venerdì 30 maggio 2008

Ave, compagno Silvio

Edmondo Berselli osserva su Repubblica che «negli ultimi giorni si è assistito a un fenomeno straordinario di conformismo verso il nuovo potere... turiboli d'incenso sparsi per celebrare la liturgia del grande ritorno», ennesimo sintomo dell'«ineffabile amore di buona parte delle élite italiane per qualsiasi potere, purché forte e spregiudicato», che «riversa sul centrodestra un'onda di consenso aprioristico, non condizionato dalla verifica dei risultati attesi. Un consenso "a prescindere"». Berselli ce l'ha con la non-opposizione del Pd (i «diversamente concordi», Ellekappa). Ma poi, mentre il Pd si oppone un pochino alla legge salva-Rete4, ecco un editoriale di Liberazione dal titolo: «Ma chi se ne frega di Rete4». È il solito benaltrismo dei compagnucci della parrocchietta, non a caso recentemente estinti. Per loro il problema è sempre un altro. Non è il monopolio berlusconiano delle tv, cioè della non-informazione, dell'immaginario collettivo, del senso comune, della scala dei valori e soprattutto dei disvalori degl'italiani. Ma, com'è noto, è il modello di sviluppo, la globalizzazione, e naturalmente il Chiapas. Credo, anzi temo che chi sostiene questa bizzarra tesi non sia un venduto: temo sia in buona fede.
Chi si dedica con passione agli ultimi, ai temi dei salari, del precariato, dell'ambiente, della pace, della laicità, dei diritti civili, dell'antifascismo non ha ancora compreso che su questi fronti l'Italia non farà mai un solo passo avanti proprio perché questi temi - salvo qualche rara oasi di libertà - non appaiono mai in tv, dunque non diventano centrali nel dibattito politico e culturale, dunque «non esistono».
Chi lamenta la scomparsa della classe operaia dalle tv e dunque dai giornali e dalla politica dimentica che è frutto del monopolio tv, dei 6-7 palinsesti tutti uguali, della mancanza di pluralismo e di libero mercato. La battaglia per spedire Rete4 su satellite e trasferirne le frequenze a Europa7 non è un dispetto a Berlusconi o a Fede. E neppure, solo, una battaglia di legalità per rispondere a due sentenze della Consulta, a una della Corte di giustizia europea e a due procedure d'infrazione dell'Ue
(che, fra l'altro, ci costerebbero multe salatissime). È soprattutto una battaglia per aprire il mercato tv a un nuovo soggetto. Che non solo ha il sacrosanto diritto di praticare il suo business. Ma porterebbe pure un grande beneficio a tutto il Paese. Se i governi di destra e sinistra dal 1999 a oggi avessero fatto il proprio dovere, assegnando a Europa 7 le frequenze necessarie per esercitare la concessione regolarmente vinta (e persa da Rete4), da nove anni i cittadini potrebbero scegliere col telecomando un'emittente in più, oltre alle solite e sempre più simili Rai, Mediaset e La7. Non so che editore sia Francesco Di Stefano, perché nessuno gli ha mai dato modo di mettersi in gioco. Ma se non è proprio un fesso autolesionista immagino che avrebbe messo in piedi una tv radicalmente alternativa a quelle esistenti. Per pescare anzitutto nel serbatoio di quei 30 milioni che oggi tengono il televisore spento. Il suo interesse economico l'avrebbe spinto a dare al pubblico di Europa 7 ciò che Rai, Mediaset e La7, legate a filo doppio alla politica, non possono o non vogliono dare. Non avrebbe faticato a inventare un palinsesto e a trovare chi lo realizzasse: avrebbe ingaggiato Biagi, Santoro, Luttazzi, Guzzanti, Fini, Beha, Freccerò e altri grandi professionisti più o meno noti, banditi per anni (e, in buona parte, oggi). Se non l'avesse fatto, avrebbe condannato la sua tv al più cocente fallimento. E sarebbe scomparso dalla scena, liberando le frequenze per qualcun altro più capace di lui. Se invece l'avesse fatto, avrebbe intercettato una gran voglia di informazione, di satira, di spettacolo diversi da quelli che siamo abituati a subire. E avrebbe rubato pubblico e pubblicità ai monopolisti di sempre. Naturalmente è proprio quest'eventualità che terrorizza il partito azienda e il sistema dei partiti, di destra ma anche di una bella fetta del centrosinistra. Ed è per questo che non l'hanno mai lasciato nemmeno provare, riuscendo persino a oscurare lo scandalo Europa 7. Così che, nel 2008, qualche compagnuccio mitridatizzato dalla propaganda del monopolio sbuffasse in prima pagina: «Chi se ne frega di Rete4». Missione compiuta.

Ora d'aria, M.Travaglio 28/05/08

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