mercoledì 7 maggio 2008

Guerra ideologica

Prima di immergermi nella lettura, sempre salvifica perché spinge a riflessioni nuove, ho gironzolato tra una forchetta e un coltello fra le tv, proprio all’orario dei telegiornali, e ho visto prima di tutto che ancor oggi, dopo anni, il Tg1 parte con un minuto di ritardo rispetto al concorrente Tg5, sicché il servizio pubblico comincia la lettura dei titoli quando il servizio privato sta già sviluppando la prima notizia.
Lunedì sera, quando il collega o la collega (non ricordo) della Rai faceva l’indice, iniziando dalla devastazione della Birmania, il Tg5 era già in piena analisi del crimine di Verona (morte di un ragazzo massacrato di calci e pugni da 5 coetanei naziskin/fascisti/ultrà) e mi sono subito sintonizzato su quello per ovvie ragioni di pietà domestica (è lo stesso impulso naturale che a noi bambini che abbiamo fatto la guerra ci portava a stringerci ai feriti o morti di casa anziché al rimanente della comunità devastata). Ma questi sono istinti naturali, che alla sinistra snob o radical chic fregano niente. E proprio perché non fregano niente essa tende anche a minimizzare i fatti che li scatenano, il morto, ragazzate, ma quale effetto elezioni, robetta da minorenni: vuoi mettere invece la furia reazionaria o biblica di uno tsunami? Certo, se a massacrare il ragazzo veronese fossero stati immigrati o teppisti dei centri sociali, lo tsunami sarebbe stato declassato. Nel giornalismo, invertendo l’ordine dei fattori la somma cambia.
Quando imparavo il mestiere, personaggi che la sapevano lunga spiegavano che per prendere per i fondelli i lettori o i teleutenti non c’è bisogno di spendere parole per sostenere una tesi ideologica: basta montare la notizia in un modo anziché in un altro. Se scrivo «A. è un brigante ma anche un ottimo avvocato», lego il lettore alla professionalità del personaggio; se scrivo «A. è un ottimo avvocato ma anche un brigante» ne sottolineo l’aspetto brigantesco. In tutt’e due le frasi ho usato esattamente le stesse parole, ma ho formulato due giudizi opposti. Questo è l’abc della guerra ideologica, i nostri giornalisti lo sanno e lo praticano, officiando nel contempo il de profundis per le ideologie.
Federico Orlando

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