18 febbraio 2008).

Michele Bonatesta (An): «Come volevasi dimostrare, nessuno ha fatto il favore alla sinistra di far fuori Enzo Biagi dalla Rai. Presentandosi come martire della libertà e del pluralismo dell’informazione nell’era del tiranno Berlusconi, egli si è assicurato l’intangibilità nei secoli dei secoli. Anche se gli italiani avrebbero dormito pure se Biagi non avesse più lavorato in Rai. E ora che Biagi non è stato epurato e che la tv pubblica non ha obbedito ai “diktat bulgari” di Berlusconi, come direbbero Giulietti o Falomi, di cosa parlerà l’opposizione? Come farà a liberare il cavallo di viale Mazzini? Vediamo una paurosa penuria di argomenti non propagandistici» (Ansa, 30 ottobre 2002).

Roberto Calderoli (Lega Nord): «Biagi e Santoro fanno le verginelle candide e rispondono a Berlusconi parlando di intimidazione del potere. Ma i veri potenti sono stati proprio loro per anni, dando vita a trasmissioni faziose, schierate dalla parte della sinistra contro la Lega e il Polo, senza dare diritto di replica e addirittura preparando trappoloni incresciosi, come avvenne nella puntata dedicata a Marcello Dell’Utri. Biagi sottolinea che dovrà essere il Cda a licenziarlo e non il premier. Per fortuna il contratto di Biagi è in scadenza e sarà sufficiente ai vertici Rai non rinnovarglielo» (Ansa, 19 aprile 2002).

Roberto Castelli (Lega Nord): «Qui ormai siamo alla commedia. Mi spiace che persone come Biagi abbiano venduto se stesse a una parte politica» (Ansa, 27 marzo 2001).

Massimo D’Alema (Ds): «Voi parlate di tremila euro, di cinquemila euro: ma li dobbiamo chiudere, quei giornali (che pubblicano atti di indagine, nda)... Ci sono stati episodi scandalosi in cui materiale senza nessuna attinenza con l’inchiesta è andato a finire sui giornali. E anch’io ne sono stato vittima » («la Repubblica», 29 luglio 2007).

Carlo Giovanardi (Udc): «Enzo Biagi ha 84 anni, leggo che il sindaco di Bologna gli ha offerto un incarico. Credo sia benestante, non mi sembra che sia discriminato. Francamente mi preoccuperei di più di quei tanti giornalisti di 20-30 anni che trovano le porte delle redazioni chiuse o non riescono a lavorare. Io credo che ci sia bisogno di professionalità nuove e non mi sembra straordinario che a quell’età siano state interrotte delle forme di collaborazione per far posto a professionalità più giovani» (Ansa, 18 agosto 2004).

Giorgio Lainati (FI): «Le parole di Biagi sono frutto di una incredibile carica di odio e livore personale che porta quello che è stato un autorevole e prestigioso giornalista italiano a manifestare un assoluto e irreversibile disprezzo per il capo del governo del proprio Paese» (Ansa, 5 giugno 2005).

Giuliano Ferrara: «Caro Biagi, non faccia il martire, ci risparmi la solita sceneggiata (...). Lei ha fatto campagna elettorale con i quattrini di tutti, anche degli elettori del centrodestra (...). Quando si sparge l’incenso conformista lei è sempre il primo. Spostare Il Fatto in un altro orario non sarà come violare una vergine o sgozzare un agnello sull’altare dell’informazione» (Giuliano Ferrara, lettera aperta a Enzo Biagi su «Panorama», 1° febbraio 2002). «Biagi è un mostro sacro degli affari suoi e un ipocrita» («Il Foglio », 23 maggio 2002).

Maurizio Gasparri (An): «Montanelli è stato un uomo sempre dalla parte di chi comandava: fascista durante il fascismo, antifasci- sta appena in tempo quando il regime stava cadendo, mantenuto da Berlusconi, adesso sta con la sinistra» (Ansa, 25 marzo 2001). Gasparri inserisce poi Enzo Biagi in una lista di personaggi «faziosi » dettata da lui e da altri esponenti del Polo al giornalista Daniele Vimercati nel programma Iceberg, su Telelombardia, il 26 marzo 2001. La lista di proscrizione comprende anche Santoro, Luttazzi e il Tg3 in blocco.

Giancarlo Gentilini (Lega Nord): «Gli alberi quando invecchiano si seccano e perdono il colore, vivacchiano. Montanelli è uno così. Il 13 maggio mi auguro di mandarli tutti in esilio, quelli del centrosinistra. Conquisteremo Roma per la seconda volta. Sarà una marcia su Roma» (31 marzo 2001).

Paolo Guzzanti (FI): «È così imbarazzante quest’odio personale di quest’uomo dalla penna facile e dalla vita lunga [Montanelli, nda] che si comporta come quei giovanotti della Belle époque che, avendo dissipato il patrimonio al casinò, dedicavano poi la loro vita a distruggere o deridere quella di chi li aveva sostenuti. E non parliamo di patrimoni di denaro, ma morali» («il Giornale», 16 febbraio 2001).

Agostino Saccà (FI): «La Rai depreca il fatto che un collaboratore autorevole dell’azienda come Enzo Biagi usi espressioni e toni offensivi nei confronti di un giornalista, quale Fabrizio Del Noce, stimato da sempre per la sua indiscussa attività professionale e che ora è stato chiamato dal consiglio di amministrazione, su proposta del direttore generale, a dirigere una delle più importanti strutture editoriali dell’azienda stessa. Il presidente e il direttore generale esprimono solidarietà al direttore di Rai1 Fabrizio Del Noce, confermandogli la stima e la fiducia da sempre riposta in lui» (24 maggio 2002).

Claudio Scajola (FI): «Montanelli fa il critico di Berlusconi per motivi di senilità» (Ansa, 22 aprile 2001).

Walter Veltroni (Pd): «Il divieto assoluto di pubblicare tutta la documentazione relativa alle intercettazioni e delle richieste e delle ordinanze emesse in materia di misura cautelare fino al termine dell’udienza preliminare e delle indagine serve a tutelare i diritti fondamentali del cittadino e le stesse indagini» (Ansa, 16 febbraio 2008).

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