martedì 29 aprile 2008

Ministri per giustizia "ad personam"


Ci eravamo quasi abituati all'idea di avere, come ministro della Giustizia, Elio Vito. Non era neanche male, il piccolo motorino berlusconiano che interrompe tutti e non lascia parlare nessuno. Soprattutto se si pensa alla nobile tradizione dei Guardasigilli di centrodestra: da Alfredo Mezzolitro Biondi,che firmò un decreto per vietare l'arresto del fratello del premier, all'ingegner Roberto Castelli, esperto in abbattimento di rumori autostradali, sposatosi con rito celtico davanti al druido inneggiando a Odino e sorseggiando sidro. Al loro confronto, persino un Vito sarebbe apparso accettabile. Anche perché, qualunque cosa faccia, non gli può essere imputata. Infatti non vive di vita propria. È un replicante, un berlusclone che ogni mattina viene programmato con uno speciale microchip, caricato con due giri di chiave dietro la schiena e mandato in giro a sparecchiare il Verbo del suo spirito guida. Siccome, chiunque sieda in Via Arenula, a comandare sono Previti e Dell’Utri, Vito pareva l'ideale: l'Elio, fra i gas conosciuti in natura, è il più leggero dopo l'idrogeno: incolore, inodore, chimicamente inerte. L'uomo giusto al posto giusto per la Giustizia. Ma ieri la sua candidatura è mestamente tramontata. Pare che Vito fosse dotato di una personalità ancora troppo robusta, per le esigenze del padrone: la nuova favorita è tale Mariastella Gelmini, la cui vacuità nei dibattiti tv è addirittura superiore a quella di un Frattini. Se dovessero scartare anche lei, sarebbe giocoforza ripiegare su un lombrico, su una muffa o su un lichene. Perché l'indispensabile requisito del Guardasigilli ideale del Cainano, come pure del ministro delle Comunicazioni, è l'assenza totale di spina dorsale e possibilmente di cervello. Il che spiega il fenomeno Gasparri (purtroppo già impegnato, stavolta, come capogruppo al Senato). Ingenuamente, qualche retroscenista aveva ipotizzato per la Giustizia l'avvocata Giulia Bongiorno o l'ex magistrato Alfredo Mantovano. Ma non conoscono il Cainano, che per quel dicastero necessita di uomini pronti, e soprattutto proni, a tutto. Ogniqualvolta salta fuori un suo reato, il ministro glielo deve depenalizzare. Appena si apre un processo suo carico, il ministro glielo deve bloccare. Se poi uno della banda o della famiglia rischia la galera, il ministro glielo deve liberare. Figurarsi se può fidarsi di un'avvocatessa quarantenne in carriera, per giunta dello studio Coppi, che non ha mai chiesto l'arresto dei giudici e ha difeso Andreotti nel processo anziché dal processo. O, peggio ancora, di uno come Mantovano che, non contento di aver fatto il giudice, gli ha pure condannato l'amico Pino Leccisi. Non se ne parla. O un clone o niente. Così alla fine potrebbe tornare il buon Castelli, che già diede buona prova l'altra volta. Esordì con un'intervista memorabile. Domanda: «Lei cosa sa di Giustizia?». Risposta: «Assolutamente nulla». Infatti, illustrando il suo programma al Parlamento, annunciò la riforma del giudice unico e la competenza penale del giudice di pace, ignaro del fatto che le due riforme erano state appena varate dall'Ulivo. Poi osservò che, siccome la Giustizia non funziona, è inutile investirvi risorse. Proseguì avallando senza batter ciglio tutte le leggi vergogna possibili e immaginabili a maggior gloria e impunità del premier e dei suoi cari. Tentò persino di trasferire su due piedi al Tribunale di sorveglianza il giudice Guido Brambilla, che aveva il torto di processare Berlusconi e Previti. Bloccò la nomina di tre magistrati (che avevano vinto un regolare concorso) all'Olaf, Organismo europeo antifrodi; schierò l'Italia contro il mandato di cattura europeo, pretendendo che ne venissero esclusi i reati di corruzione, frode, riciclaggio e altri crimini finanziari (tutti contestati al Cavaliere); cacciò Gian Carlo Caselli da Eurojust per sostituirlo con un amico di Previti; licenziò i giudici del suo ufficio legislativo che avevano osato esprimere parere negativo sulla controriforma delle rogatorie; bloccò le rogatorie del pool di Milano negli Usa per l'inchiesta su Mediaset; sguinzagliò ispezioni nelle Procure più impegnate; varò la demenziale controriforma dell'ordinamento giudiziario e, quando Ciampi gliela bocciò per quattro profili di incostituziona­lità, commentò giulivo: «Poteva andare peggio». In effetti, Ciampi poteva scendere dal Colle e dargli pure due sberle. Ecco: il Cainano, per la Giustizia, sta cercando un altro come lui. E, visto il personale politico del Popolo della libertà provvisoria, non è escluso che lo trovi.
Ora d'aria M.Travaglio(25 aprile 2008)

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