mercoledì 9 aprile 2008

Al Voto, al Voto! Pt.3


Ormai siamo veramente agli sgoccioli, in tutti i sensi. In termini di tempo che ci separa dal giorno in cui dovremo tornare a decidere le sorti del paese, stavolta davvero minacciate come non mai. Ma anche in termini di pazienza, di sopportazione e di senso di nausea. Prorpio quello che prende leggendo le ultime esternazioni del braccio destro di sempre del CavalierNano, M.Dell'Utri; oppure ascoltando le parole delle due ali del Pdl, Bossi e Lombardo che invocanono entrambi la chiamata alle armi (uno i fucili l'altro i cannoni) apparendoci idealmente più vicini di quanto le distanze geografiche non suggeriscano.
Ho deciso qui, nella terza parte di Al voto, al Voto!, di postarvi subito l'articolo che mostra le nefande fuoriuscite del senatore Dell'Utri, proprio per farvi rendere conto di che razza di personaggio tornerebbe al potere. Perchè niente come le scempiaggini che è riuscito a vomitare come un fuoco di fila, ritengo possano descrivere al meglio lo "stato del'arte" del pensiero berlusconiano. Un tempo c'era una nobile tradizione della destra in poltica, oggi c'e solo questo. Non permettiamogli di tornare.

Ultimissime da Dell’Utri «Mangano? Un eroe...»
Le esternazioni del candidato Pdl e condannato per mafia «L'antimafia, un brand. La Resistenza? Da revisionare»
In un'intervista a Klaus Davi la «verità» sull'ex fattore di Arcore; «Ai giudici non ha detto una parola né su di me né su Berlusconi...». Un inno all'omertà. «Le case editrici sono in mano alla sinistra»: basta con la favola della lotta partigiana. «E Moggi è solo un grande organizzatore».

Il mafioso Vittorio Mangano era «un eroe». L'antimafia invece «è diventa­ta una sorta di brand» usato da certi partiti «in modo strumentale per col­pire qualcuno o per coprire la mancanza di contenuti». I pentiti di ma­fia «li conosco quasi tutti, ma fatico a trovarne uno sano». Pessimo an­che l'altro strumento per scoprire i mafiosi: «Sulle intercettazioni sare­mo durissimi, perché c'è in ballo la li­bertà», soprattutto la sua. Quanto al­la Resistenza, è come l'antimafia: un'altra favola raccontata dai «libri di storia ancora oggi condizionati dalla retorica della Resistenza». Ma anche questi prontamente «saranno revisionati, se dovessimo vincere le elezioni: questo è in tema del quale ci occuperemo con particolare attenzione». Purtroppo non sarà facile, perché «la sinistra ha ancora in mano le università e le case editrici», a parte la Mondadori, rubata a un concorrente grazie alla sentenza di un giudice com­prato da Previti con soldi del­la Fininvest, ma ora, se tutto va bene, si metteranno a po­sto anche le altre. E Luciano Moggi? «È una persona sim­paticissima.... Le accuse sono nate dal suo grande successo. Moggi aveva organizzato bene le cose e così sarebbe stato ancora per molti altri anni»: organizzava le cose talmente bene da scegliersi gli arbitri a la carte, mentre il Milan si sce­glieva i guardalinee: dov'è il problema? Infine, una buona parola anche su Michela Vit­toria Brambilla: «l'hanno da­ta in pasto all'opinione pub­blica, ma non le attribuisco al­cuna importanza», mentre «siamo tutti spiritualmente innamorati di Berlusconi». Chi parla non è un magistra­to, altrimenti il Cavaliere l'avrebbe già sottoposto a pe­rizia psichiatrica. È un con­dannato: Marcello Dell'Utri che, in un'intervista su YouTube a Klaus Davi, ammicca esplicitamente alla mafia bea­tificando Vittorio Mangano, l'ex boss del mandamento di Palermo-Porta Nuova, già fat­tore nella villa di Arcore, suo intimo amico dal '73, con­dannato per associazione per delinquere con la mafia al processo Spatola, per traffico di droga al maxiprocesso di Falcone e Borsellino, morto in carcere nel 2000 subito do­po una condanna in Assise per tre omicidi. Santo subito. Qual è la prova dell'eroismo di Mangano? Semplice: più volte sollecitato dai magistrati a parlare dei suoi rapporti con Berlusconi e Dell'Utri, non ha mai aperto bocca. «Mangano - spiega Dell'Utri - è morto per causa mia. Era malato di cancro quando è entrato in carcere ed è stato ripetutamente invitato a fare dichiarazioni contro di me e il presidente Berlusconi. Se lo avesse fatto, lo avrebbero scarcerato con lauti premi e si sarebbe salvato. È un eroe, a modo suo». Parole duramente criticate da Antonio Di Pie­tro, Cesare Salvi e Anna Finocchiaro. Facendo il pubblico elogio dell'omertà, il senatore Dell'Utri non specifica che cosa avrebbe potuto raccontare di lui Mangano, se avesse parla­to: lo lascia all'immaginazio­ne degli elettori. Perché natu­ralmente Dell'Utri, condannato in via definitiva a 2 anni per evasione fiscale, in appel­lo a 2 anni per tentata estor­sione mafiosa insieme al boss di Trapani Vincenzo Virga e in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associa­zione mafiosa, è stato ricandi­dato dal Partito della Libertà Provvisoria a Palazzo Mada­ma in un posto sicuro (nume­ro 7) in Lombardia. Ma non dimentica le origini: quelle sue personali e quelle di For­za Italia, nata nel 1993 fra Pa­lermo e Milano, con Manga­no che faceva la spola tra le due città per conto di Provenzano, mentre nel Paese esplo­devano le bombe. Non poten­do astenersi dai rapporti con la mafia, Dell'Utri elogia pe­rò l'astinenza sessuale, che lui dice di aver appreso diret­tamente dal fondatore del­l'Opus Dei, Josemarìa Escrivà de Balaguer, ma di praticare solo ultimamente «per moti­vi di età». Insieme all'annun­cio dei test psichiatrici ai pm, peraltro copiato di sana pian­ta dal Piano di rinascita demo­cratica della P2 di Licio Gelli, la piattaforma programmati­ca di Dell'Utri dà un quadro preciso del governo Pdl che verrà. I pentiti non vanno usati nei tribunali per far con­dannare i mafiosi e i loro ami­ci, ma «usati come testimo­nial di una campagna pubbli­citaria antimafia rivolta ai giovani siciliani»: per convin­cerli - par di capire - che un vero mafioso non deve mai dire la verità, mai abbandona­re Cosa Nostra, mai schierar­si con lo Stato. Insomma, se­guire l'esempio dell'eroico Mangano. Lui del resto dice di «conoscerli quasi tutti»: un paio li aveva addirittura contattati, Pino Chiofalo e Cosimo Cirfeta, purtroppo erano due falsi pentiti che lui tentava di convincere a calun­niare i veri pentiti che accusa­no lui. Quanto ai magistrati, sono «professionisti dell'anti­mafia», come «aveva già det­to Sciascia». Dell'Utri dimen­tica di precisare che lo sciagu­rato articolo di Sciascia sul Corriere della Sera era un attac­co frontale a Paolo Borselli­no, accusato di far carriera per meriti antimafia. Ma que­ste cose gli amici degli amici le sanno benissimo. E avran­no apprezzato. Vota e fai vo­tare.
M.Travaglio 09/04/2008

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